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Category: POTENZE ECONOMICHE
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MARX E L'ORNITORINCO1

 

Il mondo popolato da spiriti

Il metodo: guardare le cose è diverso dal guardare le relazioni tra le cose. Le prime sono visibili con gli occhi le seconde con la mente.

Nel passato si chiamavano “spiriti” (fantasmi) perché esiste una realtà dietro le apparenze e queste sono le vere causali che muovono il mondo visibile. Anche nelle realtà umane esistono relazioni sociali che sono invisibili ma non per questo meno vere.

Sulla natura di questi spiriti i filosofi e studiosi si sono dati da fare: dal delirio di onnipotenza di Nietzsche all'inconscio di Freud fino all'economia di Marx (tralasciando gli spiriti religiosi o animisti).

L’economia per Marx

Nella teoria di Marx nella società capitalista, lo sfruttamento non avviene a forza d'imposizione, di virtù di razze, di norme morali ed etiche, di regole religiose ecc., ma attraverso lo scambio di prodotti del lavoro. I rapporti di dipendenza tra gli individui assumono l'apparenza di rapporti tra cose, tra prodotti del lavoro.

Il dominio capitalistico è un meccanismo impersonale perché mediato dai rapporti di scambio.

Per Marx l'economia è lo spirito che ben rappresenta la forma di relazione sociale dominante nella modernità, l'economia segna il passaggio epocale tra il mondo pre-moderno e moderno.

Il nocciolo della sua analisi era la teoria del valore. Intorno a questa tesi di Marx, da centinaia d'anni si sono imbastite teorie, carriere, sudore, partiti, guerre, sangue, e tante rotture di capo di molte persone.

In economia come ogni altra scienza, se cambi i paradigmi cambia la percezione del mondo.

Economisti, previsioni del tempo e relazioni causali

Gli economisti classici per l'analisi del costo delle merci erano orientati sulla produzione, successivamente con i marginalisti l'analisi si sposta sul consumo e sull'utilità. Il concetto di utilità marginale diventa la misura del valore dei beni: “essi hanno un valore in quanto sono utili, cioè servono a soddisfare un bisogno dell'uomo, e tale valore è tanto più elevato quanto maggiore è la scarsità dei beni e più intenso il bisogno”.

Da sottolineare “è tanto più elevato quanto maggiore è la scarsità dei beni e più intenso il bisogno” perché questo paradigma è la gabbia d'acciaio in cui ci troviamo. Intorno a noi possiamo produrre tanti beni a basso costo, ma che devono restare scarsi per mantenere il profitto; per esempio dei brevetti sulle medicine che sono uno scempio per l'umanità.

Con la scuola di Cambridge, la teoria classica del costo e quella marginalista dell'utilità si conciliarono,  ne venne fuori la teoria neoclassica: “il costo e l'utilità contribuiscono entrambi alla determinazione del prezzo dei beni”.

L'economia, o meglio la macroeconomia, che si studia nelle università, che si adopera nelle agenzie internazionali, dato la complessità dei fattori messi in gioco, e le dimensioni del mercato, è diventata prevalentemente una scienza stocastica: i fattori sono talmente complessi che solo con algoritmi raffinati si può azzardare di fare previsioni. La stragrande maggioranza delle quali sul medio/lungo periodo sbagliano sempre, per non parlare delle teorie di uscita dalla crisi.

Le analisi economiche dei nostri analisti assomigliano ai verdetti dei meteorologi, usano le medesime tecniche. Meteorologi ed economisti si assomigliano anche per il periodidi affidabilità: ottimi nei brevi, un giorno o due, ma se si supera una settimana si ricorre agli sciamani, oltre un mese ai guru, che spesso danno sentenze divergenti su tutto.

Al tempo di Marx la matematica del caos era ancora agli albori. Marx usava strumenti causali, cercava le cause prime in economia.

E qui si parla di sistemi economici causali.

Nota 1: nel capitolo seguente per quanto semplificato si parla di arcani economici con discorsi che assomigliano a quelli degli esarchi bizantini, tuttavia hanno avuto e hanno un senso, sono un enorme contributo per capire dove siamo.

 

IL CAPITALISMO VISTO DA MARX

Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito.”

L'origine della ricchezza

Tutto il discorso di Marx si dipana intorno all'origine della ricchezza. Marx critica i predecessori,  i quali ritenevano che la ricchezza si produce dal nulla, dal mercato, Carletto cercava dimostra che la ricchezza si produce solo dal lavoro umano perchè il valore, il denaro, non si incrementano per partenogenesi come i pani e pesci nel nuovo testamento.

Nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma" vale sia per la termodinamica come per la produzione della ricchezza.

Da questo assunto Marx espone la teoria dei valori, del plusvalore e la teoria del “feticcio”. Cerca di spiegare le dinamiche del denaro che s'incrementa nel processo denaro→merce→denaro+ (denaro arricchito), ovvero il motore che muove che fa agire gli attori nel teatro che chiamiamo capitalismo. Processo sociale che lo rende distintivo dalle altre formazioni sociali preesistenti.

La teoria dei valori

Il “valore lavoro” è un'invenzione della modernità, prima non esisteva, è frutto di un processo di astrazione che poggia la sua origine nel denaro.

Per capire meglio il processo, poniamo l'idea di un cavallo che però non corrisponde a nessun cavallo concreto, ma rappresenta la generalità della specie, quindi sta solo nel nostro linguaggio, nella nostra mente.

Analogamente è il denaro, una convenzione, un oggetto che rappresenta dei valori in genere, che rimanda a valori concreti al pari di un cartello che indica una via, ma non è la via stessa.

Nota 2: Il “valore lavoro”, lavoro astratto (quindi il momento feticista del lavoro) come invenzione dell'era capitalista ipotizzata da Marx, è fonte di un intenso dibattito. C chi lo nega alludendo al “valore lavoro” come a un categoria metastorica, ossia che è esistito prima del capitalismo e quindi che può esistere anche dopo, nel post-capitalismo (socialismo e/o comunismo). Dal negare o meno della natura storica del “valore lavoro” si danno direzioni al post capitalismo in due prospettive diverse: es. l'idea leninista del socialismo reale, dove la si nega.

Importante è fissare il fatto che "valore astratto" e "lavoro concreto" non sono la stessa cosa. Analogamente il valore "lavoro concreto" e il "lavoro lavoro astratto" (o di mercato), sono due cose diverse. Esempio un'auto usata poco ha dentro lo stesso lavoro e svolge la stessa funzione di un'auto nuova, ma hanno differenti valori di mercato.

Valore d'uso e valore di scambio

Risale ad A. Smith, il proto economista, la distinzione tra valore d'uso, relativo alla utilità di un bene e valore di scambio come relazione che consente di acquistare altre cose oltre il bene d'uso.

Le cose che hanno il maggior valore d'uso hanno spesso poco o nessun valore di scambio; e, al contrario, quelle che hanno maggior valore di scambio hanno spesso poco o nessun valore d'uso.” 2

E fa il famoso esempio paradossale dell'acqua e del diamante: Nulla è più utile dell'acqua, ma difficilmente con essa si comprerà qualcosa, difficilmente se ne può avere qualcosa in cambio. Un diamante, al contrario, ha difficilmente qualche valore d'uso, ma in cambio di esso si può ottenere una grandissima quantità di altri beni.” (ibid).

Il denaro

Il denaro in sé non ha un valore d'uso, è come il diamante. Funge da rappresentante generale della ricchezza (del lavoro astratto). Il denaro può essere scambiato con qualsiasi altra merce, ha la “proprietà” di acquistare sul mercato beni e servizi.

Nel capitalismo, il denaro si “realizza” solo se può acquistare una merce. E la merce, viceversa, si realizza solo quando assume la forma fenomenica del denaro; nel mercato si realizzano queste transustanziazioni.
Questa è l'essenza del capitalismo: l'astratto domina il concreto!

Il capitalismo come industria di feticci

Marx chiamò questo “amore” per il valore di scambio: feticismo. I marxisti seri (“eretici”) considerano il capitalismo anzitutto come una grande macchina produttrice di feticci, dove il feticismo non riguarda solamente e limitatamente il lato della merce (come asseriva Marx, e forse ai suoi tempi era anche così), ma il feticismo oggi riguarda anche ogni altra forma di scambio: lo Stato, il sistema culturale, etico e artistico, comprese le nozioni di vero o falso, giusto o sbagliato. Perché il capitale (al pari dei sistemi teocratici) opera con il feticismo anche su miti e credenze, quindi sui valori etici e morali.

(Fin qui si è parlato del marxismo light, leggero, “essoterico”, ora entriamo nel marxismo dimenticato, il marxismo esoterico.3

Parliamo della parte più “brividosa” del marxismo e poco approfondita de “Il Capitale”, il nucleo del pensiero marxista, quello che quando è citato lo è spesso riportato a vanvera o in maniera catechistica, giusto per fare i saputi. )

 

IL DEEP MARX

Con questo libro si cerca di dimostrate il contrario, siamo nella fase senile del capitalismo, in una crisi senza ritorno.

Dove servono strumenti e idee nuove!

Ma andiamo con ordine, andiamo a confutare le loro tesi.

Marx e l'ornitorinco

Per Marx il valore lavoro nel capitalismo ha un carattere duplice: 1) come lavoro concreto che si manifesta nella produzione di valore d'uso; 2) dall'altra parte abbiamo il lavoro astratto che si manifesta nella forma valore-moneta.

Perché il capitalismo si caratterizza per tante cose: proprietà privata, divisione del lavoro, salario, denaro, tecnologia ecc.; cose che, prese ognuna a sé, esistevano anche prima del capitalismo. Ma l'unicità del capitalismo è l'aver aggiunto al lavoro concreto che fabbrica beni d'uso comune (con il suo “valore naturale”) il “lavoro astratto” (con il suo valore di mercato in forma monetaria).

Il lavoro concreto perprodurre un bene d'uso e il suo costo di produzione restano, ma al momento di passare dal privato al sociale, ovvero dalla fabbrica al mercato, al bene materiale (naturale)si aggiunge una qualità che si definisce astratta (in quanto non era presente dentro il bene concreto prodotto prima), ma che tuttavia permette di rappresentare il bene in forma di denaro sul mercato.

Il denaro come ricchezza astratta universalmente riconosciuta. Il denaro è pur sempre un prodotto artificiale, una convenzione cognitiva, un oggetto astratto che rappresenta dei valori in genere.

Nota 3: Si ribadisce che la distinzione tra lavoro concreto (lavoro immanente) e lavoro astratto (lavoro speculativo che diventa concreto solo in forma reificata) è di fondamentale importanza ai fini degli orizzonti politici della classe subalterna e della sinistra.

Nel capitalismo si ha la produzione di due valori, uno concreto (“naturale”) e uno astratto. Marx analizza la duplicità del lavoro: quello per realizzare un bene, lavoro concreto che realizza beni d'uso, e quello distinto del lavoro astratto (feticistico) sociale.

Il valore lavoro concreto

Marx chiama questo processo M-D-M. “M” è la Merce in possesso, es. cavoli dell'orto, dalla cui vendita al mercato si ricava del Denaro “D”; con questo Denaro compro altra Merce di cui ho bisogno (p. es. il pane).

Qui in teoria viene riconosciuto qualitativamente il lavoro svolto per i cavoli e il lavoro svolto per il pane. E avviene uno scambio tra valori d'uso, il denaro funge da legame temporale tra due momenti, è un baratto differito nel tempo.

Calcolando in contabilità moderna, si definisce che il “valore naturale” di un bene è dato dalla somma dei suoi fattori: C+V; “C” come capitale Costante, ovvero i mezzi di produzione e le materie prime e le spese ordinarie: queste spese “C” si trasferiscono proporzionalmente nei prodotti finiti. Si chiama costante perché il valore si trasferisce così com'è.

Invece “V” è il capitale Variabile, corrisponde al valore della forza lavoro “concreta” impiegata nella produzione.

Il capitalista in una prima fase compra la forza lavoro, pagandola con un salario con il quale i lavoratori acquistano i beni di consumo sufficienti per il proprio sostentamento e riproduzione. (Dentro “V” c'è pure il lavoro di direzione e comando del capitalista stesso).

Quindi il costo “naturale” delle merci prodotte, il loro “valore d'uso” è C+V .

Il valore lavoro astratto: il plusvalore

Il capitalismo quindi inverte e ingloba il processo di cui sopra, e ne trasforma il senso e la finalità: se nel pre-capitalismo la finalità era lo scambio di beni, ora è l'arricchimento in denaro; il ciclo capitalista diventa D-M-D+. Si investe denaro “D” nella produzione di Merci “M”, per ricavarne un profitto, del denaro arricchito “D+” (plusvalore).

Detto altrimenti, il capitalista, pagato “C” (come ammortamento nel macchinario e le materie prime) e “V” (come salario e come costi di produzione dello stock dei beni prodotti) ci fa una “cresta”4, una “ricarica” (“D+”). Che dovrebbe corrispondere al profitto per il capitale investito, ma non è quasi mai così meccanico come vedremo.

Anzitutto, questa “ricarica” non è un valore creato dal nulla, e non è nemmeno il costo di produzione, ma un di più, un lavoro dematerializzato (lavoro astratto) ossia un prodotto del lavoro extra, riconosciuto socialmente in forma di “valore di scambio”. Perché nel dominio capitalista il denaro investito deve uscire dal processo lavorativo non alla pari, ma più grande. Questo è l'arcano del modo di produzione capitalistico che lo differenzia dagli altri precedenti!

Dal momento che il fine del capitale introdotto nel processo produttivo capitalista non è la produzione di beni (utili), ma la valorizzazione del capitale, allora si chiamerà “produttiva” ogni azione e organizzazione del lavoro che incrementa il plusvalore e viceversa, ogni altra cosa è improduttiva!

(è produttiva dal punto di vista del singolo capitalista sia che egli produca bombe o seppellisca veleni).

Sussunzione formale e reale del lavoro

Si hanno storicamente due fasi di questa produzione di plusvalore: la “sussunzione formale” degli albori del capitalismo e la “sussunzione reale” nella fase più moderna.

La riproduzione semplice del capitale, che viene detta fase della “sussunzione formale”, cioè il singolo capitalista ricavava il suo plusvalore in proporzione alla giornata lavorativa per ciascuno operaio messo a regime di produzione. Ricavava il plusvalore dal plus-lavoro degli operai (il lavoro che eccede quello necessario alla sussistenza, il salario). La forma organizzativa del lavoro era prevalentemente coercitiva.

Le cose si complicano con la riproduzione allargata che diventa urbanizzata quandomolte industrie sono in competizione tra loro nel mercato e con l'orario di lavoro stabilito per legge in 8 ore e la gran parte popolazione rurale si trasferendosi nelle città. Per vivere, il nuovo esercito di aspiranti salariati deve necessariamente vendere la propria forza lavoro (unica proprietà rimasta per riprodursi) .

Nella sua espansione, la forma capitalista del lavoro dilaga (capitale-salariati), si espande, non sussume sotto di sé solo il lavoro dentro le mura della fabbrica, ma la sua “forma” si estende alla vita sociale, trasforma la società a propria immagine e somiglianza. Dall'urbanistica allo Stato, dall'arte alla scienza, dal tempo libero allo stile di consumi si riscrive tutto in chiave capitalista: capitalista è il nuovo dizionario, la nuova enciclopedia.

Questa fase Marx la chiama “sussunzione reale” del lavoro al capitale.

La presenza di un insieme complesso e articolato di capitali, in diversi settori di produzione, con capitali circolanti, l'entità del “D+”, il plusvalore, di una singola industria non viene più stabilito dal singolo capitalista ma nel mercato, dall'insieme del sistema concorrenziale.5

I capitali, potendo circolare liberamente, tendono ad andare nei settori e nei luoghi dove si estraggono più profitti. Si ha in questo modo un sistema capitalista dinamico, complesso e diversificato, che comprende la rendita, capitali circolati in concorrenza tra loro e quindi una tendenza nelle aspettative dei singoli capitali a posizionarsi intorno ad un punto mediano dei profitti. Si ha così un saggio medio di profitto uguale per tutti in rapporto al capitale investito e in ogni parte del globo.

Per i singoli capitalisti industriali si ha un passaggio dal plusvalore “formale”, realizzato dal singolo capitalista, al profitto medio “reale”, effettivamente realizzato, come momento socializzato nella vendita di merci sul mercato.

Tra i capitali della stessa entità ma diversa composizione organica6 e con differenti quote di plusvalore, subentra un travaso di valori che si distribuisce in proporzione al capitale complessivo impiegato.

Questo meccanismo non fa vedere che il profitto è prodotto solo dal lavoro non pagato, quello che appare è che i profitti sono dovuti all'abilità dell'imprenditore, il suo tributo per il capitale investito.

Il plusvalore, una volta assunta la sua nuova forma di profitto, rinnega la sua origine e diviene irriconoscibile” (Marx).

Il “D+” non deriva da una modifica della merce sul mercato, non ne modifica il suo valore d'uso, la sua qualità al suo costo di produzione, ma ci si aggiunge ad esso nella misura che il mercato stabilisce.

Quindi la massa di lavoro astratto, il plusvalore che gli operai producono individualmente, non risiede nel valore d'uso prodotto, ma nella merce come espressione monetaria, il cui valore viene determinata dai “vasi comunicanti” del mercato.

Il valore della merce è una specie di “terza natura”, ovvero un'astrazione che di concretizza, un oggetto che non esiste in natura, o nella singola psiche, ma solo come rapporto sociale oggettivato!

Capire questo passaggio è necessario per i passaggi successivi, qui molti marxisti riluttanti gettano la spugna. Quando Marx parla di capitalismo come “rapporto sociale” si riferisce a questo processo hegeliano riadeguato: concreto->astratto->concreto modificato (“prima natura” ->“seconda natura” -> “terza natura”).

Nota 4: La distinzione tra riproduzione semplice e allargata disegna anche un futuribile post-capitalismo. Infatti se il valore astratto (il plusvalore) è incorporato (badate bene, non rappresentato, in tedesco incorporato e rappresentato sono una parola sola7) nel prodotto, non esiste nessun feticcio, nessuna alienazione, quindi il problema dello sfruttamento capitalista è solo una questione di ridistribuzione delle risorse (socialdemocrazia); il comunismo si risolve semplicemente con il governo del mercato attraverso la conquista dello Stato (e la pianificazione economica)8.

La funzione del mercato

Nel mercato subentra il famoso “mondo capovolto”, è il concreto (il bene-valore d'uso) che rappresenta il valore-merce (la ricchezza astratta stabilita dal mercato).

Contrariamente a quanto appare, nel mercato capitalista non è il denaro che rappresenta il valore della scarpa, ma la scarpa che rappresenta il denaro, che è poi il fine ultimo del processo capitalistico, (il denaro investito che alla fine del ciclo deve essere incrementato in “D+”).

Il lavoro astratto

Nell'analisi di Marx il valore astratto si configura all'incrocio tra produzione e circolazione delle merci, nel movimento che va dalla produzione immediata allo scambio con l'universo moneta.

Il valore, l'entità del lavoro astratto quindi non si appiattisce nella produzione, ma neppure nella circolazione (come dice l'economia classica).

Bisogna spendere alcune righe su questo punto apparentemente banale ma che ha fatto scrivere migliaia di libri e altrettante alternative al capitalismo o per giustificare la sua inevitabile esistenza.9

In sintesi, non si può ridurre il valore astratto, il saggio medio di profitto al singolo momento produttivo dentro le mura di una fabbrica, come non si può appiattire il valore astratto alla sola circolazione. Non si può separare il lavoro naturale da quello monetario come non si può cristallizzare, fermare, i due momenti come indipendenti.10

Il singolo lavoro produce un bene d'uso (concreto); tutti i lavori, i lavori globali (astrazione) producono valori astratti sotto forma di moneta (ricchezza astratta universale).

E il capitalismo va necessariamente visto come forma processuale, che come un flusso e si proietta dall'interno della produzione verso l'esterno, dal concreto all'astratto!

Se “all'interno” ci sono sempre meno produttori di “valore lavoro”... “Houston abbiamo un problema”.

La “sussunzione reale allargata”

Nell'industria di avanguardia (4.0), con l'automazione spinta il plusvalore prodotto dal lavoro vivo è quasi inesistente, ma le merci prodotte sono elevate e costano meno.

Si assiste a un meccanismo assurdo dove il plusvalore cala a ogni investimento, dal momento che si riduce la base della mano d'opera messa a servizio, al contempo i robot sfornano più merci a basso prezzo che devono essere vendute.

Come nel primo 900, il capitalismo sembra dipendere, “a livello della realizzazione sul mercato, dai settori non capitalistici della produzione e dalle zone non capitalistiche della terra” (Rosa Luxemburgh)

Il capitalismo industriale si va a strutturare come una piramide rovesciata: sopra le merci prodotte e sotto il plusvalore ricavato, nel post-moderno questa tendenza è diventata decisamente più marcata. Nella fase della “sussunzione reale allargata” il capitale inizia a segare sul ramo in cui è seduto.

Non a caso i capitalisti nei paesi industriali sono in sofferenza di profitto ma estremamente ricchi di merci, pochi salariati ma molti consumatori.

Un paradosso solo apparentemente inspiegabile.

Come già detto, Marx nel III libro lo scrive bene, il plusvalore complessivo nel globo tende ad uniformarsi (i capitali vanno dove c'è più profitto). Per questo si chiama indice del saggio medio del profitto generale”. Questo indice non è solo una media computazionale, ma anche un vero e proprio sistema di trasferimenti di ricchezze da chi ha i plusvalori più alti a chi ne ha meno!11

I capitali industriali investiti nei paesi o settori industriali con “composizione organica” alta vengono rimpinguati dai settori a più bassa composizione organica ma con profitti più alti. In altre parole, per compensare i mancati introiti diretti i capitali dei paesi “avanzati” industrialmente attingono ai capitali arretrati o pre.capitalisti (oppure a situazioni non capitaliste – ne parleremo avanti) che fanno ancora largo uso di manodopera. E lo fanno in due modi: dall'interno attraverso le forniture o dall'esterno finanziariamente.

Nell'industria moderna per creare un singolo posto di lavoro servono capitali sempre più ingenti. Se ieri per creare un posto di lavoro servivano, ad esempio, 100 di capitali investiti, oggi ne servono 1.000. La gran parte del capitale va in acquisto di macchinari, in automazioni e in marketing. Per fare questi passi l'industria deve necessariamente ricorrere al credito; in questo modo la finanza entra nell'industria sposando interesse e profitto, speculazione finanziaria e produzione.

 

PAESAGGI POST-INDUSTRIALI

Metodi per sostenere il profitto industriale in grave calo.

  1. Con il neo imperialismo. Corrompendo, minacciando militarmente i governi di Nazioni (p. es. Africane e Sud Americane) varie s'importano materie prime e beni a basso prezzo e si vendono merci e servizi in regime di monopolio o anche sotto forma di debito. Si stabiliscono gerarchie e sudditanze.

  2. Smembrando l'attività produttiva ed esternalizzando le attività dove la manodopera ha un ruolo importante. Con il decentramento produttivo le lavorazioni (manutenzioni ecc.) sono affidate a micro ditte esterne. Lavoratori diventano piccoli padroni, fanno componentistica, sono produttori parziali, fasonisti, a composizione organica media (quindi con più alto plusvalore). Nel post fordismo, finita la città-fabbrica, si sono aperti garage e capannoni, di ditte a conduzione familiare (in tutto il nord e nord-est), distretti e poli industriali. 

  3. Si è sviluppata molto la logistica a basso costo, che da un lato raccorda la componentistica alle grandi industrie, riducendo le scorte di magazzino, dall'altra avvicina i mercati, abbassa i prezzi delle macchine e materie prime.

  4. La globalizzazione, con una grande mobilità di capitali e merci consente una più agevole ridistribuzione del plusvalore.

  5. La tecnica e la scienza applicata sia all'organizzazione del lavoro che alla produzione. Con automatismi e nuovi materiali aumentano la produttività e le performances produttive.

  6. Accelerazione del ciclo produttivo dei singoli prodotti. Si producono merci a ebsolescenza programmate, si fanno le mode che durano una stagione, s'invogliano i consumatori a comprare cose inutili o che durano poco (scarpe, elettrodomestici, il cellulare, TV di ultima generazione, l'auto Euro 1,2,3,4,5,6,x, ecc.). Dove si distruggono valori d'uso (e il lavoro concreto contenuto) per sostenere il valore astratto, il plusvalore.

  7. S'interviene sui modelli di consumo, modificando le merci esistenti e creandone di nuovi, si mettono a valore tutte le attività del tempo libero, ristorazione, servizi alla persona, ecc.

  8. Con la creazione di nuovi prodotti a basso prezzo si allarga la platea dei consumatori per quei prodotti che prima erano di lusso ad appannaggio dei ceti più abbienti, ma quasi solo nei paesi imperiali.

  9. Attraverso la finanziarizzazione dell'industria, i manager industriali scoprono che si può guadagnare di più speculando sulle azioni o sul mercato finanziario che nel comparto produttivo. Non sono state poche le bolle finanziarie e i collassi di grandissime aziende (Fiat, Parmalat, Enron, ecc); il mercato trasferisce ricchezza!

  10. Le guerre tra blocchi, indebolire l'avversario, o distruggere e ricostruire sono comunque momenti per alimentare il ciclo del plusvalore e spostare assetti di potere, si distruggono merci, s'indebolisce l'avversario, s'investono capitali per la ricostruzione.

  11. Il gigantismo industriale, se si fabbrica bottoni (es. 100 al giorno) per un mercato ristretto a un certo punto l'attività non è più remunerativa. Ma se si fabbrica con la stessa composizione organica un milione di bottoni al giorno per il mercato del pianeta intero, costruendo capannoni sconfinati (come in Cina), l'attività diventa decisamente remunerativa per le dimensioni di scala.

  12. Il debito Pubblico. Siamo di fronte ad un capitalismo estremo, diffuso, che ha ampliato le sue sorgenti di ricchezze sulla schiavitù del debito sovrano. Lo Stato ha perso le sue sovranità in economia a favore di organismi sovranazionali, ma attraverso il “debito sovrano” funge da collettore forzoso di ricchezze e di redistribuzione alla finanza: lo Stato ruba ai poveri per dare ai ricchi.

Questi sono i modi prevalenti di mantenere corposo il plusvalore per i grandi capitali in crisi di plusvalore: si cattura dai capitali a migliore composizione organica.

Sono tecniche che in parte sono sempre esistite e che funzionano sempre. Ma con la globalizzazione queste strategie hanno una marcia in più e con la finanziarizzazione delle industrieil pianeta intero è diventato il teatro dove si dà corpo alla “sussunzione allargata”, dove l'accaparramento di plusvalore opera a 360 gradi.

Scomponendo la fabbrica tra produzione e montaggio, il montaggio rimane alla casa madre e le produzioni sono affidate a mini-industrie satelliti (o fasoniste) sparse nelle periferie del mondo dove ai lavoratori si succhia fino all'ultima goccia di sangue. Qualcosa del genere avviene anche nella distribuzione e nella vendita.

In pratica il capitalismo, morente di per sé, per attinge ad altre realtà capitaliste a minore composizione organica, per sopravvivere .

Il capitalista si proietta verso le “praterie” più “grasse”, le zone a capitalismo arretrato e nelle realtà para-capitaliste del continente Sud Americano o Africano, congiuntamente al saccheggio dei beni comuni, dal mare alle foreste, alle terre fertili in ogni dove, ecc.

Il sud e le periferie dell'occidente non hanno una sorte migliore, infatti nei paesi industrializzati sta subentrando la desertificazione industriale, l'occupazione prevalente si sposta verso il terziario. Se in Italia si aveva “solo” il Sud in condizione di capitalismo primitivo, oggi le periferie delle metropoli e le vallate vedono svuotarsi i capannoni, e quelle che rimangono sono da capitalismo da basso impero. Il 70% dei salariati è fatto da precari, le partite IVA segnano un territorio del proto-capitalismo.

Il capitalismo si è ritirato nelle enclaves delle grandi metropoli, lasciando il “deserto” intorno a sé, con tutto quello che comporta: la fine della civiltà industriale! La fine dell'operaio- massa, dei partiti tayloristi, del welfare, della società dei salariati ecc.

Le strategie neo-imperiali

Dal momento che i paesi più industrializzati, in virtù della potenza industriale nella capacita di fabbricare merci, sono anche le potenze economiche-militari più forti, impongono balzelli a quelli più deboli. Negli anni hanno costruito un sistema militare-finanziario su scala mondiale per agevolare la ripartizione del plusvalore in funzione della grandezza dei capitali investiti e non dal plusvalore prodotto internamente.

La rapina di valore avviene in diversi modi più o meno pacifici: con il neocolonialismo, attraverso organismi finanziari internazionali (FMI), con prestiti, oppure dando moneta carta in cambio di beni e servizi (gli USA con gli arabi). Spesso il trasferimento avviene affiancando la componente economica finanziaria a quella militare o con l'imposizione di basi militari; in casi estremi, attraverso soluzioni militari.

I “vasi comunicanti” della ridistribuzione hanno delle direzioni di flusso, alle volte è nei due sensi, e spesso a un senso solo. Nel primo caso si tratta di divisione internazionale delle risorse dei mercati e del lavoro con paesi satelliti. Nel secondo caso, a senso unico, allora parliamo di neo colonialismo.

Forme economiche e/o politico del colonialismo

Economico quando siamo di fronte a un processo di valorizzazione. Si parcellizza il lavoro in Stati dove la manodopera costa poco, p. es. Afganistan, India, Serbia, ecc. o si approvvigiona di materia prima attraverso pressioni e corruzioni varie.

Parliamo di neo colonialismo politico quando sono gli Stati dominanti a creare la plusvalenza verso i paesi sudditi e chi se ne avvantaggia è tutto il sistema del paese dominante (qualità della vita migliore, salari maggiori).

Tutto funziona grazie all'apparato di “politica estera” che funziona: il comparto finanziario con le industrie strategiche di Stato (energia, e infrastrutture) che agevola”il tutto con il sussidio militare e un sistema dei media e culturale bel orchestrato  (USA, Francia, Inghilterra rimangono i maestri in questo settore).

All'interno dei singoli Stati dominanti la ripartizione delle ricchezze è a sua volta divisa per poli metropolitani. La polarizzazione delle risorse è ripartita a cerchi concentrici in base alla vicinanza con i gold man, ha una diluizione tra “centro e periferia”; esiste un divariodi reddito in continuo aumento che supera abbondantemente il rapporto di 1 a 400. Il lavoro salariato via via che si allontana dal centro assomiglierà a quello schiavistico. Questo divario di reddito spacca la Nazione, sgretola il sentirsi parte d qualcosa di condiviso, tutto il sistema di narrazione di “Stato democratico” si sfalda.

Le popolazioni tendono anche a dividersi verticalmente oltre che orizzontalmente. Centro, maschi, anziani, indigeni avranno la meglio sulle periferie, le donne, i giovani, gli immigrati.

Nota demografica: Le città già oggi ospitano oltre metà dell'umanità, producono il 70% del PIL globale e sono responsabili del 70% delle emissioni di gas serra. Sono in continua espansione, entro il 2030 ci saranno 41 megalopoli di 10 milioni di abitanti circa. Entro il 2050, due terzi dell'umanità saranno nelle città e si porteranno appresso più di 2 miliardi di tonnellate di rifiuti l'anno.)12

 

FASE SENILE DEL CAPITALISMO

Negli anni '70 il ciclo capitalista macinava occupazione, aumentavano la popolazione l'occupazione salariata. Le sacche di non-capitalismo erano molto circoscritte: la devianza, il vecchio agricoltore/pastore che non si era trasferito in città, gli zingari e la mafia.

Il lavoro nel post-moderno

Il capitalismo prossimo ai suoi limiti strutturali, quando si ritira lascia dietro di sé una scia di sempre più vasti di settori improduttivi e di persone “terze”, incompatibili con i meccanismo della riproduzione capitalista.

La popolazione via via esclusa o espulsa dal ciclo produttivo industriale si è attestata in varie forme di lavoro “di ripiego”, non capitaliste.

A parte la grande fetta di para-capitalismo (dei dipendenti dello Stato), i dati sono impressionanti. Diciamo che come Italia partiamo “avvantaggiati, dai tempi del capitalismo ruggente il Sud era ancorato al proto-capitalismo, un mercantilismo di fatto, un territorio che, a parte le obsolete “cattedrali nel deserto”, non è mai entrato nel capitalismo nella forma (lo Stato) né nel contenuto. Oggi si fanno avanti sacche importanti di desertificazione industriale anche al Nord.

Sta di fatto che una gran parte di persone vivono e lavorano in realtà non capitaliste, e il numero di proletari che campano nella nuova “area grigia” è impressionante.

Intendiamo per capitalismo la forma di arricchimento che passa per la produzione di merci (D-M-D+), quella che assume proletari nel ciclo produttivo per ricavarne un profitto. Ebbene, questo ciclo espansivo si è interrotto da tempo e si è invertita la direzione di marcia. Oggi l'industria espelle forza-lavoro.13 . In questo modo abbiamo una popolazione in gran parte affrancata dal sostentamento attraverso il capitalismo, e questo comprende non solo i proletari ma anche, come vederemo, il ceto medio.

E, a parte alcune enclave di capitalismo industriale14, situate in zone limitate, il paesaggio è prevalentemente composto da non-capitalisti, dove del capitalismo è rimasto solo lo scheletro, è rimasta tutta l'impalcatura capitalista formale (codici legali, linguaggi, culture), ma senza più il corpo economico che egemonizza il territorio.

Le forme economiche “lasciate libere” dal capitalismo, sono arretrare, sono tornate alle forme antiche o, create di nuove, si ha un  di tutto:

L'economia in Internet segue le medesime logiche, dentro c'è di tutto, dal mercato (vendite on-line) alle industrie ( I.o.T. e I.A. ), ai servizi alla persona (social) al non-capitalista (open source), al para-capitalismo (artigiani software), allo Stato (fisco, INPS, difesa, scuola ecc), alle banche (moneta e trasferimenti) ecc.

Quello che si va delineando nelle figure del lavoro nella fase della sussunzione reale spinta è la convivenza di forme neo-schiavistiche, di quelle fordiste, per teams  e sfruttamento dalle nuove piattaforme web; le mansioni vanno dal lavoro a domicilio (rivisitazione di quelli arcaici), il più delle volte digitalizzato da piattaforme trans-nazionali, fino al lavori stupidi come protesi di sistemi robotizzati con intelligenza artificiale.

E venuto meno il concetto di progresso come visione lineare ed evolutiva della storia, ma passato remoto, passato, presente e futuro convivono nell'adesso. Ma in un "adesso" carico della storia passata.   

L’estinzione dell'area del plusvalore

Sta di fatto che oggi la popolazione fuori dell'area plusvalore è sempre più ampia.

Anche la vecchia distinzione secca tra proletari e borghesi, riguarda una parte esigua della popolazione. l'unica cosa che accomuna tutti è tra l'essere debitori o creditori; attraverso lo Stato si sottrae ricchezza al lavoro generico e si alimenta il forno della “bisca internazionale” chiamata finanza.

Allo Stato è venuta meno la sua classe di riferimento, ma è rimasto con norme e leggi rimaste quelle del capitalismo fordista [che applica però ai piccoli imprenditori, facendoli diventare a loro volta “antisistema” (che si riconoscono nella Lega).].

Rimasta orfana, lasciata libera, la burocrazia a sua volta è diventata una congerie di pseudo-servizi senza senso, e i pochi servizi sono burocratiche formalità (vedi scuola e sanità su tutti); nel complesso è incapace di gestire il presente (vedi anche i terremoti e catastrofi varie), è ridotta a uno spettro residuale del passato: un moloc assetato solo di tasse per mantenersi e alimentare il debito pubblico.

Riguardo l'imprenditoria italiana che per abbrivio chiamiamo ancora “capitalismo”, ma è più una realtà pulviscolare, dove i dati sono questi, roba da capitalismo prenatale.

(Rapporto Cerved 2016):

L”Italia, è tra i Paesi europei, con il più alto numero di Micro, Piccole e Medie Imprese (MPMI): sono 4,4 milioni e rappresentano la quasi totalità, ovvero tra il 99,4% e il 99,9%, del sistema produttivo italiano. Di queste aziende, 2 su 3 sono familiari.

Le medie imprese (meno di 250 addetti e meno di 50 milioni di fatturato) sono 23.500, di cui circa un terzo in Lombardia.

Le piccole imprese (meno di 50 addetti e meno di 10 milioni di fatturato) sono 136.000.

Il resto sono micro imprese (meno di 10 addetti e meno di 2 milioni di fatturato).

Queste MPMI danno lavoro a circa 3,8 milioni di persone, di cui oltre 2 milioni sono allocate in imprese piccole.

Delle PMI (Piccole e Medie Imprese) italiane, la gran parte, oltre 111.000 (82% del totale nazionale), opera nelle regioni del centro-nord, mentre la parte restante (il 18% circa) si trova nel Sud.

In particolare, le regioni del nord-ovest si confermano l'area di maggiore concentrazione, con oltre 47.000 piccole e medie imprese , seguono il nord-est con circa 36.000 e il centro con 28.000.
Un quarto di tutte le PMI italiane ha sede nella sola Lombardia , seguita dal Veneto, dall'Emilia Romagna e dal Lazio.

Al Nord abbiamo una maggiore diffusione delle imprese industriali, mentre al Centro (soprattutto nel Lazio) si osserva una quota relativamente più alta dei servizi.

Prevalgono questi settori: l'elettromeccanica in Emilia Romagna, il sistema moda in Toscana, Marche e Veneto, la lavorazione del metallo in Lombardia e in Piemonte, la logistica in Liguria e la filiera dell'informazione e dell'intrattenimento nel Lazio.

Il 79% delle imprese opera nei servizi con il 68% degli addetti. Nell'industria il 9,5% con il 24% degli addetti. (dati Istat 2015).

Se non si ha la cataratta agli occhi si vede bene che il cuore del capitalismo dagli anni '70 (30% di addetti era nella grande industria) si è totalmente sfarinato e la trasformazione è avvenuta tutta in silenzio, senza che la sinistra se ne fosse accorta.

Il capitalismo cadetto

La marcia dei 30.000 SI TAV a Torino, ha fatto emergere l’esistenza di un consistente capitalismo parastatale che si affianca ai concessionari di servizi Statali (Autostrade, energia, trasporti, acqua e gas), che dalla crisi del plusvalore sopra descritto non riesce più a fare reddito producendo beni, ma sopravvive solo attaccato alle mammelle dello Stato. Se lo stato non cantierizza lavori anche se inutili, se non mette tanti soldi nella ricostruzione dei disastri ambientali, soldi che devono essere ciechi e consistenti, questi signori del “para” Stato muoiono, e non creano – se non come cascame “occupazione” (che spesso subappaltano) di bassa professionalità.
Questo capitalismo leggero, senza capannoni, fatto solo di relazioni con persone che contano, si è così ampliato così tanto da diventare una potente forza politica; le marce (perché si sono ripetute con le forze politiche) di Torino e l’accanimento persistente nei media per sostenere le loro tesi dimostrano la forza e l’egemonia di questa classe prenditoriale (che prende senza dare) italiana. Una prenditoria che ad ogni “impresa” lascia una scia di scandali che mette al lavoro la magistratura (inchieste che vengono regolarmente insabbiate). Dalle olimpiadi al Mose, dall’Expò all’alta velocità, come Re Mida qualunque cosa toccano è oggetto di truffe.

Lo Stato che fa welfare verso la rendita

Abbiamo a che fare non più con il classico capitalismo, ma con capitale da rendita garantita, senza rischio d’impresa, senza dover passare dal mercato, che trae reddito e vantaggi dall’intessere relazioni e da rendite di posizione come i boiardi del medioevo, svicolati da ogni regola di concorrenza.

Dove il reddito non è dato dall’impiego di forza lavoro, dal suo plusvalore (il lavoro concreto spesso svolto da sub-sub-appalto), ma dal reddito differenziale, tra quello “estorto” allo Stato e il costo effettivo, di mercato, del servizio realmente svolto.

E trova nello Stato, attraverso leggi ed emendamenti un valido sostenitore, politici e funzionari corrotti che costituiscono il “giro” del potere ombra che operano dietro le quinte.

Tra precapitalismo e fantacapitalismo

In questo deserto del plusvalore, la sinistra continua a parlare di capitalismo al passato remoto e quel che è peggio è che si trova del tutto impreparata, non ha una minima idea su come rimpiazzare il capitalismo morente; perché quello che abbiamo di fronte non è più capitalismo ma una costellazione di sistemi laterali o precedenti il capitalismo classico. A produrre ricchezza producendo merci c’è rimasta tutt’oggi  solo la Cina: la fabbrica del mondo.

 

I MONOPOLI

Questa non è una pipa (il Monopolio “finanziario”)

La caduta del profitto nell'industria in occidente ha comportato lo spostamento dell'asse economico dalla produzione alla finanza, chi detta le norme adesso è il capitale “produttivo” di interesse; esso ha assunto un ruolo di dominus in economia.

Alla nostra aristocrazia finanziaria non sembra vero che con il denaro si produca “magicamente” altro denaro. L'attuale matrimonio Stato-finanza ha creato un mondo metafisico, con al centro il denaro de-sostanziato e intorno cerchi magici di grandi sacerdoti, che amministrano in modo autoreferenziali il mistico mondo della finanza.

Lo fanno in violazione delle comuni leggi della fisica e della termodinamica,15 il loro è un mondo Disneyland, dove si creano dal nulla flussi di capitale fittizio e speculativo che girano nella giostra delle capitali finanziarie che cingono in mondo. Con il capitale fittizio si fanno investimenti e speculazioni che finiscono per lo più in spirali autodistruttive e, per quanto sono dense e intrecciate, all'avvento di crisi da rapina, danno luogo a crisi planetarie.

Abbiamo che gli Stati emettono moneta “numismatica”, denaro che non indica l'oro-ricchezza nelle loro casse ma solo la rispettiva potenza economica-militare; al contempo le stesse banche emettono crediti che non hanno in cassa, la finanza cartolarizza crediti (spesso inesigibili), creando a sua volta altro “denaro” fittizio.

Il mondo del denaro (ricchezza astratta) è di fatto un mondo parallelo finto ma reale, come quello che si vede a Disneyland.

Di fatto, tra Stati e finanza da qualche decennio in qua si è venuto a creare uno spazio di ricchezze al di fuori dei rapporti di valore, capitali fantasma che assumono la veste del debito; e come ogni debito sono una ipoteca sul plusvalore futuro, quello ancora da produrre.

Sulle nostre banconote si potrebbe scrivere “questo non è un valore”, come la pipa di Renè Magritte

Abbiamo che lo Stato emettere titoli-debito (BOT, CCT), oppure batte moneta allo scoperto; che questo sia fatto dallo Stato o dalle banche centrali con il quantitative easing non ha molta importanza, oppure dagli istituti di credito che imprestano denaro che non hanno in cassa, in realtà imprestano una quantità valore che si presume verrà prodotto in futuro, al momento della restituzione (quindi sono prestiti a debito, ma nella loro contabilità risulta a credito. Un privilegio che ai comuni mortali non è concesso, nessuno può imprestare quotidianamente soldi che non si hanno).

Ma - come succede -, se i debitori diventano insolventi oppure, come nel caso dello Stato, la Nazione non produce la ricchezza presunta? Semplice, subentra il default degli emittenti (banche, finanza o Stato). Questi momenti generalmente vengono chiamati: crisi (che si manifesta in inflazione nel caso dello Stato o default nel caso degli istituti finanziari).

Il motivo è semplice: il debito è un titolo di diritto sulla produzione futura, un valore che può essere estinto solo attraverso la futura produzione di valore, ma dev’essere superiore, eccedere l'ordinario; se non si realizza in pieno questo surplus si verifica la crisi perché non si è estinto totalmente il debito.

Ovvero se la Nazione non produce il surplus (non aumenta il PIL), si avrà che: se ha una moneta sovrana questa si svaluta, diversamente (area Euro) aumenta il tasso d'interesse sui titoli di Stato.

Si è arrivati al punto che solo per il pagamento degli interessi lo Stato esaurisce la gran parte delle entrate e deve ricorrere ad altro debito per pagare gli interessi (stampa moneta e/o emette titoli altri di Stato).

Morale, la politica del debito è una giostra per criceti: gli Stati non estingueranno mai il loro debito (infatti lo rinnovano continuamente) altrimenti rimangono senza fondi. E, come succede negli ultimi decenni, gli Stati non realizzano mai una “crescita” (del PIL) abbastanza alta, in grado di fare fronte agli interessi maturati (più la svalutazione), così subentra un tracollo (p.es. Grecia) e/o lo Stato (la Nazione) diventa ostaggio dei creditori internazionali in tutto o in parte (vedi l'Italia).

L'accumulazione di “non valore”, di capitale fittizio, necessita di una produzione di plusvalore progressiva, che la legge marxista della caduta tendenziale del profitto non consente! Così il debito si allunga, le banche falliscono, gli Stati svendono i “gioielli di famiglia”. Il sistema fondato sulla rendita è un sistema distruttivo di ricchezze al pari delle guerre; anziché produrre accumulazione di valore, produce accumulazione di debito: un cappio al collo sempre più stretto per Stati e debitori vari.

(nota) Si ha in genere una tendenza ad onorare il debito, non onorarlo è una questione di “onore”Il debito ha un solido nesso con l'esperienza religiosa che sfrutta il senso della colpa, come del peccato originale usato per ancorare i fedeli alla chiesa.

La parola è presente in sanscrito, in ebraico, nell'aramaico, oltre che nel tedesco moderno con la parola Schuld (colpa), che trova assonanze con la parola riferita al debito (Schulden)”,

Genealogia del capitale fittizio

Come si è arrivati a questo? Ci sono dei dati “oggettivi” e delle declinazioni formali.

Per fare fronte alla caduta tendenziale del profitto (relativo) ìl capitalista ha necessità d'incrementare il capitale fisso (macchine e tecnologia migliori) e mano a mano che la tecnologia avanza servono maggiori risorse di capitali, risorse che nessun singolo borghese potrebbe far fronte con i soli propri risparmi. Così il capitalista ricorre massicciamente al credito esterno, lo fa quotandosi in borsa e/o chiedendo prestiti in banca. Per stare sul mercato si ricorre di volta in volta a somme sempre più ingenti, fino a creare una commistione tra impresa, banca e/o finanza che viene chiamata: fase della finanziarizzazione delle imprese.

Un altro fattore incidente di questo percorso è che in questa commistione a un certo punto i capitalisti industriali si sono accorti che speculando in borsa sul capitale azionario o con i prestiti bancari potevano guadagnare di più che nella produzione di beni. Ed è questo punto che a capo delle aziende hanno rimosso i tecnici e messo esperti di finanza. In questa bisca planetaria molte imprese virtualmente sane sono fallite (p. es. Enron, Parmalat e per certi versi la stessa Fiat di Romiti), ma ciononostante il gioco continua.

Effetti collaterali della finanziarizzazione

Connesso al punto sopra, dalla divaricazione tra valore ed espressione monetaria risulta che diventa più conveniente dirottare il capitale-denaro fittizio fuori dalla sfera della produzione (e dunque dall'ambito della valorizzazione), per farlo circolare come denaro-fittizio in mercati altri; come la sfera del commercio degli oggetti d'arte o nel mercato immobiliare, in cui, pur essendoci appropriazione, non si realizza valorizzazione.

Oppure i capitali mettono mano sulle risorse naturali: i beni ambientali, gli artefatti storico-artistici, i manufatti culturali, la stessa conoscenza scientifica, la creatività e l'ingegno. Tutti ambiti in cui, una volta che siano stati privatizzati attraverso accaparramenti e recinzioni, il proprietario può accampare una rendita.

Ma si tratta di beni ereditati a titolo gratuito dalla storia naturale del pianeta e dalla storia culturale della specie umana, beni che dovrebbero essere liberamente accessibili a tutti, ma che invece si privatizzano, e diventando esclusivi gli si da un prezzo e quindi oggetti di compravendita speculativa.

Il teorema della moneta debito

Sul piano “formale” tutti questi processi hanno l'avallo della narrazione borghese-cattedratica. Qui si è passati dalla teoria classica, che mette al centro la produzione, al marginalismo che mette al centro il mercato, per arrivare al neoclassico che è un insieme delle due. Dentro questa corrente si è fatta largo la “corrente monetarista” di John MaynardKeynes.

Il teorema Keynes così riassume così: Ammettiamo che un tizio amerebbe avere un paio di scarpe nuove, ma al momento non se le possa permettere. Ciò provoca una minore produzione di scarpe e una minore richiesta di operai che fabbricano scarpe. Se dunque forniamo a quel signore il denaro per comprare le scarpe, ciò favorirà la produzione di scarpe e se ne avvantaggia tutta l'economia nazionale. Fra l'altro, poichè i disoccupati che sono stati assunti nella fabbrica di scarpe a causa del maggiore consumo avranno più denaro a disposizione, spenderanno di più, e a loro volta favoriranno la produzione di altri beni e servizi.

Questo, all'ingrosso, è lo schema Keynes, apparentemente è un moltiplicatore per la produzione di ricchezze, nella realtà è una specie di schema Ponzi ma è più allargato, dove gli ultimi (sia dentro la Nazione che intra Stati) ciè i più deboli rinarranno comunque con il cerino in mano16.

Sul piano interno Keynes postula che il motore dell'economia sia la stimolazione della domanda”, ossia spingere qualcuno (potenzialmente produttivo) a comprare (inducendo così il capitalista a fabbricare la cosa medesima, creando a sua volta lavoro); in questo modo si stimola il consumatore a procurarsi i soldi per soddisfare i nuovi bisogni indotti. E se il consumatore fa debiti per comprare le merci, ancora meglio, sarà costretto a svolgere qualunque lavoro per onorare il debito. Il modello Keynes è di fatto l'economia dei criceti che deve andare a velocità progressiva, altrimenti deraglia.

Un'altra “medaglia” da assegnare a Keynes è la non convertibilità del dollaro (suggerita da Keynes alla conferenza monetaria intenazionale di Bretton Woods del 1944 ). In questo modo è venuto meno il denaro come segno che indica una ricchezza (l'oro nei forzieri), il denaro come cumulazione di lavoro, il denaro per tesaurizzare, il denaro come credito e come mezzo di produzione per produrre capitale, il denaro bancario che aspettava di entrare nel processo industriale produttivo di plusvalore; da allora il denaro è solo debito, ovvero ricchezza fittizia.

Non è sbagliato definire Keynes come il padre del dispositivo “dell'economia del consumo” strettamente connessa a quella del debito. Stampando denaro dal nulla, facendo debito, lo Stato sostiene l'economia che “da sola non riuscirebbe a superare le crisi” (J. Keynes).

Lo Stato diventa un puntello permanente del capitale: nel '29 erano le industrie nella crisi, oggi sono le banche e lo Stato, facendo “welfare” alla rovescia, per sostenere imprese e/o banche, scarica sulle generazioni future il sostentamento del capitalismo in crisi.

Il capitalismo, e soprattutto il modello keynesiano del debito, presuppone il capitalismo come “sistema aperto”, ossia un sistema che non si autosostiene di per sé dentro un sistema chiuso (p. es. un singolo Stato) ma solo dentro un sistema di Stati con ricchezza non perequata, in conflitto tra loro su chi tiene i salari più bassi ed esporta di più.
Per esportare di più si ricorre alla potenza militare. E se non fosse
sufficiente si ricorre alla guerra. Tant'è che si parla del keynesismo militare, come l'unico che sia effettivamente riuscito ad applicare la sua teoria per intero.

Altre contraddizioni si danno al modello keynesiano.

  1. Dal momento che la ricchezza la produce solo il lavoro, non le macchine, non la natura, e nemmeno il mercato, lo Stato stampando moneta stampa solo debito. “il debito (…) è un titolo di diritto sulla produzione futura di valore che può essere estinto solo attraverso la produzione di valore. Se la produzione futura di valore non è sufficiente a estinguere il debito, si verifica una crisi”. Succede che lo Stato non salderà mai il debito nonostante si dia da fare, allora accelera con le tasse e riduce i servizi.

  2. Egli non fa i conti con la caduta tendenziale del profitto. E' un dato che il debito delle nazioni cresce in continuazione, i paesi più indebitati (USA e Giappone) sono di fatto in default perché la ricchezza prodotta è sempre inferiore a quella necessaria per ripagare il debito (si reggono rispettivamente sulla potenza militare e sull'utilità geopolitica).

  3. In ogni caso con il debito si designa uno scarto impossibile da recuperare, un peccato originale, un vincolo sacrificale che appare naturale ma che tale non è, sebbene che esso tuttora sottomette tutta la popolazione e la civiltà occidentale.

  4. Creando denaro per agevolare il capitale a produrre, lo Stato esercita di un trasferimento di risorse a discapito di tutti, soprattutto dei percettori di reddito fisso. Infatti quel denaro fittizio provoca inflazione17, un aumento dei prezzi di fronte al quale i più indifesi sono quelli a salario fisso.

  5. Il denaro svincolato dalla ricchezza dipende dalle relazioni interstatali (bilancia di pagamenti, ecc.), ovvero da quanto debito si riesce a versare sulle spalle degli altri paesi (più che altro sulla parte più povera degli altri paesi).

  6. Il sistema fondato sul debito potrebbe anche trasformarsi in una forza determinante per sostenere la valorizzazione e l'accumulazione di capitale, ma i suoi effetti si ritorcono sui soggetti che contraggono il debito, i soggetti mutuatari (la classe sfruttata) che possono vedere pignorati i propri beni e, soprattutto, che possono essere costretti a lavorare, e dunque a produrre valore sotto forma di tassi di interesse, per ripagare il debito.

  7. Da quando le pensioni non sono accantonamento dei versamenti ma finiscono nel calderone delle spese correnti, i soldi ai pensionati sono dei sussidi a persone improduttive, è assistenzialismo parassitario e per Keynes sono dentro la categoria delle spese. L'idea di Keynes è promuovere non il consumo per il consumo, ma il consumo come motore della produzione, permettendo al primo attore – che per lui è il compratore – di far girare il meccanismo. Se si fanno sgravi fiscali sulle imprese e i lavoratori sono spese “attive”, le pensioni (o reddito vario) sono un peso per la società, “passive” e sono da tagliare.

  8. Lo Stato indebitato che non può onorare il debito vende il suo patrimonio, come energia, trasporti, sanità, edifici pubblici, o ricorre a concessioni per l'uso privato del demanio come quelle estrattive, di cave, montagne.. l'appropriazione predatoria di beni comuni, archelogico, culturali, paesaggistici, acqua, spiagge, foreste, ecc.; tutto per fare cassa per sostenere il debito.


     

BIBLIOGRAFIA GENERALE

Sul deep Marx, visto il limite di spazio, si citano solo alcuni autori e si rimanda sia ai libri che al loro materiale consultabile in internet.

È una lista approssimata che comprende anche alcuni marxisti-keynesiani.

R. Bellofiore, L. Colletti, C. Napoleoni, V. Giacchè, G. Carchedi, S. Cesaratto, R. Fineschi, P. Sraffa, L. Pasinetti, T. Negi, ecc,.

E soprattutto stranieri: H. Grossmann, A. Freeman , Moishe Postone, Robert Kurz, Roswitha Scholz, Norbert Trenkle, Ernst Lohoff, Peter Klein, Anselm Jappe, Claus Peter Ortlieb, Karl-Heinz Lewed, Franz Schandl, Justin Monday, Gérard Briche, Christian Höner, Peter Samol, ecc. e gruppi: "Krisis", "Exit!" "Wertkritik".

1 Capire dove siamo in rapporto alla legge del valore di Marx può essere utile ma non è indispensabile, il lettore può passare direttamente al corpo del libro senza grandi problemi.

Per chi prosegue, si è cercato di sintetizzare al massimo la teoria o meglio della sua interpretazione, perché non c'è univocità tra gli studiosi su questo argomento.

Si arriva a delle conclusioni che stravolgono il senso comune sull'argomento e gettano una nuova luce sulla realtà del post-moderno capitalista e che sono molto utili alla trasformazione dello stato presente delle cose.

2 A. Smith: La Ricchezza delle Nazioni, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma, 1995

3 Il termine “marxismo esoterico” deriva probabilmente dal gruppo marxista Gyorgy Lukacs, Karl Korsch, Ernst Bloch. Ma qui si fa riferimento ai testi di R. Kurz del gruppo Exit (ex Krisis)
4 Nell'economia classica questo vien chiamato “rischio d'impresa”. Un di più che dovrebbe compensare il denaro investito.

5 Con la concorrenza, le industrie si specializzano e si diversificano, chi fabbrica mezzi di produzione (le macchine) e chi beni di consumo o per l'organizzazione del lavoro e la società in cui sono immersi. Perchè la società a sua volta si suddivide in mille specializzazioni con linguaggi propri e incomunicanti tra loro se non attraverso il denaro: Stato, banche, latifondo, tecnica, informazione e cultura, (anche la religione si adegua).

6 Rapporto nel capitale investito distinto tra capitale fisso (macchine e materie prime) e capitale variabile (manodopera).

7 Ne “Il Capitale” la parola tedesca Darstellung in genere è tradotta come “incorporato” ma il modo più corretto sarebbe “rappresentato”. [ “Reply to Critics” Historical Materialism (2005)].

8 In pratica con questa versione scolastica di Marx presupponendo che Marx abbia scritto “Il Capitale” solo per spiegare come far funzionare l'economia “socialdemocratica”, per  (ri)propone come “futuro comunista”  fatto da un capitalismo senza capitalisti. Viceversa gli “eretici” credono che Marx scrivendo “Il Capitale” abbia anzitutto voluto fare una critica al capitale (in toto) come macchina feticistica, come critica all'economia (ai valori astratti) e quindi occorre “remare” per l'abolizione del lavoro salariato, della divisione del lavoro e per l'estinzione dello Stato.

9 L'economia borghese afferma che il valore astratto è prodotto dalla circolazione, un di più che il capitalista aggiunge al valore della merce al momento della vendita. Ma in questo modo sarebbe lo scambio che crea dal nulla un surplus di ricchezza. Questa tesi è in piena violazione delle leggi fisiche; piacerebbe davvero a tutti moltiplicare il proprio risparmio dal nulla. Pinocchio che piantava le monete ne sa qualcosa. Purtroppo non funziona così, anche se certe bolle finanziarie funzionano proprio seguendo questo sistema di credenze.

Questo ci fa dedurre che dietro il profitto (o la rendita) c'è sempre del lavoro concreto, ed è questo che il capitale non vuole riconoscere.

(Nel capitalismo grazie alla forma-moneta del valore, vendono anche il plusvalore sotto forma di tempo, lavoro che dovrà ancora essere prodotto, o che si prevede che si produrrà; questo, insieme alla rendita, alla tesaurizzazione, alla produzione di moneta, per far figurare che sia il tempo a creare valore (aspetti di cui  qui non si parla per brevità, ma che hanno i loro effetti nella redistribuzione del valore prodotto).

10 Se si pensa che un medesimo trasferimento di plusvalore si realizza all'interno di una medesima fabbrica, dove lavori più o meno lontani dalla produzione diretta contribuiscono ugualmente alla media del profitto “formale” del singolo capitalista, il medesimo meccanismo di trasferimento di ricchezza avviene in tutto il globo.

11 I manoscritti per il Libro III del Capitale vanno oltre, e ci dicono che oltre al capitale industriale abbiamo il capitale commerciale e quello finanziario, a cui si affiancano la proprietà fondiaria e i profitti dei commercianti; e a questi andrebbero aggiunti il debito pubblico dove le tasse e balzelli non sono orientate ai servizi ma a una redistribuzione del plusvalore tra i creditori.

12 Intorno alle mura delle città (delimitate da autostrade, anulare ecc.) sorgono zone degradate rifugio dei poveri urbani, soggetti all'incuria civile e vulnerabili ai fattori meteorologici.

13 E al contempo non possiamo parlare di capitalismo dell'industria finanziaria. Fare soldi con i soldi (D-D+), ipotecando il tempo futuro e creando capitali fittizi disancorati dalla ricchezza reale (sono talmente tanti che esuberano tutta la ricchezza mondiale) cioèprodotti creati al solo a scopo speculativo, per il marxismo è un obbrobrio, come sono un obbrobrio i soldi del gioco di Monopoli (ma evidentemente non è così per l'economia borghese).

14 Oggi abbiamo l'assurdo che già in una fabbrica altamente automatizzata a elevata composizione organica, non solo ci sono pochi operai addetti ai lavori semplici, ma di quelli rimasti è anche difficile - e non ha senso - distinguere il lavoro astratto e il lavoro concreto, il lavoro produttivo e quello no, quindi definire il plus-lavoro prodotto.

15 L'energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma, passando da una forma a un'altra. L'energia può cioè essere trasferita attraverso scambi di calore e di lavoro.
16 Questo è un sunto del pensiero keynesiano in realtà più complesso e riguarda la macroeconomia.

17 Perché la quantità di beni sul mercato non è cambiata ma il denaro circolate sì.