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Category: POTENZE CULTURALI
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LOGOS DEGLI ANI ‘68- ‘70

Credevo che fosse amore invece era un calesse

Preambolo

Questa nota è stata inserita diversi anni dopo il corpo del libro, è un bilancio storico, ideologico e in parte fattuale dei risultati dell’azione e del pensiero di quel periodo. Se oggi siamo sparsi nel deserto dei tartari, le radici del fallimento più che del capitalismo (morente) lo si deve ai fiumi secchi delle “alternative” al capitalismo che tanto alternative non erano. Erano più che altro aggiustamenti intorno ai miti dell’illuminismo, dei ritorni all’illuminismo d’origine dopo la fase dittatoriale, dopo l’ubriacatura del sovranismo e del romanticismo.

Gli a-priori considerati metastorici, i paradigmi dell’illuminismo: “il soggetto-persona”, “le masse”, “le libertà”, fotocopia della moneta/numero, e “lo Stato con monopolio della forza come controllore”; tutti collocati in una freccia nel tempo chiamato “progresso” (di “scienza” e “tecnica”); queste sono le invarianti intorno a cui cui si sono dati tutti i fenomeni sociali (e le analisi) dati fino ad ora.

Il superamento dell’illuminismo dei suoi feticci non si è mai posto come problema reale. Eppure tutti sanno che l’illuminismo è il crogiolo filosofico del capitalismo, che il marxismo descrive molto bene.

(qui trattiamo alcuni argomenti per sintesi rimandando ai prossimi libri un migliore approfondimento)

L’illuminismo: pietra d’inciampo della sinistra

Come rischiaramento, presa di coscienza/possesso dell’uomo del suo ambiente naturale e umano. E’ il pensiero razionale che rimpiazza il mito, la fede, il pensiero magico/antromorfico con la razionalizzazione della realtà che passa attraverso la logica e la matematica. Un sapere/potere che rimpiazza il mondo magico/religioso tradizionale nel controllo della natura. La quantizzazione della natura che la matematica permette (matematica il padre il denaro), consente un confronto tra diversi attraverso l’appiattimento delle qualità presenti. Ne esce un mondo umano chiamato liberal borghese (dove la moneta/matematica chiamata economia domina la società) e sul piano “filosofico”, come negazione delle filosofie magiche/mitologiche precedenti, si definisce come “era dei lumi”.

Con due guerre mondiali naufraga il mito illuminista (iniziato sul piano ideologico con Nietzsche), viene meno la fede nello scientismo, la carica del progresso progressivo l’autoritarismo si affievolisce di fronte ai macelli della guerra, all’autoritarismo, al razzismo. In realtà si potrebbe risalire all’imperialismo di Napoleone, ma salvo pochi autori la critica molto articolata all’illuminismo viene dal gruppo dei cosiddetti francofortesi Adorno e Horkheimer e Marcuse (e dallo stesso Lenin ma in senso opposto).

Criticano l'illuminismo ma sono per riformarlo! Per Lenin la scienza e la tecnica sono capisaldi per sottrarsi dalla dittatura della natura (compreso anche l’uomo-natura, nel passaggio verso la “civilizzazione” come indipendenza e controllo sulla natura), viceversa per il gruppo di francoforte che vede nella deriva scientista l’alienazione dell’uomo, il suo inaridimento, la deriva autoritaria giustificata e realizzata in modo scientifico.
E ne sollecitano il ritorno (in maniere diverse) il ritorno all'illuminismo umanista, magari addomesticando il capitalismo.
Ma nessuno affronta il problema che il problema sta proprio nel manico, nei suoi “noumeni” legati mani e piedi alla logica dell’economia della moneta, al mercato come sistema di relazione. Dai feticci creati dalla mercificazione del mondo.

Il super-io

Il pensiero razionale (“e la ragione in continuo progresso”), il logos assume caratteri di potere dell’uomo sulla natura il quale assume caratteri divini come un nuovo dominus grazie alla potenza del numero/moneta1 La mercificazione del mondo, il contratto di scambio di merci riduce il mondo a unita-quantità; la monade feticistica che diverrà la cifra del nuovo logos sociale del liberal-capitalismo.

Come il Dio sovrano ebraico, ogni IO-DIO stabilisce “contratti” (Stati-governi-leggi-mercato) con gli altri umani che considera affini, a partire dallo Stato, primo “contratto sociale” per eccellenza, per arrivare ai patti sui diritti, alla compravendita della natura, al contratto di locazione al contratto condominiale.

Massa/individuo e capitale/denaro sono i nuovi presupposti (monadi kantiane) per i nuovi patti sociali.

Il rapporto mitico simbiotico di uomo-natura, viene sostituito con due astrazioni l’uomo-soggetto e la natura-oggetto. Una astrazione/distacco che permette il controllo/appropriazione della natura (l’oggettivizzazione della scienza) che ben si associa alla struttura economica della società e al potere (economico) borghese che monopolizza la società.

Il “rapporto economico” (rapporto di scambio di valori astratti) che nel precapitalismo per lo più era una parte minima secondaria della vita sociale, nel capitalismo diventa prevalente. Ma l’uomo non è ad una dimensione come teorizza Marcuse2, ma permane un insieme di rapporti sociali, e multi economici (un operaio ha un rapporto diverso se lavora per se o per altri, se fa un lavoro che gli piace o meno, altrettanto nel rapporto con il consumo, se va al mercato o se deve pagare la retta degli studi del figlio o fare un regalo ad un amico). Abbiamo così un tipo di lavoro come merce (di mercato, valore astratto), uno come come necessità (valore d’uso), e uno dono.

Non è questo il luogo per approfondire, ma diciamo che l’IO-Dio, il soggetto, la soggettività (e la “massa”) come feticcio antropologico è la pietra d’inciampo (anche) della sinistra marxista, un istituto sociale a cui nessun intellettuale vuole rinunciare. Che sia un marxista ortodosso, o uno del gruppo di Francoforte, i presupposti della coscienza di sé dell’illuminismo, è un’ontologia umana, è un traguardo da cui non vogliono recedere.

E succede che nel post ‘68, finito il “fenomeno sociale” collettivo, i singoli soggetti che magari si sono fatti anche tanti anni di carcere, finita la marea montante della contestazione, nella fase del “riflusso”, dove si rifugiano i compagni? Nella più “naturale” intima soggettività (liberal-borghese)!! Tante singolarità (soggettività da supe-Io) che magari producono anche narrazioni sul ‘68 più o meno stoici, ma sempre e solo come soggetti/oggetto; spesso in totale rottura o conflitto con gli altri “soggetti” con cui in precedenza hanno lottato e condiviso venture e sventure. Sono sterilizzati nei rapporti sociali, incapaci di (ri)costruire un noi non diciamo economico, politico o culturale, ma neppure una normale convivenza tra ex compagni, e non di rado hanno rapporti affettivi contorti. Segno che esisteva qualcosa di sbagliato anche prima e poi con la secca del riflusso i “bubboni” sono venuti a galla. Altrimenti non si spiega come numerose migliaia di militanti siamo evaporati dalle realtà sociali, incapaci fare anche solo ritrovarsi a una festa, figuriamoci a fare un movimento sociale.
La risposta che si da è proprio le stigmate illuministe che erano rimaste attaccate alle mani.

Ma la grammatica dell’illuminismo non la si supera né con il Marx scolastico, né con Freud, né con Marcuse (gli anarchici sono in ammollo/conflitto quotidiano nell’Io-Dio).

Non sarebbe male partire dalla VI tesi di Marx contro (l’illuminista) Feurbach:

“… Ma l'essere umano non è un'astrazione immanente all'individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l'insieme dei rapporti sociali…”.

Il mito borghese

Dopo aver creato l’uomo economico, libero dai vincoli sociali, con facoltà di proprietà (arricchirsi senza limite), con un ego ipertrofico, un super-IO, si crea il problema di come controllarlo per il bene comune. Le risposte sono lo Stato con monopolio della forza, e il mercato dove lupi concorrenziali si confrontano senza spargimento di sangue (come in precedenza(!?)) producendo senza volerlo con “la mano invisibile” (il caos costruttivo, Dio, a seconda delle interpretazioni) il bene della comunità.

Nei primordi dell'illuminismo si credeva che la scienza e la tecnica della modernità avrebbero portato alla fine dei conflitti e a un benessere progressivo (questo aspetto condiviso da molti marxisti ortodossi)

Ma questo modello ha generato iniquità, profondi dislivelli tra troppo ricchi (pochi) e troppo poveri (molti).

Il modernismo nella forma capitalistica distrugge le vecchie forme di produzione e di vita e con esse le relative antropologie con le sue forme di pensiero, idee di e mentalità.

Generare l’individuo come soggettività giuridico e politico, l’uomo astratto dalle relazioni umane, astrattamente libera, svincolato dai rapporti tradizionali (premoderni) sia tra persone e tra loro e la natura, rimodellato sulla circolazione della merce e del denaro. A questa nuova antropologia si contrappone una costellazione di “istituzioni” corrispondentemente astratte che fa il paio con la medesima individualità astratta. IO-Dio, Stato, religione, mass-media, apparato culturale, o del tempo libero sono feticci ( se ne parlerà meglio in altro doc.)

Il mito marxista

Come il sistema schiavistico ha generato il suo becchino: la borghesia, così la borghesia ha generato il suo antagonista: il proletariato. Il quale ad un dato sviluppo delle forze produttive cambia i rapporti di produzione come fosse un processo automatico, storico-progressivo.

Ma se due guerre mondiali che vedevano proletari spararsi l’un l’altro, e dopo tentate insurrezioni liberatorie ripiombate in altrettante forme reazionarie (fascismo, nazismo, e razzismo), sorgono dubbi su chi doveva essere il “soggetto” (classe) che “sopprimesse l’ordine esistente” e come dovesse farlo.

La risposta dell’Ulisse

Ulisse attraversando Scilla e Cariddi popolate da ammalianti sirene volendo ascoltare il suono ma non farsi coinvolgere, si fa legare all’albero maestro, mentre i rematori (proletari) con le orecchie tappate continuavano a remare ignari di tutto. (esempio metafora di Adorno e Horkheimer in “Dialettica dell’illuminismo)3. Ai rematori era escluso il piacere, la sensualità la voluttà che Ulisse godeva.

Questo spiegava per il gruppo di Francoforte l’assenza del “soggetto rivoluzionario”.

L’esistenzialismo come neo marxismo

La scuola di Francoforte elaborò diverse tesi, anche contradditorie che partivano dal marxismo, svilupparono le tesi di Lukas sull’alienazione. Ma erano in piena epoca reazionaria, i fasti operai del 1922 si erano conclusi senza dare corso a nulla, l'opinione operaia andava a destra (gli ebrei erano perseguitati). Gli intellettuali persero fiducia nel fatto che la classe operaia potesse farsi carico della trasformazione del mondo. Lo Storicismo ortodosso si era dimostrato fallace, sula crisi del “soggetto” ripensarono il marxismo in modo diverso. “dialettica dell’illuminismo” prima, “l’uomo a una dimensione” e “eros e civiltà” sono il background culturale che va a formare gli anni della contestazione.

I punti (limiti) principali sono:

  1. i player sono sempre soggetti/persone con desideri liberal-borghesi;

  2. fine della dialettica storica (l’antitesi: i rematori non portano alle nuove sintesi);

  3. i rematori aspirano alle stessi privilegi del borghese ma non possono;

  4. liberare l’eros, i desideri nel proletariato, il singolo che si auto-realizza attraverso la realizzazione dei desideri inconsci (il marxismo che si fonde con il freudiano).

  5. Si finisce sempre con l’attuazione dei principi liberl-borghesi dell’illuminismo di primo novecento.

  6. La teoria del fare, della forza dell’azione come alternativa alla Praxy del pensiero forte (che subentra più avanti, verso la fine anni ‘70)

Di questi punti se ne tratta solo alcuni per via della loro vastità.

Max Weber e lo spirito calvinista

Weber4 riflette sulle origini del capitalismo (riflettendo forse sul fatto che in capitalismo è non è nato in Cina con un feudalesimo molto più avanzato del nostro, come dalla spiegazione strutturale di Marx ci si sarebbe aspettato), e parte dalla “sovrastruttura”5, che genere di cultura serviva affinché nascesse il capitalismo?

Prende in esame i protestanti con il loro grande accumulo di ricchezze a partire al Cinquecento.

Weber prende il termine tedesco Beruf, che significa tanto "vocazione" quanto "lavoro", e coglie il nesso tra professione di fede e professione lavorativa.

Per i protestanti la salvezza è decretata da Dio ab aeterno, avere o meno successo sul lavoro è indizio di essere nella via giusta della salvezza e della grazia di Dio, il successo professionale che si ha nel corso della vita. Il protestante nel corso della sua vita compie un’autentica “ascesi intramondana”, più ha successo e piu si sente strumento di Dio nel mondo.

Accumulando ingenti ricchezze e non facendone uso per fini edonistici di sfarzo e di sperpero (accumula senza consumare in privato) secondo i dettami religiosi, può ritenersi salvato da Dio.

Nel mondo protestante, Weber usando la metafora del mantello che, usato per riscaldare, finisce poi per imprigionare come una “gabbia d’acciaio”; l’accumulo di ricchezza finisce per diventare fine a se stesso e non più funzionale alla religione, ossia finisce per trasformare il mantello della religione in una gabbia che la annienta. La razionalità del denaro alla lunga ha la meglio sulla razionalità di scopo della salvezza.

La vita spesa nel lavoro diventa priva di senso e fine a se stessa: ne segue la perdita della libertà, l’accumulo domina l’uomo e lo rende superfluo (il capitalista alienato).

Adorno ci vede l’Ulisse che passa dinanzi alle sirene legato all’albero della nave.

Weber vede le numerose conquiste dell’Occidente e interroga tutti noi se queste siano effettivamente universali, degne di essere esportate in quanto umane e superiori; tali conquiste sono, ad esempio, la scienza e “la forza più fatale” (il capitalismo).

Agli occhi di Weber, la modernità viene a configurarsi come un processo che tutto razionalizza (l’insegnamento, la politica, ecc). Ma è una razionalità separata, frazionata ogni settore è una scienza-razionale a sé macro-fisica, micro-fisica, magnetica, chimica, antomologia, biologia, pedagogia, ecc. rispondono solo a se stesse, un autentico frazionamento dei valori o, un politeismo dei valori”, di fronte ai quali come di fronte agli dei greci, ognuno può adorarne uno e trascurare gli altri. Tra i valori non v’è contatto né comunicazione, il “moderno” si prospetta come tragico smarrimento del senso delle cose, come fredda “gabbia d’acciaio”, ciò che è buono non è anche vero, e ciò che è bello non è più anche buono.

Il frazionamento dei valori di fronte ad una razionalità che tutto promette senza nulla mantenere, si ha una razionalità, a fondamento de capitalismo, malata autoreferenziale, autofagocitante, che riflette i meccanismi della stessa religione che doveva sostituire. Un ritorno ai miti olimpici perché incapaci di gestire la complessità. (Se in Marx e in Hegel vi era il “superamento” dialettico, in Weber invece si ha un ritorno).

I Francofortesi cercano di coniugare Marx, Weber e Freud.

La sobrietà di vita del primo borghese-calvinista è fatta propria anche dalla classe operaia del primo novecento, Berlinguer (che non volle prendere il potere ma sublimare questa tensione con l’essere posturalmente con la sobrietà di vita e la questione morale e intellettuale) ne era il massimo esponente nei suoi richiami, negli obbiettivi di lotta e nelle critiche al ‘68. Un modello che aveva contagiato anche una parte del movimento del ‘68 che vede le BR con il loro trappismo il focolaio principale.

Il soggetto edonistico

La storia della liberazione dell’individuo, in tutte le scuole di pensiero il “soggetto” come feticcio è una invariante storica della modernità. Il “soggetto/persona” segue lo sviluppo della moneta-merce. Ad ogni nuova crisi della società borghese del denaro l’ideologia del la liberazione del soggetto spicca il salto da un certo livello a un livello superiore, la tendenza è svincolarsi da ogni gabbia da ogni “autoritarismo”. Questo concetto è importante per le tesi che andremo a sostenere più avanti

Nel corso della metà del secolo scorso, ritenuta esaurita la funzione emancipatrice della classe operaia, si pensa che le cause di questo mancati riscatto risieda nella alienazione che l’operaio subisce.

A soluzione del problema proposta da Marcuse (in “Eros e civiltà” )sarà l’appoggiarsi ad una nuova figura di “soggetto”; egli sostiene la necessità di comprendere “la comparsa di una nuova soggettività” rivoluzionaria e la necessità di abbandonare le precedenti “pietrificazione dei concetti” su cui si fondava la vecchia ideologia della sinistra (scolastica) che “cede a un feticismo della classe operaia” e invece occorre appoggiarsi al nuovo “soggetto” in grado portare avanti la fiaccola dei bisogni emancipatori.

Per Marcuse l’attuale classe operaia è ambivalente, si esprime nella contestazione tanto dell’establishment dei partiti comunisti e dei sindacati che offrono l’integrazione al sistema.

Marcuse, contro l’unidimensionalità del rapporto sociale e l’alienazione generica dell’uomo, ci propone l’eros come forza di redenzione e la rivoluzione culturale come terreno centrale di azione. Rivoluzione che vede la nuova soggettività come momento costitutivo dei processi sociali nella loro trasformazione; il soggetto con le sue ragioni individuali, con i propri bisogni immateriali sono al centro della rivoluzione. Per abbattere l’alienazione dell’uomo, la soggettività costituisce il momento costitutivo che dà luogo ai bisogni, rivolti principalmente sull’eros e sulla rivoluzione culturale quali principali terreni di azione. Come tentativo di scardinare il progetto capitalistico di mettere ‘ordine’ alla connaturata indisciplina della soggettività ribelle e alle sue istanze di liberazione.

Secondo Marcuse la costruzione della civiltà del futuro è la civiltà della liberazione di Eros. Un sistema di nuovi bisogni, un’escatologia radicale, una rivoluzione contro il Sistema totalmente repressivo, che tocchi le radici biologiche del desiderio contro la logica totalitaria e irrazionale (comportando cambiamenti di vita individuale e familiare, organizzazione politica, del lavoro fatta da “nuovo soggetto rivoluzionario”). (semplificato).

(Qui risiedono i tratti “biopolitici” di Negri del Sessantotto)

L’antiautoritarismo

Parliamo del “soggetto rivoluzionario” (l’individuo cartesiano) che ribellandosi contro la società e lo Stato compie un atto contro lautoritarismo. Il soggetto/persona in eterna lotta contro le istituzioni (dai manicomi alle carceri ai tribunali, alle caserme),contro l’autoritarismo sociale, i cattedratici, i giudici, i militari, i poliziotti: Questo costituisce la novità del ‘68 rispetto agli anni precedenti.

C’è da dire che l'antiautoritarismo anche nelle sua ambiguità filosofiche ebbe una indubbia valenza emancipatrice a fronte di una società ancorata al paternalismo istituzionale.

I concetti di antiautoritarismo e di autonomia del soggetto vennero intesi sia come l’indipendenza rivendicata dall’individuo in conflitto contro le istituzioni sociali oppressive e repressive che nella sua forma più radicale dove l’antiautoritarismo si scagliò contro qualsiasi autorità esterna all’io individuale, diventato politico (dalla famiglia alla chiesa, alla Proloco), contro qualsiasi autorità esterna all’io individuale, quale che fosse la sua natura; un solipsismo egoista che avrebbe dovuto emanciparsi in questo processo di lotta/autocoscienza.

Una parte l’antiautoritarismo condivise pienamente con marxismo l’idea dell’abolizione dello sfruttamento economico in quanto base della repressione sociale e al contempo individuò anche nelle direttive della III (e IV) internazionale, del socialismo reale, una concezione che porta a una nuova forma di oppressione istituzionale che lede le libertà del singolo. Quindi il movimento antiautoritario giovanile fu rivolto non solo dalla critica del tardo-capitalismo fordista (e al consumismo che imponeva il fordismo ma anche dalle società a regime di “socialismo reale”) perché è un fatto che nel 1968, al culmine del movimento, il Maggio parigino e la Primavera di Praga fossero travolti dalla medesima macchina macchina della repressione; e sembrò offrire una conferma schiacciante del connubio due imperi = due regimi.

Il fordismo con la sua spinta alla produzione di merci che nel secondo dopoguerra diventa globale, dà una ulteriore spinta al consolidamento di questo soggetto monadico; il rapporto di tensione con la società che li aveva generati. L’antagonismo individuo-società le sue pretese di assolutezza si fece più forte, e la repressione delle istituzioni sociali, giudicate non secondo la loro logica funzionale, ma in un’ottica quasi precapitalistica, come apparati al servizio di gerarchie “regnicoli”.

L’impulso rinnovatore del ’68 avrebbe potuto certo giovarsi della critica radicale che Marx aveva formulato nei confronti delle categorie fondamentali della modernità capitalistica (valore, merce, denaro, Stato etc.) e che era stata colta, almeno in parte, da alcune correnti critiche più eterodosse, come G. Debord

e i situazionisti francesi. Parliamo del gruppo anarchico “dell’Internazionale situazionista”, un organizzazione completamente scomparsa, francese e tedesca. Come suggerisce il nome questa corrente sembra essere sorta nel contesto dell’esistenzialismo francese di sinistra. Il concetto di “situazione” è il perno della loro filosofia. Al contrario del vecchio antiautoritarismo anarchico, i situazionisti posero al centro la critica di Marx del feticismo della merce, e presero di mira il “mondo delle immagini” in quanto feticci che veicolano altri feticci tipico della cultura del consumismo nell’epoca del fordismo maturo, una prospettiva assai più seria della psicologia della “compulsione al consumo”: tutto si dice di questa società, salvo quello che effettivamente essa è: società della merce e dello spettacolo.

Ma questa critica anche se in forma embrionale e frammentaria non venne mai recepita dal marxismo scolastico, che si risolse puntando tutto sulla “lotta di classe” orientata alla redistribuzione “più equa” del plusvalore sociale, senza mettere in discussione quest’ultimo.

Il fare

Nel tardo periodo del movimento di fine anni 70, il fare, come “pensiero debole” prevalse sul pensare, e si dette luogo a fenomeni come gli arancioni da un lato e l’anarchismo armato romantico dall’altro, dove il gesto soggettivo prevalse sulla funzione comunicativa e pedagogica. Si pensava che un gesto di per sé rivoluzionario comunicasse immediatamente il suo senso a tutti, e non faceva i conti con i Media, a ciò che tra azione e comprensione del gesto stava in mezzo. Cento volantini erano nulla contro milioni di giornali, radio, TV. Che si collocavano ime mezzo come MEDIA-tori.

Rivoluzionari in sé e per sè

Al di là di quello che ognuno pensava di sé nel ‘68, poi c’è la realtà fattuale l’incosciente per sé che si determina. E’ indubbio che il movimento antiautoritario, non in tutti i paesi, abbia contribuito alla “modernizzazione”, piena e integrale della società modellata sulla forma-merce.

La “democratizzazione” sociale, dell’ampliamento dei “diritti e delle libertà” i reduci di quella battaglia deformano fino all’irriconoscibilità la vera sostanza di quegli sviluppi.

La macchina della repressione statale, l’espansione davvero mostruosa degli apparati burocratici ereditato dal dopoguerra non ha più la funzione di conservare gerarchie e strutture autoritarie tradizionali (strutture in parte apparati semi-feudali ereditati dai Savoia).
L’enorme capacità produttiva del fordismo (dove questo si è sviluppato)
chiede una libertà mercantile che non può essere circoscritta al territorio. (Del resto lo stesso “Piano Marshall riversò tonnellate di merci – surplus – americane in Europa.). Serve l’uomo- merce completo, sia come forza lavoro che come consumatore allo scopo dev’essere svincolato da uno Stato oppressore e vincolatorio.

Sintetizzando per punti abbiamo che:

1) In regime capitalistico gli individui devono conformarsi, senza alcun genere di limitazioni, al libero movimento del “soggetto automatico” (Marx), alla forma-valore della riproduzione sociale e quindi del denaro, diventato con il nuovo passo della modernità finalmente totale/globale. Le residue strutture tradizionaliste e le forme di coscienza autoritarie dovevano essere eliminate proprio perché di ostacolo alla libera fluttuazione delle monadi del denaro, e per quanto assurdo possa sembrare è proprio in quest’ambito che il movimento antiautoritario ha raccolto i suoi “successi” più duraturi.

2) La Teoria Critica6, dei francofortesi prendendo l’illuminismo (come le scienze e la tecnica) per una struttura sociale neutra al di fuori e indipendente dal capitalismo che l’ha plasmato e sostenuto, alla fine gli autori si comportano da veri socialdemocratici.

Tra intensificazione della repressione e dello statalismo e o razzismo e le estensioni delle libertà dell’individuo non c’è necessariamente esclusione , bensì implicazione reciproca, fanno parte dell’evoluzione del modo di accumulazione capitalista e della sua forma mercantile. Nel passaggio da sussunzione formale del capitalismo a sussunzione reale della società, si colloca la nascita della Costituzione Americana che sanciva diritti inalienabili per gli uomini.. bianchi, infatti erano esclusi schiavi, nativi e le donne. Che furono solo successivamente via via integrati.

E se si guarda bene i tempi recenti i diritti acquisiti dalle riforme antiautoritarie ed emancipatorie si sono risolte sempre con una ulteriore mercificazione della società in settori prima esclusi; le libertà sono diventate libertà “Alpitour” per assorbire in modo capitalistico il tempo liberato del non lavoro, centri commerciali, mode e cure del corpo prima impensabili (e meno librerie!); e la realizzazione (parziale) della “liberazione sessuale” ha prodotto le multinazionali nell’industrializzazione pornografica e sexy schop. E non ha sedimentato nulla sull’affettività ed educazione sessuale. Le panetterie e altre imprese artigianali “alternative”, le attività agricole a km 0, fino al modello keynesiano in politica economica, le attività sul “sociale” con le loro interconnessioni e mediazioni dello Stato, non segnano una nuova metamorfosi della soggettività “ribelle”, quanto piuttosto la sua totale soppressione.

Concentrandosi esclusivamente sulla asocialità dell’individuo come feticcio e sulle sue pretese i progetti “alternativi” hanno significato fin dal principio l’abdicazione da ogni pretesa sociale,

Al massimo che si è riusciti a fare una volta ridotte ad asfittiche residenze collettive”, sono state la creazione di tipografie e case editrici quasi inutili, di birrerie,caffetterie, centri sociali, librerie, separati dal contesto sociale per che hanno come referente un movimento politico in decomposto e in estinzione, e quelle che sopravvivono si convertirono mano mano in “attività commerciali”.

3) Più viene meno un senso collettivo e le finalità sociali di lungo respiro, più si insegue la pratica e i bisogni immediati, e più ci si sottomette alla privatezza astratta e fine a se stessa.

Più si perde di vista la prospettiva “trascendente” rivolta alla totalità sociale, più ci si attesta sul pensiero breve, più si politicizza e pubblicizza il privato (narrazioni, biografie, autovalorizzazioni, autoesaltazione ecc), più si mette l’enfasi sull’autodeterminazione rivoluzionaria, l’autogestione fatta passare come progetto alternativo più si celebra l’astrattezza borghese del soggetto-movimento egoista e individualista, più si incrementa la decomposizione sociale e si esalta l’avvento pervasivo della forma-merce.

Segno comprovato dell’ottusità teorica in cui siamo finiti.

4) In tempi in cui si mette sotto scacco la riflessione come principio dell’esistenza; è come fare il formaggio naturale alternativo, “naturale” senza seguirne la filiera produttiva (cosa mangia la mucca in che condizioni, l’impatto ambientale, come sono trattati i dipendenti, come si raggiunge il cliente-consumatore, in che contesto economico ecc.). Senza questa visione abbiamo gli “ecologisti di mercato” (di cui i Verdi rappresentano solo un piccolo segmento di questa tendenza), il cui baricentro si trova principalmente nella prospettiva “eco-sociale-economica” come capitalismo “sostenibile” nei rapporti con l’ambiente.

In assenza di riflessione sulla filiera produttiva tutto è falsato non vi può essere nulla di autentico; sotto il dettato della forma-merce totalizzante, come singola istanza, la singola coscienza individuale anche se “ritrovata” non può che assoggettarsi incondizionatamente all’automovimento oggettivo della forma-merce stessa.

Da sempre il movimento degli alternativi viene incalzato sul loro stesso terreno dalla ferocia della forma-valore sociale, come dimostra da noi “Eataly”, “Alce nero” la paradossale fondazione di banche alternative, finanza etica, monete alternative, nonché la tendenza all’autogestione operaia, che se usata come fine a se stesso e non come avvio alla fabbrica sociale si trasforma in appendice del capitalismo. Non parliamo delle (finte) cooperative dove un manipolo di “soci organizzati e interessi” governa sui molti.

Uno dei tanti stadi di transizione del movimento antiautoritario presente da anni è buttarsi sul “lavoro sociale” (“portatori sani” di “progetti «alternativi”) soluzione che mette insieme sia il piano intimo-personale (la soggettività) sia quello ideologico/politico. E’ un settore maturo che nel tempo si è talmente sviluppato e professionalizzato sia nelle forme sia nella ricerca risorse che oggi siamo bombardati da raccolte fondi per le situazioni più disparate..

5) Il massimo lo si raggiunge con l’operaio “imprenditore di se stesso”. L’industria avanzata esige innovazioni sociali per se stessa e per i suoi scopi, nell’Occidente industrializzato il singolo uomo può essere spremuto di più se lo fa da solo(!) può essere ancor più produttivo e con un minor dispendio. Non parlo più di operai ma di “risorse umane” che sono il potenziale più redditizio di gestire un subordinato.

Ciascuno diviene il manager di se stesso e il nuovo stile dell’organizzazione aziendale si chiama networking style of management, dove ognuno rappresenta una risorsa per tutti gli altri e tutti per il capitalista (!). Le imprese si prendono cura delle loro risorse umane assecondando i bisogni sociali e le necessità del mondo della vita dei loro dipendenti e questo produrrà di più. La “nuova povertà” di queste risorse umane più mobili e intercambiabili stanno nella “gabbia d’acciaio” del processo di valorizzazione delle risorse umane che non si contrappone al classico immiserimento del lavoro subordinato.

Partecipando in maniera socialmente attiva ai processi economici con l’autogestione, l’autoamministrazione, si esercita anche l’autovalorizzazione sono nello scenario post-fordista.

Le Workers buyout, le cooperative e il compito Compito dei Consigli operai non sarà dunque l’autogestione del mondo esistente, ma la sua trasformazione qualitativa ininterrotta verso il superamento concreto della produzione di merci e tra merci; il processo di produzione di merci è di per sé il travisamento e trasporto di sé e degli altri fruitori dentro la “gabbia d’acciaio” dell’alienazione in quanto fabbricanti di feticci.

Le ricostruzioni altre del ‘68

Manichei: “ha scatenato il vaso di Pandora” dei mali della post-modernità”.. “la fine della civiltà del decoro borghese”.. “la contestazione studentesca con un impulso modernizzatore, ammantato di una «falsa coscienza» ribellistica, che mirava fin dal principio, non tanto “alla socializzazione dei mezzi di produzione, quanto piuttosto alla liberalizzazione dei costumi”.. “allo sviluppo della società dei consumi e dell’individualismo edonistico…” (per tutti C. Preve)

Rivoluzionari: l’ennesima occasione rivoluzionaria mancata, da addebitare a una “coscienza di classe” deficitaria o “all’opportunismo» dei suoi dirigenti” (della sinistra) o al tradimento di alcuni militanti di spicco.

e/o ha conseguito l’estensione dei diritti individuali, una rivoluzione della vita quotidiana (soprattutto nella sfera sessuale), lotta alle istituzioni sociali, una nuova concezione della marginalità sociale, la critica del sessismo e dell’oppressione della donna, la lotta alla repressione poliziesca e istituzionale nelle sue forme più drastiche e “anticostituzionali”, più in generale, l’esaltazione di un individualismo positivo all’insegna della di Camus.

Riformisti: l’elemento estremistico (che finì col concentrarsi nella violenza ideologica del terrorismo) non ha permesso la realizzazione un ampio programma di “riforme democratiche”. Ma che sopratutto i sindacati fecero proprio le vertenze sui diritti.

Question

La vera domanda da porsi è: perché questo diffuso movimento critico non sfociò in una reale trasformazione sociale realmente anticapitalistica ma si risolse verso i due esiti (per R. Kurz7 due facce della stessa medaglia) l’individualizzazione, atomizzazione, alias monadizzazione sociale, da una parte, e della “democratizzazione” delle merci e della sua logica dell’altra?

La risposta va ricercata nella cultura su cui si faceva leva allora che gravitava intorno al perno del rapporto tra individuo e società, che si tradusse nella sua ideologia antiautoritaria in senso stretto.

Il problema è che il liberalismo borghese pone il conflitto tra l’individuo (moderno, capitalistico) e la società (moderna, capitalistica) come momento strutturale e per certi versi oscillatorio nel corso della storia della modernità. Non è un conflitto sovrastrutturale tra due realtà autonome, ma tutto l’anarchismo è il fascismo sono dentro questa diade d’essere della società uscita dall’illuminismo.

Tutta la narrazione di Marx della rivoluzione comunista diventa tale solo se raggiunge l’abolizione del lavoro salariato in quanto soppressione della forma-merce-denaro, lavoro-valore. In assenza di questo specifico contenuto rivoluzionario ai soggetti in rivolta non resta che rimasticare fino alla nausea gli ideali della borghesia rivoluzionaria del primo 900, ormai in disfacimento (diritti dell’uomo cittadino del mondo, cosmopolita). Anche il radicalismo più spinto finisce per collocarsi sul livello della forma; è questa la ragione per cui la «questione del potere», che è puramente formale sovrastrutturale (lo Stato) allocando contro delle “strategie di contro-potere organizzato”, mantenendo in questo modo l’architrave degli stilemi borghesi del valore-lavoro, salario, merce.

Nei momenti di disallineamento tra società e capitale (struttura e sovrastruttura subentrano dei grandi sconquassi sociali. Ma negare l’assioma di Marx si risolve nel fatto che ogni rivolta (operai al traino della piccola borghesia) si risolve nell’adeguamento della sovrastruttura alla struttura. Dalla metà del secolo scorso in poi questa integrazione ha voluto dire l'inglobamento della classe operaia nella socialdemocrazia, e all’Est, la società sovietica non fu altro che socialdemocrazia spinta anch’essa assoggettata alla forma-merce in quanto espressione dell’industrializzazione speculare alla società borghese, sebbene sotto sembianze peculiari del capitalismo di Stato.

Il capitalismo gaudente

(La democratizzazione, la moneta va al mercato)

Motivazioni storiche.

Nel secondo dopoguerra il capitalismo fordista diventa integrale, una visione totale della società per la prima volta nella storia. In Italia rimane legato a poche grandi famiglie con gestione patriarcale dell’impresa.

Ma lo Stato dello stivale era rimasto ancora arcaico-risorgimentale (Sabaudo), con la gerarchia militare e burocratica (scuole, ospedali, magistratura, ambasciatori, in mano alla aristocrazia (fascista)). Su modello hegeliano paternalista, da “grande padre”, con il senso della patria retaggio del romanticismo tedesco.

La società vide una seconda grande emigrazioni ma stavolta dalla campagna verso le città, dal Sud verso il nord. che andava a smembrare i vecchi vincoli familistico-patriarcali legati alla terra.

La cultura fordista con l'efficientismo scientifico affascina e permea la società, lo Stato, le associazioni sindacali e sociali e andava a sostituire la cultura della vecchia aristocrazia industriale e del latifondismo autoritario meridionale.

Le libertà individuali di soggetti senza qualità, si sovrappone alla liberazione della moneta dai vincoli aristocratici,la agognata democrazia (rappresentativa) del “cittadino” fa il paio con il denaro (emesso e rappresentato dalle banche) il parlamento (la democrazia parlamentare) fa il paio con borsa dei titoli, hanno la stessa antropologia. Il patto sociale è analogo al patto commerciale. Relazioni non casuali di quello che Marx chiamava: il mondo delle merci!

La grande industria della modernità richiedeva il superamento della conduzione famigliare in cui versava l’individuo e sopratutto la donna, e un più efficiente struttura e sovrastruttura (fordista). Serviva una spinta modernizzatrice del capitalismo contro il tradizionalismo autoritario e paternalista della direzione, a cui erano assoggettati gli operai -parte del “popolo-patriota”- fondata sulla famiglia patriarcale.
Nel “capitalismo avanzato” e nella moderna burocrazia di Stato la soggettività è necessariamente modellata sullo scambio denaro/merce.

Condizioni che stridevano con le nuove condizioni di lavoro altamente parcellizzato e automatizzato e una direzione manageriale, scientifica della produzione (Taylorismo) che voleva allargare il mercato alla nuova dimensioni delle merci prodotti (un auto ogni famiglia di Ford). Si apre una nuova dimensione dello spazio sociale. La mobilità sociale (anche l’emigrazione) innesca un’immane malessere nel sentirsi segregati nel gregge della comunità Stato/famiglia.
Le basi culturali per il superamento di questi vincoli li forniscono, Stirner (liberla-borghese) e la Scuola di Francoforte (sostanzialmente socialdemocratici) e in Italia tale riflessione faceva capo all’autonomia di Toni Negri.

Si fa leva e appello sull’individualità in sé, il “soggetto” come portatore della rabbia che si oppone contro l’essere massa (operaio), e l’alienazione terrificante “dell’autovalorizzazione totale” dei paesi dell’Est.

Nell’apice del successo fordista l’organizzazione economica si vuole scrollare di dosso la sovrastruttura ideologica, politica e istituzionale arcaica per molti versi pre moderna.

Nei Paesi del Nord l’operazione riesce, in Italia il blocco DC-PCI-massoneria ne impedisce l’attuazione, ci penserà Craxi e i DS dopo a realizzarne in parte al Nord Italia.

In Francia e Germania dagli anni ‘80 in poi i movimenti vennero inclusi nelle istituzioni (in modo diverso, nei partiti nei socialisti e verdi, socialmente nelle scuole e strutture varie (terzo settore, burocrazia, informazione).

In questo passaggio all’industrialismo maturo che si inserisce il ‘68.

Con due parole d’ordine la democratizzazione della società e lotta all’autoritarismo. Entrambi con qualche ambiguità.

Altrettanto ambiguo era il “soggetto” sociale che se ne faceva promotore.

Appunti finali

1) La Teoria critica, nonostante i suoi indubbi meriti nella critica dell’autoritarismo sia del tardo-capitalismo, che del socialismo di Stato, soprattutto nella versione che ne diede Adorno, identificò pur sempre nel “soggetto borghese” il cardine della propria riflessione emancipatrice, convertendola in una forma di pessimismo storico-sociale.

La Teoria critica, condannò il movimento all’acefalia teorica, cosicché l’ideologia antiautoritaria e anti-istituzionale non poté che reggersi su basi politico-morali; il risultato fu inevitabilmente il riflusso verso forme organizzative compatibili con la politica democratica ( verdi e ecologisti) con, il ridimensionamento di qualsiasi ambizione trasformatrice per isolarsi nelle riserve indiane del movimento alternativo, null’altro che un mini-settore marginali della società della merce, l’”autogestione” nei limiti consentiti dal sistema e la “valorizzazione” alternativa del proprio “capitale umano” (Samuele Cerea, settembre 2017).

In questo senso la filosofia torna con Negri ad essere intesa come prassi, come “proposizione soggettiva, desiderio e prassi che si applicano all’evento”

Marx era più che mai lontano da simili propositi; infatti per esso il problema non consisteva nella realizzazione bensì, proprio all’opposto, nel superamento del liberalismo e dei paradigmi dell’Illuminismo. Di conseguenza non si capisce come possa sorgere un’individualità sociale “comunista “ che si concilia con il superamento della produzione di merci.

Il dilemma del movimento nel rapporto con i suoi “padri teorici” può essere così riassunto: invece di criticare la loro ritirata verso il riformismo democratico sulla base della teoria stessa, la critica del movimento del ‘68 fu prettamente formale e si limitò a puntare l’indice contro una presunta “volontà di prassi” deficitaria che contribuì oltremisura ad un ottuso feticismo della prassi, che fece scivolare gradualmente la sinistra rivoluzionaria lungo la china della demoralizzazione umana e polverizzazione politica.

2) Per tradurre queste tesi in pratica sarebbe molto proficuo partire dalla metafora del potere di Gramsci che rin sintesi diceva: il territorio tra noi e il potere è costellato di tante casematte (agenzie, corpi intermedi). Bisogna conquistare le casematte una per una, fino alla resa finale. Serve quindi una “guerra di posizione”.8



 

1Sono in tanti a credere che la necessità di far di conto, di comparare grandezze ineguali abbia prodotto la moneta come equivalente generale quindi la matematica e il “logos” come pensiero razionale.

2 “L' uomo a una dimensione” di Herbert Marcuse 1964 Einaudi.

3Dialettica dell’Illuminismo” (Dialektik der Aufklärung) Opera di M. Horkheimer e Th.W. Adorno scritta in esilio, fra il 1942 e il 1944, e pubblicata nel 1947. Qui l’Illuminismo è indagato nella sua fase “autodistruttiva”. Parla ma del “dominio” dell’uomo sulla natura mediante la scienza e la tecnica, a partire dall’Homo sapiens. Dove Ulisse ne incarna il “mito”, così come la Juliette di Sade ne incarna la “morale”. La scienza creata dalla ragione origina il mito del “progresso” e della civiltà, un positivismo che si rovescia dialetticamente nel suo contrario, strumento di dominio sul soggetto e di autoconservazione. Nell’alta modernità essa diventa strumento nuovo tipo di dominio che crea tecnocrazia e industria “culturale” che produce che “reifica le anime”, diventando essa stessa media-totalitarismo.

4 M.WEBER, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, tr.it. di Marietti, Milano 1991

5 Qui si usa il termine “struttura” e “sovrastruttura” nella classica interpretazione del marxismo da “scolastica”.

6 Sempre in Max Horkheimer - Theodor W. Adorno, Dialettica dell'Illuminismo, Torino, Einaudi, 1995.

7 Robert Kurz: “Ragione Sanguinaria” Mimesis e rivista Krisis N 25 (2002).

8 Gramsci visto il fallimento dei movimenti insurrezionali in occidente, ne analizza le cause e vede nella complessità delle società avanzate la causa; ceto medio più ricco, organizzazioni sociali in senso corporativo (religiosi e professionali), e soprattutto l’enorme apparato culturale e di comunicazione di massa. E giunge alla conclusione che la “guerra di movimento” (alla Lenin) in occidente, paesi a capitalismo avanzato, non ha mai funzionato, bisogna partire dalla periferia verso il centro. (Strategia del PCI fino agli anni ‘70; con scuole quadri di partito e gestione amministrazione di comuni e Regioni ecc. .. anche se con molte ambiguità).