dismaland1

IL CAPITALISMO TRASCENDENTALE

(il capitalismo delle piattaforme1)

Dal capitalismo immanente quello delle ciminiere, delle sirene che chiamano al lavoro migliaia di persone, si è passati al capitalismo trascendentale, un capitalismo simil-finanziario, che trae profitto creando centri (monopolisti) di servizi e “miners”, relazioni, collegamenti e estrazione di dati: sono le nuove piattaforme che internet e le nuove tecnologie digitali consentono; il loro core business è tanto la prestazione di un servizio (spesso retribuita, ma non sempre), quanto l’estrazione di valore dalle interazioni sociali che ne derivano.

Le piattaforme fino a ieri erano delle strutture piane e resistenti che servivano come base di appoggio per un trasbordo di merci e rendono possibili dei passaggi. Le recenti piattaforme digitali sono un agglomerato di hardware e software (con uso di intelligenza artificiale e big data) che si collocano in modo tendenzialmente monopolista, tra due entità fisiche come produttori e consumatori (es. Amazon), tra parlanti e riceventi (es. Facebook) o tra macchine e operatori (es. Siemens, GE) che permettono di svolgere determinate operazioni. Sono dispositivi con strutture e norme che regolano flussi, passaggi, spostamenti ed operazioni varie di informazioni e merci.

Fin qui tutto sembra normale, le piattaforme più o meno tecnologiche ci sono sempre state, svolgevano un servizio spesso legale e “utili” (il virgolettato del dubbio) come la grande distribuzione, notai, ecc, altre volte meno legali come i sistemi mafiosi, i quali ponendosi da monopolisti tra produttori e consumatori (nei settori droga, ortofrutta, caporalato, costruzioni, ecc.) traggono profitto dalla transazione.

Sono l’effetto del capitalismo nella sua fase calante, dove il capitale industriale rende sempre meno (per via della famosa caduta del saggio medio del profitto) e i capitali per trovare redditività escono dalle manifatture e investono nella information technology; i dati su internet sono un emergente modello di business (o sperano di farlo), perché molte aziende si ingolfano di capitali prima di produrre reddito (Amazon nella distribuzione, Whatsapp, Uber, ecc.); solo perché sperano che una volta diventati grandi e aver monopolizzando il mercato mondiale, sbaragliato i concorrenti, diventerebbero redditizie.2

Nel 2.000 esplode l’economia digitale delle piattaforme 3! E la piattaforma è un modello economico che permette reddito attraverso la costruzione di altri beni, servizi attraverso nuove tecnologie. Il fulcro della piattaforma è “l’estrazione” di profitto dai meta-dati4 in formato big-data. Si parla di Data-mining5 che Web 2.0 permette l’accesso, e con analisi avanzate (reti neurali, algoritmi genetici di intelligenza artificiale) le piattaforme e non solo ( riescono a renderli utili per il mercato. I monopoli internazionali delle piattaforme grazie a quanto detto, si pongono sia come intermediari si mercato che come come attori nel campo d’azione (creano e/o piegano il mercato della domanda, dell’offerta e del prezzo).

I profitti delle piattaforme sono generati dalla quantità di dati elaborati che si fanno portatrori: dati provenienti sia dagli utenti/compratori che dai venditori, a cui offre prodotti o servizi. Sono una mole enorme di dati (big-data) aggiornati in tempo reale, che permetto di calibrare prezzi per massimizzare i profitti, per personalizzare l’offerta, per anticipare le tendenze del mercato o i futuri clienti (prevedono chi sta per diventare mamma, chi giovane fa dello sport, chi vecchio si sta per ammalare, ecc. quindi pubblicità mirata).

Sono piattaforme politiche

La tracciatura degli utenti web presuppone che molti dati significativi delle persone (pensieri, gusti, amori, umori, tendenze, contatti positivi e negativi, i consensi ricevuti, ecc.), eludono la proprietà e riservatezza delle persone stesse (fino ad arrivare a conoscere ciascuno meglio di se stessi), mette in discussione il confine di quella che si chiama privacy, la pelle come confine della persona, e attraverso il linguaggio (visivo e parlato) le piattaforme riplasmano quello che consideriamo oggettivo, reale, spontaneo; mettendo in in gioco quello che noi crediamo di decidere in totale autonomia in modo del tutto trasparente ai soggetti.

Il processo di Data mining attraverso la Classificazione (individuazione delle caratteristiche che indicano a quale gruppo un certo caso appartiene), la Segmentazione (individuazione di gruppi con elementi omogenei all’interno del gruppo e diversi da gruppo a gruppo), le Associazioni (individuazione di elementi che compaiono spesso assieme in un determinato evento), le Sequenze ( individuazione di una cronologia di associazioni), raggiungono le Previsioni (valori noti per la previsione di quantità non note).

Che le necessità siano commerciali, politiche, sindacali, religiose o di lobbistica poco cambia.

Le piattaforme in regime di monopolio sono dei veri e propri agenti politici, nel senso che permettono alcune operazioni e ne vietano altre, ne agevolano alcune e ne penalizzano altre; orienta prezzi, gusti, mercato, politica ed etica. Le piattaforme mettendo in rapporto persone nei settori della produzione di servizi, dell’e-commerce, in mezzo in modo attivo e unilaterale, tra domanda e offerta, tra diversi agenti della produzione e della distribuzione sia delle merci che della finanza, sono gestori di un potere enorme.

Infatti le nuove piattaforme sono strutture virtuali capace di ricoprire allo stesso tempo: ruolo di servizio, attore commerciale, agente economico e politico! Lo sono sia per la dimensione globale che per la dimensione economica: sono più potenti di molti Stati. Centrali politiche sovranazionali e da cui dipendono tutte le altre economie locali. Gestiscono mole di metadati diretti e indiretti (i cloud , depositi di dati che tra l’altro risiedono tutti negli USA) che grazie ai loro super computer sono in grado di ricavare informazioni indispensabili per tutta l’economia (in senso ampio) del globo.
Non a caso che Cina e in parte la Russia, per mantenere la loro sovranità (politica, culturale ed economica) non hanno permesso l’accesso alle piattaforme occidentali e ne hanno creato delle proprie.

Tipi di piattaforme 6

Volendo inquadrare meglio le piattaforme prendiamo la classificazione di Srnicek, che le divide in cinque tipologie ( advertising, cloud, industriali, di prodotto, lean);

Piattaforme advertising, ovvero la cui principale fonte di ricavo è data dagli inserzionisti: siti web come (Google, Facebook) che estraggono informazioni dai loro utenti per rivenderle i loro profili sotto forma di spazi per la pubblicità, e i ricavi investiti in acquisizioni (es. whatsApp da parte di FB) o investimenti in start-up del settore.

Piattaforme cloud , dove si affittano servizi di cloud computing (hardware, software e strumenti di analisi) ad altre imprese. (es. Amazon, che affitta ad altre imprese i suoi “Amazon Web Services”). Si noleggiano infrastrutture per la raccolta ed elaborazione dati incrementandone il valore. Le imprese che voglio fare uso di strumenti sofisticati si legano necessariamente a loro ne diventano dipendenti e non possono più emigrare altrove in altri servizi più convenienti; in questo modo le piattaforme si sono assicurati non solo i clienti ma un monopolio sulla conoscenza.

Piattaforme industriali, sistemi IoT dell’industria 4.0 che collegano sensori e azionatori, fabbriche e fornitori, produttori e consumatori, software e hardware sparsi per il mondo come se fossero dentro una medesima struttura locale. General Electric o Siemens che costruiscono l’hardware e il software per innovare l’organizzazione della produzione manifatturiera collegandola alla rete al fine di abbassare i costi di produzione e trasformare i beni in servizi (la cosiddetta Industria 4.0)

Piattaforme prodotto come quella lean si caratterizzano dal modo in cui si relazionano con la proprietà. sono quelle che forniscono prodotti come se si trattasse di servizi, ovvero quello che li offrono in noleggio e, tramite essi, raccolgono dati (è il caso di Zipcar). Spotify genera profitti a partire dall’uso di altre piattaforme che trasformano una merce come la musica in un servizio e guadagnano attraverso la percentuale o la quota di sottoscrizione versata per abbonarsi al suddetto servizio, Ma si potrebbe anche aggiungere la Rolls-Royce che affiata i suoi motori di aereo.

Piattaforme lean, aziende agili, snelle dove non hanno stabilimenti propri o dipendenti, e alle volte neppure amministrazione, ma muovono molti “dipendenti” e mezzi di produzione non propri. Quelle imprese che riducono i costi al minimo. L'abbattimento dei costi dei trasporti e le nuove infrastrutture consente di acquisire mercati, materie prime, e semilavorati in tutto il globo. Prima le industrie de-localizzavano parti secondarie della produzione o servizi come le pulizie, poi pezzi sempre più grandi e infine tutta la produzione, per passare alla amministrazione e alla progettazione, ogni fase produttiva viene smembrata in sottoparti per essere esternalizzata: in questo modo le imprese lean assomigliano sempre più a finanziarie.

Poi ci sono quelle recenti che si collocano come semplice interfaccia tra erogatori e utenti, come nel caso di Uber o Airbnb, ma in prospettiva tutta la manifattura (dall’auto alle borse Gucci). Uber, Airbnb, le food tech, Deliveroo o Foodora che organizzano la forza lavoro attraverso un algoritmo e mettono in collegamento clienti e attività commerciali traendo profitto attraverso la riduzione dei costi del lavoro. Grazie ad uno strumento di comunicazione, e un software che permette la raccolta e l’analisi dei dati erogano un servizio o producono un bene senza possedere i beni strumentali. (Un guidatore Uber, ci mette l’auto, l’assicurazione, il garage, e non gli viene pagata la malattia, la tredicesima, la pensione, ecc.)7. Sono la fonte del precariato attuale. Quest’avvento dell’economia lean che per i subordinati ha segnato l’era dei lavoretti: la gig economy. l’economia del “lavoretto”, on demand, o app economy, estranea al lavoro salariato standard.

Il lavoro al tempo delle piattaforme

Dietro gli schermi degli smartphone esistono legioni di cottimisti digitali agli ordini di ingegneri e gate-keepers che governano un’infrastruttura digitale. E’ venuto a darsi un nuovo prototipo di lavoratore, mobile, flessibile, iperattivo, magari multitasking, che magari svolge diversi lavori contemporanei e con paghe irrisorie. E’ così sulle piattaforme e per conseguenza in tutta la vita quotidiana.

Questa è l’economia dei lavoretti: gig economy (esibizione, spettacolo e “lavoretto”), l’economia on-demand, o app-economy, dove viene esaltata la sfera estetica, della performance (fisica, mentale, ludica), quasi come se fosse un hobby, passatempo. Si parla allora di playbour o di gamebour e, ancora, di weisure (work+leisure).

Il capitalismo di piattaforma trasforma la forza lavoro in forza di vendita. Qui si vende se stessi, si vende il capitale umano, ciò che si è o si cerca di apparire nella vita fuori e dentro il lavoro. La finzione di questa soggettività è reale e non va disprezzata. Un nuovo tipo di esercito forza-lavoro è un insieme di agenti di commercio, padroni e dipendenti di se stessi al contempo. E’ indifferente che si guidi un taxi Uber, si portano le pizze per JustEat, si recensisce un ristorante su TripAdvisor, si prenoti una camera su Airbnb o si metta un “mi piace” su Facebook.

Sulle piattaforme il rapporto di lavoro sembra indistinguibile da un’interazione automatica. Mettere “like” è come consegnare una pizza in bicicletta. Entrambe le attività sono guidate da un algoritmo, ma non dallo stesso. L’uso è diverso. Sulle piattaforme questa differenza è camuffata. Il tempo e lo sforzo necessario per eseguire una mansione, sia pure parcellizzata, ma inequivocabilmente è la stessa: eterodiretta. Il lavoro non è un’attività salariata, ma un’erogazione di tempo forfettario ricompensato malamente.

La forza lavoro non è scomparsa. Gli si è solo cambiato nome lontano dalle radici storiche: opus, ergon, work, travail o trabajo. Ma sempre, in effetti, si tratta di lavoro ma lontano dalla forza lavoro/tempo, il “tempo di lavoro” separato dal non lavoro, si è ricongiunto, non in modo creativo ma afflittivo.
L’ultimo capitalismo 4.0 affonda le fauci nel non capitalismo!

I nuovi alchimisti digitali: come il dato si trasforma in oro

I profitti che si possono ricavare dalla vendita di queste informazioni alle imprese che fanno pubblicità online, dipende dalla capacità di essere attrattivo verso gli utenti, questi devono essere più numerosi possibili e con uno “storico” dei loro accessi.

Per questo la posizione socio-economica della piattaforma nel globo è importantissima. Più è monopolista (nel caso di offerta) o monopsonista (unico acquirente) più produce servizi capaci di auto-generare dati. Più solida è la posizione della infrastruttura comunicativa e maggiore la sua attrattività per gli utenti.

Questo si riscontra benissimo nel caso di Amazon unico acquirente (di piccolo produttori) e praticamente unico venditore capace di vendere prodotti provenienti da ogni dove (con bassi prezzi di trasporto); Facebook con pubblicità mirate che raggiunge più di 2 miliardi di persone; o Google (e Apple) che con Android è il monopolista di molti sviluppatori di programmi e Google motore di ricerca (tra i migliori, e Crome), ha il polso degli interessi e tendenze sul piano planetario. Le piattaforme sono come delle raffinerie capaci di ottenere petrolio sempre più pregiato grazie a quello estratto in precedenza.

Questo ha conseguenze profonde per l’organizzazione industriale e l’offerta di servizi di interi settori.

Come ci si è arrivati

La crisi del modello manifatturiero taylorista in un primo momento si sostituì con il modello toyotista, quindi i primi sistemi di automazione elettonica (industria 3.0) segnarono un primo colpo all’espulsione da mondo del lavoro e quindi al suo potere; la gestione della filiera attraverso software volti a sveltire il processo produttivo. Quindi l’industria snella, dell’outsourcing, e la conseguente deregulation se da un lato misero in ginocchio il potere del lavoro dall’altro quelle furono le basi per dell’economia digitale.

(Le cause vanno sempre ricercate nel progressivo calo di redditività (il tendenziale calo del Saggio di Profitto) di determinate imprese e metodi di lavoro.)

Gli avanzamenti tecnologici degli anni ’80 e ’90, uniti ad una serie di innovazioni finanziare e all’espansione dei mercati, hanno segnato l’ascesa dell’industria che vede internet come motore trainante di molte nuove imprese; gli emergenti tecnologici diventano gli unici settori ad essereredditizi”. Nemmeno la crisi del mercato azionario asiatico riuscì a fermare la tendenza.

Dopo la crisi delle dot-com il capitalismo comprese che le pesone on line erano più propense a condividere (musiche, films, programmi, ecc.) che a spendere e che dai dati di connessione ci si poteva guadagnare, iniziò il capitalismo delle piattaforme che si inserivano in questi scambi sociali, uccidendo il precedente internet cooperativo. Le piattaforme hanno così un nuovo prodotto da vendere, noi stessi, i nostri gusti i nostri desideri, i nostri interessi.

La bolla speculativa diede vita ad una politica monetaria accomodante. L’abbassamento dei tassi ipotecari che ne seguì pose le condizioni per la successiva bolla immobiliare del 2008. Questa esplosione portò ad un’ulteriore riduzione dei tassi di interesse in un ambiente già molto finanziarizzato, portò a una riduzione del tasso di profitto su un’ampia gamma di attività finanziarie. Spingendo in questo modo gli investitori a trovare altri settori per i propri capitali (usando anche prestiti ad interesse zero del momento). Il settore hi-tech e delle start-up dove il carattere intellettuale delle proprietà rendeva possibile collocare molte risorse in paradisi fiscali. E pure dopo la crisi del 2008 ci fu solo un assestarsi di capitali sulle nuove tecnologie.

Si è prodotta un ingente liquidità non solo dal ritorno delle manifatture in chiusura ma anche dalle misure le nuove espansioni monetarie con mezzi non convenzionali da parte maggiori banche centrali mondiali (stampa moneta a tassi prossimi allo zero) hanno8, da un lato, spostato ancora di più dallo dallo Stato al mercato il ruolo di promuovere le iniziative economiche e, dall’altro, hanno spostati ricchezze verso il mercato finanziario.

Ed è in questa fase che si sviluppa la digital economy, proponendosi come nuovo paradigma produttivo del capitalismo post-crisi e portando con sé il suo frutto più pregiato: i dati.

Nella nuova economia i dati sono simili al petrolio. Questi sono reperibili sopratutto dalla rete, principalmente in forma grezza: e spesso solo dopo aver investito ingenti risorse nella loro ricerca per l’estrazione, raffinazione e trattamento possono essere fruibili per il mercato. La differenza dell’economia digitale rispetto al passato consiste però nel pensare “la produzione e il ciclo di vita dei prodotti come un processo in grado di generare dati a mezzo di dati”.

Le tendenze immanenti del capitalismo legato all’imperativo fondamentale della creazione di profitto, una volta esaurita la vena della produzioni di merci, si lancia a trovare nuovi territori di accumulazione che, nel caso delle piattaforme, sono agevolati dalla grande mole di dati divenuta disponibile dell’espansione sia di internet che delle capacità di immagazzinamento a basso costo. Capitalismo digitale è il nuovo paesaggio economico in continua evoluzione di qui agli anni a venire.

Il Capitalismo digitale individua nella trasformazione della enorme di dati generici in informazione, l’estrazione delle informazioni, il posizionamento come gatekeeper, il collocarsi nella convergenza dei mercati e lo sbarramento ad ogni concorrenza come ultima spiaggia del capitalismo tout court.

Il capitalismo nella sua forma “trascendentale” persiste, non siamo in un’economia basata sulla condivisione, anzi il momento storico che viviamo tende ad incrementare le disuguaglianze. Queste tendenze progressive verso i monopoli extra-nazionali sono necessarie alle piattaforme per poter mantenere la redditività e questa si tradurrebbe in una disparità di ricchezza senza precedenti, da curve iperboliche.

Riassumendo

1. La piattaforma è un modello economico che permette la costruzione beni, servizi e tecnologie per sé e per terzi a partire dai dati; il capitalismo tecnologico9 pur essendo una parte relativamente piccola dell’economia, negli usa impiega l’2,5% della forza lavoro e il 6,8 del PIL delle compagnie private tuttavia è parte più vasta per le sue influenze, correlazioni e dipendenze che non sono così nette come dalla classificazione standard.

2. Traendo il proprio valore dai Big-data il ruolo della rete e il data mining in un assetto monopolistico sono fondamentali.

3. Pur presentandosi come centrale di servizi, la piattaforma monopolista contiene in sé un’idea decisamente politica che va oltre l’aspetto economico. Essa infatti è trasversale non solo alle industrie manifatturiere ordinarie, ma anche ai servizi, trasporti, agroindustria, telecomunicazioni, pubblica amministrazione, ecc. è una infrastruttura pervasiva in ogni settore economico e non e al contempo un modello nuovo di cercare valore da accaparrare visto la caduta dei profitti nel metodi tradizionali fordismo e industrialismo.

4. Le piattaforme hanno un impatto notevole sull’assetto della forza lavoro, della sua erogazione, organizzazione e divisione del lavoro; Le infrastrutture digitali che queste imprese mettono a disposizione coinvolge tutti, le città devono essere smart, il business devono essere disruptive, la pubblica amministrazione e le imprese devono essere lean, i lavoratori flessibili.

5. Esiste una contiguità tra le piattaforme e l’impennata dell’economia dei servizi sopratutto della logistica, perché lo spostamento di merci è fondamentale per tutti i tipi di piattaforme.

6. Al nuovo modello di riproduzione sociale che gravita intorno alle piattaforme corrisponde una “sovrastruttura” politica e di direzione sociale conforme (si tratterrà in seguito).

Le alternative

Un aspetto del problema investe lo Stato

  • perché lo Stato non offre servizi utili a tutti che attualmente vengono gestiti da queste piattaforme? Come si fa con le strade, le piazze i parchi, ecc, di concerto le strutture web, i super-computer, i cloud, i mining ecc.

  • Perchè lo Stato protegge la proprietà personale, la persona, le analisi mediche, ma non protegge i dati sensibili, i volti, le abitudini i gusti e cosa ha comprato?

  • Perchè lo Stato non stabilisce degli standard che permetta la portabilità delle app, dei protocolli ecc da una piattaforma e un’altra? (esempio Android con Windows, con Apple; oppure un gestionale ed un altro, tra i simboli fondamentali delle App , sulle sicurezze, ecc)

Un altro aspetto investe le piattaforme, e i mining dei big data, potrebbero essere molto utili all'umanità, dalle previsioni del tempo, alle diagnosi di malattie e sulle cure, le infezioni, controllare la pesca o trasporti così come gestire parchi, e la pulizie della città; oltre a quello che già si fanno (taxi, servizi di consegna, studi di percorsi più veloci, ecc). Alcune cose le dovrebbe fare lo Stato e Enti Locali e altre cose la comunità.

Di concerto andrebbe affrontato il problema della a precarizzazione del lavoro per/nelle piattaforme, ci sarebbero due obbiettivi, uno minimo e uno massimo. Di base la relegazione normativa da parte dello Stato (es. riconoscere come salariati di fatto i lavoratori di Uber, Deliveroo e Fedora come in parte sta avvenendo)

Soluzioni più strutturali forse possono venire delle platform cooperativism, ossia la ricerca di costruire una proprietà condivisa dei big data e dell’economia che ne scaturisce, in fondo sono dati di tutti. Il cooperativismo di piattaforma propone di adattare la tradizione cooperativista ai processi economici resi possibili dalle piattaforme digitali. Già si sono date delle reti globali di coops specializzate in ambiti diversi, dall’e-commerce solidale (Fairmondo) al lavoro freelance (Loconomics), dalle pratiche decisionali (Loomio) ai dati sulla salute (Midata).

In questo caso il cooperativismo di piattaforma cerca di sfidare le corporate sharing economy sul lato proprietario con la proprietà distribuita collettivamente tra i lavoratori.

Esempi alternativi (di Airbnb) per affitti a breve termine in prospettiva è Fairbnb: una cooperativa di residenti possiede e gestisce un software per prenotare affitti turistici brevi, con un'occhio alla sostenibilità (Allbnb, Munibnb e Cobnb o altre sono in cantiere).

Questi esperimenti lasciano aperte molte questioni riguardo la gestione delle risorse collettive non sono la soluzione ideale, e forse non ci sarà mai un modello perfetto, ma l’importante andare nella direzione giusta e tenere acceso il dibattito.

SCHEDA DELL'IMPERO DIGITALE


 

1 Molti dati sono presi dal libro di Nick Srnicek, Capitalismo digitale. Google, Facebook, Amazon e la nuova economia del web, LUISS University Press, Roma, 2017

2 Esempio fra tutti Amazon, da venditore on-line di libri sia cartacei che digitali a prezzi stracciati, è stata anche un motore di ricerca, da piattaforma dell’e-commercio dei libri planetario, passa al commercio (intermediazione) di ogni prodotto ovunque sia fabbricato e verso ogni cliente planetario, poi passa all’affitto cloud e di metodi di riconoscimento (vocale, musicale e di figure) grazie all’uso di intelligenza artificiale che gita su supercomputer di cui si è dotato.

3 “quel tipo di imprese che sempre più fanno affidamento sulla information technology, sui dati e su internet per il proprio modello di business”. ( Nick Srnicek).

4 I meta-dati sono quei dati che descrivono altri dati, in particolare in riferimento ai documenti digitali. Il tipico esempio è la scheda di un libro. Mentre il contenuto del libro sono dati, la scheda della biblioteca è un meta-dato. Così per le informazioni sui gusti, tendenze, propensione ai consumi, numero e tipologia di passeggeri o bit in transito.

5 Il Data mining agevolato dal Web 2.0, quando una massa considerevole di utenti inizia un’attività di interazione con la Rete e i suoi contenuti. Creando un informativo bidirezionale. La loro analisi ha permesso la creazione di modelli a supporto a produrre profitti dalla scoperta di relazioni, similitudini, sequenze e tendenze all’interno di database di grandi dimensioni contenenti informazioni eterogenee, e utilizzando tecniche statistiche e di intelligenza artificiale permette ai manager di scegliere o di prendere decisioni migliori al fine di un profitto maggiore. Utilizzato dati nativi, e/o integrandole con altre informazioni “suggerite”, il Data mining riesce ad individuare all’interno di questa massa di dati informi, dei pattern, degli schemi, delle situazioni e condizioni non evidenti alla normale ricognizione da parte dell’uomo senza le macchine. In sintesi: Il Data mining è un processo atto a scoprire correlazioni, relazioni e tendenze nuove e significative, setacciando grandi quantità di dati immagazzinati nei repository, usando tecniche di riconoscimento delle relazioni e tecniche statistiche e matematiche”, (Gurtner Group).

6 Sempre classificazioni riprese da Nick Srnicek.

7 Parliamo di multinazionali, ma in piccolo avviene nelle imprese edilizie cittadine (o grandi cooperative) diventano lean, il nucleo delle società è fatto da progettisti e venditori, tutta la fase costruttiva (scavi, carpenteria, cemento, piastrelle, lattoniere, idraulico, elettricista, ecc, tutto appaltato o sub appaltato), le imprese edili sono in realtà delle finanziarie.

8A parte lo spostamento della ricchezza dai poveri ai ricchi.

9Il capitalismo NASDAQ. (La California sede dei giganti del digitale, da sola in ricchezza sua supera Francia Inghilterra Italia, è in aperto conflitto con i capitali tumpisti).