MARXISMO GRIGIO

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SCHIAVI DELLO SVILUPPO

Come subentra la fase del massimo splendore del capitalismo, si realizza che l'industria robotizzata non genera più plusvalore. Il vecchio “patto sociale” non può più essere onorato, la qualità della vita degrada e vengono fuori movimenti di destra che puntano a mettere l'orologio della storia indietro.

I sindacati e partiti di sinistra credono invece che sia solo una fase di crisi transitoria e abbozzano, aspettano il nuovo vento in poppa al capitalismo per riprendere la contrattazione.

Per chi vive in occidente ci sono delle verità scomode che nessuno dice e tanto meno vuole affrontare. La chimera dei “modelli di sviluppo”

Tutti, poteri forti, semi-forti e deboli sono dentro la chimera dello “sviluppo” inteso in senso capitalista: bisogna aumentare la produttività, ammodernare gli impianti. Si pensa che il capitalismo abbia ancora tanto da dare, ma non si fa i conti con il fatto che più il capitalismo si “sviluppa” più fa a meno della manodopera.

Se la base salariata viene meno e la platea dei consumatori si restringe, per vendere le merci prodotte dall'industria queste devono costare meno. Succede che scarpe, abiti, gadget, auto, ecc. costano poco e durano una stagione: merci effimere; anche la catena del cibo è dentro lo stesso cliché: nei supermercati abbiamo una pletora di cibo, la stagionalità si è rotta, ma a scapito della qualità, trattasi di cibo effimero, cibo spazzatura.

Lo “sviluppo sostenibile” è la foglia di fico sull'aggressione del capitalismo alla qualità della vita dei proletari e verso la natura.

È solo un diverso modo di fare profitti verniciando i sepolcri.

LA CATTIVA COSCIENZA DELL'OCCIDENTE

Si fanno molte analisi, con molte invettive contro l'imperialismo.

Imperialista è sempre “l’altro” e non ci riguarda, si fabbrica una coscienza rassicurante, ma che non corrisponde alla realtà: noi occidentali siamo parte integrante dell'imperialismo!

La filiera del dominio

Gli USA sono il dominus, Inghilterra e Francia (e Germania per altri versi) sono sub imperi, l'Italia con gli altri paesi europei chiudono la fila. Tutti questi paesi fanno parte del blocco occidentale: “il cerchio magico” dei privilegiati, e non riguarda solo la classe dirigente.

I cerchi concentrici dell'abbondanza

Questo blocco ha una popolazione composta da 1/5 circa di quella mondiale. Ma consuma risorse per 4/5 del pianeta.

Nei Paesi occidentali dove lo sviluppo della tecnologia nel capitalismo ha permesso alle classi medie e piccole di accedere a beni che prima erano ad appannaggio solo dei borghesi (dai frigoriferi, alle lavatrici alla televisione ai trasporti, alla sanità, alle auto, alla casa, alla democrazia, ecc. ecc). Un insieme di “agi” che per i proletari sembrano il “minimo sindacale”, tuttavia vanno a comporre lo “stile di vita” occidentale.

Lo stile di vita occidentale ha come presupposto inevitabile l'esclusione del “resto del mondo” da questo banchetto. Del resto, tutti sanno che il pianeta terra è uno e non reggerebbe se tutti i suoi abitanti adottassero lo stile di vita occidentale1.)

Anche se il “resto del mondo” è proprietario di ricchezze immense (petrolio, minerali, terre fertili, ecc) ma non ne hanno la disponibilità. Tutti sanno dei bambini africani usati nelle miniere per estrarre coltan per le nostre auto elettriche e telefonini, Oppure che si fomentano le guerre tribali per prendere sottocosto il petrolio per le nostre auto, l'uranio per le centrali termiche o per le armi, il ferro, i diamanti, ecc ecc. In Africa e Medioriente esiste “la maledizione delle risorse”: dove ci sono risorse ci sono conflitti secolari (foraggiati dall'occidente) che gettano la popolazione nella penuria, nella fame e li spinge a emigrare.

La redistribuzione delle ricchezze mondiali è conforme alla distanza dall'epicentro dell'impero. Negli Stati dominanti ci sono ceti medi e classi privilegiate con redditi alti, in quelli vassalli sono a reddito medio e basso, nei paesi sudditi si hanno forme schiavistiche.

In occidente la classe “master”, corrompe la sua classe subordinata con salari più forti, contro e a discapito dei paesi “slave” e della loro popolazione. Si realizza uno scambio differenziale dei proventi imperiali in modo scalare, al fine di assicurarsi un retroterra sodale che permette di esercitare in relativa tranquillità la rapina verso i paesi ultimi.

Gli avvoltoi della desertificazione industriale

Quando in occidente arretra, il capitalismo lascia interi territori senza risorse salariali, disoccupati pronti a tutto pur di sfamare la famiglia.

Nelle nostre aree ripiombate nel sottosviluppo è stanziale il “capitalismo di risulta”, il capitalismo pauperistico, quello che non riesce a produrre ricchezza in condizioni “umane” e specula in queste sacche di miseria per insediare un feudalesimo industriale con attività borderline, o tossiche. Parliamo delle industrie militari che s’insediano nelle zone depresse per fabbricare in tranquillità armi e bombe che poi saranno usate sui civili; oppure delle industrie con produzioni che avvelenano l'ambiente e gli abitanti, industrie decotte che resistono sul mercato con macchinari vecchi, frodando fisco e lavoratori. Sono tutte attività bastarde che, oltre a danneggiare l'ambiente, danneggiano la tenuta della società, oltre che spingere i proletari “privilegiati” a uno scambio criminale: lavoro vs. salute.

LA PRODUZIONE DELL'OPERAIO SOCIALDEMOCRATICO

Uno dei lavori meglio riusciti da parte “dell'intellettuale organico” è quello di mantenere la classe subalterna all'interno del dominio capitalista e dell'illuminismo proto-borghese.

Da un lato questa “intellighenzia” diffonde i feticci della democrazia, della costituzione, dello Stato, della rappresentanza e dei valori “universali”, a discapito del sistema consigliare e dell'abolizione delle alienanti istituzioni; dall'altro l'aristocrazia culturale ha un rapporto gerarchico con i proletari e li tratta come minores, persone semplici, suscettibili, verso cui bisogna filtrare in modo rassicurante le informazioni (vecchia politica della TV e dei giornali istituzionali), “popolo” come insieme di individui economici capaci solo di seguire i “pensieri” di pancia e rivendicazioni immediate.

È una declinazione del pensiero borghese2 che riduce l'esistenza umana a un calcolo continuo di costi e benefici, nell'ottica dell'individualismo utilitaristico di natura darwiniana (versione scolastica).

È una idea autoritaria nei confronti del “proletario” che la socialdemocrazia condivide con il marxismo-leninismo nella versione lassalliana!

La sinistra francescana

Tutta la sinistra è inchiodata alla politica “redistributivista” e delle vertenze, tutti schemi culturali che derivano dal patto di Bad Godesberg3 dove la più grande socialdemocrazia occidentale si liberava della teoria di Marx.

È la cultura del capitalismo come fine della storia, il migliore dei mondi possibili, l'approdo dell'umanità.

Alle volte si dicono comunisti, si dicono rivoluzionari, ma al dunque tirano fuori la loro natura socialdemocratica.

I loro tratti distintivi sono:

  1. Trattare l'operaio come un borgheseminoresrisale già alla notte dei tempi, fin da quando marxisti, pariti, sinistra, sindacati, movimentisti, trattano gli operai come dei micro borghesi che devono piazzare sul mercato la propria forza lavoro, essendo “portatori di bisogni poveri e di necessità elementari”.

  2. Sotto la socialdemocrazia (e il PCI), il movimento operaio e sindacale non è mai andato al di là del “lavoro come salario”. Un mondo senza salario non è mai stato nell'orizzonte di questi dirigenti. La subalternità operaia al salario è la premessa per tutta la politica del sindacalismo. (Se si chiude una fabbrica il sindacato reclama un nuovo padrone che garantisca i salari. Il sindacato chiede la piena occupazione, ma si dà per scontato che siano sempre i capitalisti a realizzarlo (o il capitalismo di Stato). Tutta la sinistra, dai Cobas-USB ai partiti, di fatto condivide totalmente l'orizzonte feticista del capitalismo che gravita intorno al valore lavoro.

  3. Le stesse piattaforme sociali, rivendicative, trattano i proletari come se fossero degli schiavi che progressivamente puntano all'emancipazione. Non sono mai cittadini titolari di diritti innati.

  4. I maîtres à penser della sinistra hanno annacquato il marxismo. Sia quello cattedratico che il marxismo “ortodosso” non hanno affrontato bene il “lavoro astratto” di Marx, ma solo il carattere di lavoro “concreto”, come produttore di merci. Quindi della forza lavoro come “valore d'uso”, l'unica da tutelare monetariamente (o solo come tutela “politica”, nel caso dei paesi dell'Est).

  5. La soggettività. La manodopera come merce, noumeno isolato sulla bancarella del mercato. Il centro della storia vista dalla cultura borghese è la coscienza della soggettività, dell'individuo economico.
    Eppure è scontato che nessuno è un’isola, ma tutte le attività produttive e riproduttive materiali (e linguistiche culturali) sono completamente interconnessi; questo fa di tutti i proletari degli esseri sociali. Ma tutto l'armamentario ideologico della sinistra insegue la cultura dominante che deve tener separati le fonti del lavoro da tutto il resto (per similitudine al denaro - Thomson, Sohn-Rethel) al fine di formalizzare il singolo “valore lavoro” e dunque la necessità dello scambio4. L'universo del “valore lavoro” è scisso in tanti Io”, sia come soggettività personale sia come insieme al circuito delle merci, diventa sociale, nel momento in cui fa valere un suo “interesse” astratto verso gli altri nel mercato: luogo dei feticci a confronto.

  6. Il sistema messianico. La narrazione dei conflitti sociali della modernità descritta dagli “intellettuali organici” si svolge all'interno di questa forma di gioco fatta da soggetti “messianici” (Lenin, Stalin, Mao, Proudhon, Berlinguer, “Che” Guevara, ecc.). Il messianesimo, mero attrezzo indifferenziato della riproduzione feudale in cui la sottomissione alla gerarchia presupponeva la fascinazione idealizzata del capo-messia, viene riproposto nella politica della modernità. Superato all'inizio dell'illuminismo (in cui la ricusazione dell'uomo della provvidenza è parte integrante della liberazione dalla condizione di servo della gleba), viene “agevolato” oggi dalla sinistra culturalmente povera.

  7. Io scambio dunque io sono”. La cultura della sinistra ha fatto proprio tutta la cultura della modernità che pone i singoli di fronte alla società come ambulanti delle fiere, individui isolati che possono mettersi in relazione solo attraverso lo scambio, senza uno scambio si perde identità5. Senza forza lavoro da scambiare, non c'è identità sociale, al punto che l'operaio si sente perso e ai margini, escluso se non può entrare nel ciclo salariale.6.

  8. La liberazione del proletariato è generalmente intesa come “tempo libero”. La liberazione del lavoro non può avvenire all'interno del binomio “tempo di lavoro” e “tempo libero”, in quanto questa divisione è indispensabile al capitale per distinguere e separare il tempo di produzione del valore-lavoro (e quindi del plusvalore) dai momenti di riproduzione sociale in senso ampio (fare arte, politica, cultura, affettività, riproduzione biologica, ecc.), ancor più che questi sono diventati attività consumistiche per smaltire la mole di merci.

  9. Naturalmente gli intellettuali organici non fanno mai accenno all'estinzione della “forza lavoro”, del “valore lavoro” tra i proletari e nella società in genere. Ovvero non menzionano mai la liberazione dal “lavoro astratto” quale nocciolo del sistema capitalista di sfruttamento che si incarna nella sua forma di prestatore di manodopera-merce, dove il “l’erogazione di forza-lavoro umana” in cambio di denaro-salario insieme con lo schiavismo delle leggi sulla produttività sono le condizioni essenziali per far funzionare il sistema.

  10. La sinistra per secoli è rimasta ancorata al concetto giuridico (proto-capitalista) di “proprietà privata” del tutto slegato dalla teoria del “valore lavoro”, perché ha ridotto il marxismo a un concetto personale, dove uno ha i mezzi di produzione e l'altro la forza lavoro, dove sono in gioco solo i “frutti del lavoro” (la redistribuzione della loro proprietà). Lo stesso “socialismo reale” si risolse attraverso l'istituzione della “borghesia si Stato”, dove si affrontava la proprietà privata ma si lasciava intatto il controllo verticale del lavoro; e non si risolse l'appropriazione del lavoro astratto con la sua socializzazione attraverso il mercato (ancorché statalizzato), il salario e la produttività.

  11. Altro punto è la divisione capitalistica del lavoro. Da un lato il lavoro che riduce il lavoro fisico a un lavoro ripetitivo, privo di contenuto e riconoscimento e dall'altro sono totalmente separate le “potenze intellettuali”. Da un lato chi controlla la parte tecnica e amministrativa e dall'altra chi esegue ciecamente il lavoro. Anche qui, nessuno ha cercato di invertire la rotta.

  12. Il concetto di “rappresentanza che gli intellettuali organici diffondono, siano essi “comunisti”, o “revisionisti”, è la subdola “mano morta” e che sottrae sovranità ai proletari e cheagevola nel proletariato la cultura della delega di ogni lotta politica ed economica ai politici professionisti. È una forma di debito che il proletariato contrae nei loro confronti.

  13. Quello che andrebbe fatto nell’attività politica quotidiana è rivolgersi verso le grandi contraddizioni attuali: capitale-lavoro, proprietà-controllo, capitale-ambiente, cittadino-istituzioni, donne-patriarcato, proletari-consumatori. Questi sono i nodi da affrontare oggi.

  14. Un ultimo punto è la formazione della classe dirigente, una guida competente in grado sia di rimpiazzare l'attuale élite che ci governa da dietro le quinte per abbassare l’asticella dell'accesso al potere.

 


  • 1 Esiste un sistema per misurare il peso di uno stile di vita sul pianeta e si chiama impronta ecologica: è un parametro che calcola quante risorse naturali l'uomo ha bisogno in rapporto alla capacità della Terra di rigenerare quelle risorse.
    Il cammino dell'uomo sul pianeta viene calcolato prendendo in esame le abitudini in fatto di scelte alimentari, quantità di rifiuti prodotti, superficie di suolo occupato, abiti o altri beni acquistati, energia consumata, anidride carbonica emessa in atmosfera, ovvero l'entropia (energia dispersa che non entra più nel ciclo biologico). 

2 Pensiero calvinista-agostiniano prima e di A. Smith successivamente, dove l'uomo economico egoista, percorso dai suoi biechi interessi trovava nel mercato un luogo di scontro con gli egoismi degli altri, ma che avviene senza spargimento di sangue.

3 Il programma di Bad Godesberg è stato la linea guida principale del Partito Socialdemocratico tedesco (SPD) del 1959. I principali punti del programma erano: rinuncia al marxismo e introduzione all'etica cristiana, all'umanesimo e della filosofia classica; rigetto dell'anticlericalismo; fedeltà totale alla Costituzione e uso di mezzi democratici per la lotta politica; riconoscimento del libero mercato, della concorrenza e della libera impresa, abbandonando ogni idea di nazionalizzazione, senza per questo rinunciare all'idea di un ruolo dello Stato nell'economia; denuncia del comunismo; volontà di fare della SPD il partito del popolo, senza distinzione di classi sociali. Il partito si trasforma da partito classista a “partito popolare”, aperto anche alle istanze dei ceti medi (wikypedia).

4 Questa antropologia proto-borghese del soggetto autonomo come base della società trova congiunto la borghesia e la sinistra intellettuale (il suo non detto ma praticato).

5 In un reale mondo pos-tborghese (post-illuminismo, post-fordista, post-industriale, e anche post-marxista) non può più fondarsi sul lavoro astratto tanto meno sullo scambio. A maggior ragione nell’attuale fase di sviluppo delle forze produttive (la robotica e le automazioni IoT) in cui il lavoro umano è ridotto ad appendice della macchina.

6Anche lo scambio pianificato nel socialismo reale cela la quantità di lavoro sociale astratto contenuta nel salario. Da questo punto di vista era il più grande mercato nero della storia. Tener sottomessi i popoli con le armi per un certo periodo, questo, certo, lo sapeva già fare Gengis Kahn. Ciò che ha prodotto il “socialismo reale” è la caricatura di una società borghese “pura”. (S.A.).



IL POTERE ALVEARE

La novità del potere nella modernità è l’essere con molte teste di cui lo Stato è solo una di queste.

Lo sviluppo tecnologico, la comunicazione in broadcasting (giornali, radio e infine TV) ha permesso la formazione degli Stati-Nazione (lingua unica, uniformazione della cultura e della burocrazia), ma al contempo ha aperto nuovi spazi sociali (e di potere) fuori dello Stato (o della Religione). A fianco dello Stato, oltre l’economico, si sono sviluppati in piena autonomia il finanziario e il religioso, i nuovi poli sociali come l’informazione, la produzione culturale, le nuove e vecchie corporazioni e lobbies (visibili e invisibili).

I nuovi “spazi sociali”

E’ venuta meno l’idea proto-capitalista dello Stato-monopolio di tutte le potenze sociali.

Oggi si può e si deve differenziare il potere nei suoi molti palazzi. Si può e si deve parlare quindi di potere politico (partiti, sindacati e forze sociali), di poteri istituzionali (banca d’Italia, magistrati, militari, corpi di polizia, ecc.), di poteri dei media (TV, giornali, radio, i social, internet), di poteri economici (imprenditori, finanza, agenzie di rating, associazioni di categoria, ecc.), di poteri culturali (i circoli di élites che producono saperi e teorie del mondo), di poteri religiosi (i “pastori delle anime” e che producono etica e morale che tiene insieme un corpo di fedeli), di poteri “forti” ( associazioni borderline che dietro le quinte orientano la politica negli enti locali).

Questi solo all’interno di uno Stato-Nazione, poi ci sono i poteri sovra nazionali (alleanze militari, fondi monetari, grandi banche sovrane estere e private, multinazionali che producono beni o immateriali, di recente anche il controllo delle reti e dei servizi di rete, di chi controlla le vie scambi come le vie della seta o gli embarghi).

Questa visione multicentrica del potere comporta anche l’abbandono delle vecchie logiche rivoluzionarie per cui bastava un colpo di mano per conquistare lo Stato e poi tutto ne discende. Idea legata all’epoca della riproduzione semplice del capitalismo e delle società “primitive”. Oggi il potere è fatto di tante “agenzie” (Gramsci) e sotto agenzie. Alcune operano nel locale e altre su dimensioni più grandi, con anelli concentrici diversi; alcune lavorano nel tempo breve, altre nel tempo medio e altre ancora nei tempi lunghi.

Questi poteri non sono un corpo omogeneo e possono essere - e lo sono - in conflitto tra loro, ma hanno sempre il senso di appartenere alla élite dominante.

Rimane sempre valida l’idea, come diceva Gramsci, per costruire un’alternativa; non si tratta di fare “guerra di movimento” (rivoluzione come spallata finale), ma di conquistare “casamatta dopo casamatta” (una ad una) questi poteri, in una lunga marcia con la “guerra di posizione”.

Ovvero riprendendosi i luoghi di produzione in ogni modo possibile (prima imparare a gestire i luoghi di lavoro: costruendo un’élite proletaria alternativa e autoestinguente, che si esaurisce finita la loro funzione guida); cominciando altresì a prendere il potere politico (ed economico) soprattutto locale; questo sia per gestire il territorio che dare inizio alle lotte per la democrazia economia, contro le disuguaglianze, le esclusioni sociali e per la qualità della vita.