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TWILIGHT ZONE*

(la terza via al comunismo)

Potranno tagliare tutti i fiori ma non fermeranno mai la primavera.” (Pablo Neruda)

I precursori

Vae victis!, “Guai ai vinti!” disse Brenno ai Romani sconfitti: la storia è sempre stata scritta dai vincitori. Questa ineluttabile verità consegna al vincitore il diritto-privilegio di riscrivere le ragioni delle guerre e di considerare sempre e comunque le sue come “guerre giuste” le sue e come“guerre sbagliate”  quelle dei perdenti.


 

E tali saranno nella cultura dei vincitori almeno fino a che un diverso vincitore dimostrerà il contrario o quando il tempo avrà privato quella guerra dell’attualità delle passioni, iniziando a restituire poco a poco i brandelli di verità provata.

Nonostante i molti anni trascorsi dagli anni '70, a quanto pare in questo non si è ancora fuori del guado, non si riesce a fare storia di quegli anni, nonostante sia palese la micragnosità dei “vincitori”, quelli che con una mano ci additavano come terroristi e con l'altra, al contempo, affondavano (ormai impuniti) nelle casse del denaro pubblico.

Le narrazioni di quegli anni fino ad ora sostanzialmente si dividono in tre categorie: quelle di regime, fatte non solo nei processi, ma dai sistemi ancillari, giornalisti, registi, storici di regime e brigatisti diventati “embedded”, dettati sotto “copertura” del sistema; poi ci sono quelle degli avventizi, free lance, alla ricerca di scoop e complotti, e qui si ha a che fare con un mare magnum tra psicotici ed “ex”, qualcosa alla ricerca di visibilità (ex ... magistrati, poliziotti, tuttologi, ecc.); e infine quelle dei protagonisti, alcuni dei quali cercano di fare per lo più autobiografia, memorie, o racconti più understatement, sotto traccia.

In questo libro si vorrebbe invece fare più un racconto storico, economico, politico e filosofico, di quell'esperienza. Non riprodurre testimonianze, ma inquadrare il fenomeno storico generazionale. Quindi si parla non solo delle Brigate Rosse, ma della lotta armata in generale. Si fa il tentativo di aggiungere un'altra perla nella lunga collana storica dei proletari senza rivoluzione2, l’ideale di rivoluzione che ha attraversato l'Italia dal 1800 agli anni ‘70. Perché un pezzo importantissimo della storia politica della sinistra, con le giuste aspirazioni del proletariato si è svolta in quegli anni.  Parliamo di quella sinistra che non facendo parte del “blocco politico” istituzionalizzato andato al potere (Partito Comunista Italiano) non ha mai avuto “cittadinanza” nè rappresentanza, tuttavia era molto attiva e presente sia nelle fabbriche che nelle piazze e nell'agone politico della sinistra che per più di un decennio in varie occasioni è stata l'opposizione che sconfinava nella guerra civile.

Contrariamente a quanto pensano alcuni protagonisti del tempo, non bastano le azioni a parlare per sé, ma queste, come tutte le esperienze umane, se non rielaborate attraverso il pensiero narrativo non producono conoscenza funzionale, patrimonio del senso comune del proletariato, ma rimangono, invece, accadimenti ed eventi opachi, assolutamente non comprensibili, avulsi dall'immaginario, dalla memoria delle nuove generazioni.

E questo è successo. E per due motivi, sia perché si è sempre e comunque "parlati" dal potere padrone dei media (con film, libri, TV), sia perché gran parte dei protagonisti sono intimiditi al silenzio o mancano di coscienza critica dell’importanza della lotta nell’immaginario collettivo e dentro il “senso comune” di cui parlava Gramsci.

Per questo i fatti di allora non sono intellegibili alle nuove generazioni sia perché si è interrotto il continuum di lotta, sia perché non c’è stato un passaggio di testimone generazionale.

Di tutta l'intensa storia del decennio rosso degli anni 70, quei fatti non hanno posto nelle menti delle nuove generazioni, non sono collocabili dentro uno spazio e un tempo definiti, non hanno causalità, proprio perché sono dentro un deserto di narrazione raffazzonata e contorta. Nonostante i tanti libri di racconti individuali, quella poca causalità resiste solo in una nicchia di pochi intimi.

Non c'è niente che renda memoria, che dia un senso alla storia collettiva, la storia di una generazione sacrificata e imprigionata dal riformismo per dare corso al precariato operaio, all'evaporazione dei diritti sul lavoro, per favorire le mangiatoie delle fondazioni bancarie, le cooperative emiliane e le grandi opere.

Nel silenzio, gli avvenimenti impetuosi di quel periodo risultano, nella descrizione dei vincitori, eventi individuali, di un pugno di delinquenti senza relazioni che facevano azioni prive di senso e di qualsivoglia significato sul piano politico, culturale, personale, sociale e per questo sono inevitabilmente destinate all'oblio.

Costruire dispositivi narrativi e di ricerca è particolarmente importante. Dispositivi che vadano oltre le autobiografie e le memorie enciclopediche che interpretano la storia solo come sequenza di fatti cumulativi, appunto, da enciclopedia.

S'intende quindi, con questo libro, realizzare processi di ricostruzione di memorie allo scopo sia di collocare storicamente un'importante storia proletaria, sia per identificarne i limiti, aprire un dibattito più riflessivo sul passato e sulle rispettive storie di molti, delle rispettive, non per fare un diario dei reduci, ma perché capire il passato aiuta a collocare compiutamente il presente e forse sognare meglio una nuova alternativa al capitalismo. Conoscere il passato per capire il presente è un passo fondamentale per tracciare un futuro possibile.

Vista l'estrema polverizzazione della sinistra, la totale assenza di proposte al suo interno, la completa confusione tra obiettivi liberal-borghesi, assistenziali, caritatevoli e neo-risorgimentali rispetto a quelli comunisti; visto inltre l'attestarsi su vecchi schemi ideologici proto-lenisti, e neo-romanticisti, o peggio, l'attestarsi sulle vecchie archeologie industriali delle politiche neo-socialdemocratiche (politiche keynesiane), a tutte questi minestre riscaldate possiamo dire che, come il passato insegna, queste sono solamente tanti “esercizi ginnici” inutili, tipici di chi non ha memoria e senso storico.

Quindi vediamo di rimediare provando a mettere un pò di luce, nel passato che a volte non passa.

Come si uccide una rivoluzione

Che si sia favorevoli o avversari di un moto popolare del passato, che si sia degli storici od opinionisti, i procedimenti del suo annientamento è identico: prima la si svuota e poi la si cancella.

Prima si riducono le rivoluzioni al solo momento particolare, senza un prima nè un dopo, senza contorno e circostanza, senza cause ed effetti. Poi si fa agire un solo personaggio, spesso mitizzato, o un piccolo gruppo. Si scrivono libri che narrano i momenti intimi e romantici dei personaggi e/o  obliterando tutto il resto.

Se si è a favore dei moti si fa epica, i personaggi sono pervasi da ideali utopici, se si è contrari i personaggi sono pervasi da manie di grandezza o follie edipiche.

Comunque, si collocano i fatti in punti discontinui imbastiti intorno quei personaggi, ma totalmente scollegati dal contesto. Si narrano trame della vicenda totalmente a-storiche, senza mai collocare i protagonisti nel loro spazio tempo e come portato sociale.

Non si analizza il prima e il dopo, non si guarda l’insieme delle persone nè le situazioni di classe con le loro evoluzioni, il tutto si riduce sempre e solamente alla cronaca di un gruppo o di un solo uomo in un solo momento.

Non collocando mai le rivolte e rivoluzioni nel loro momento storico, succede che i favorevoli continuano a credere che quelle esperienze si possano ripetere in eterno e lavorano per riprodurle come se le condizioni fossero eternamente immutabili, mentre i contrari le travisano allo scopo di deprecarne la violenza e la follia.

Che si parli del risorgimento, della rivoluzione di ottobre, della resistenza, del ‘68 e del ‘77, di Moro, ecc. il metodo che si ricalca è sempre lo stesso. Le rivoluzioni russe? Una sola, quella di Lenin! La lotta armata degli anni ‘70? Una sola, quella di Moro e Moretti!

E sottolineiamo che per i perbenisti le rivolte buone erano soltanto le penultime, mai le ultime.

In sostanza, questo è il metodo per togliere il contenuto eversivo alle guerre civili di ogni genere e intensità, con il fine di svuotarle, depotenziarne la carica eversiva, riducendole a macchietta. In questo modo si cancella il passato sconveniente e le si trasforma in icone inutili.

Come risultato abbiamo narrazioni delle rivoluzioni che sono immagini catechistiche, ripetitive, immutabili, povere e soprattutto metastoriche, prive di ogni utilità nel presente.

Che i racconti siano fatti dalla destra o che ne parli la sinistra “rivoluzionaria”, contro o a favore, s'inverte il risultato ma il metodo è sempre lo stesso.

Si ammazzano le rivoluzioni per gridare viva le rivoluzioni.

 

IL TEATRO INTERNAZIONALE

Per quarantacinque anni la guerra fredda è stata il fattore dominante nelle politiche mondiali. Ha condizionato le politiche estere degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. (…) Pochi paesi sono sfuggiti alla sua influenza. Poiché le caratteristiche distintive dell’età della guerra fredda prendono forma negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, esaminare le sue origini è fondamentale per comprendere la storia internazionale dell’ultima metà del ventesimo secolo” (Painter e Leffler, Origins of the Cold War)

L'imperialismo USA e quello inglese usciti dalla II guerra mondiale non andavano molto per il sottile in riguardo all'anticomunismo.

#L'ANTI COMUNISMO USA#1

Essi vedevano l'Italia uscita dalla resistenza con i partigiani comunisti in armi e minacciosi come un serio pericolo per l’occidente. Per USA e Inglesi, l’imperativo era impedire assolutamente che l’Italia cadesse nella sfera dell'URSS mettendo in atto diversi sistemi di contrasto sia militari che civili, sia sul lato culturale che sul lato militare e sociale.

Da parte di USA e Inghilterra ci fu un'operazione di riciclaggio in funzione anticomunista degli apparati del regime fascista in quelli repubblicani, si reclutava tra vecchi fascistoni anticomunisti riciclati come tra le massonerie più o meno parallele. Grazie ai numerosi insabbiamenti in fatto di crimini di guerra fascisti e non ultimo l'amnistia di Togliatti che diede cittadinanza, dignità e autorevolezza a tutta la classe dirigente fascista nelle istituzioni e fuori.

Di fronte al pericolo rosso in Italia (PCI che guadagnava consensi e il '68 che esplodeva), una parte della Nato e i servizi USA in collusione con quelli (fascisti) Italiani provarono a più riprese di forzare la mano e puntarono sui colpi di Stato. Tutti diversi tentativi (il più famoso fu il Piano Solo) erano basati sul modello “Condor” di Kissinger2).

Appoggiandosi su pezzi dell'esercito Italiano, dei Carabinieri di De Lorenzo e su molti membri del vecchio apparato fascista precedente (lo Stato Fascista ereditato dalla resistenza non fu mai smantellato), quelle cellule di “resistenti” che dovevano essere la retrovia di resistenza in caso di invasione sovietica [in realtà civili arruolati dalla NATO per servizi paramilitari clandestini ("stay-behind” e “Gladio-Duca") ] diedero inizio agli attentati che dovevano giustificare il golpe (in uno di questi tentativi un gruppo di forestali occupò la Rai di Roma).

Il KGB avvisò i quadri e sindacalisti del PCI di questi tentativi di golpe e in quelle notti nessuno dormì in casa.

Francesco Cossiga durante il periodo in cui era sottosegretario alla difesa, aveva la delega alla sovrintendenza di Gladio e forse nr è stato uno dei fondatori, affermò molti anni dopo che “i padri di Gladio sono stati: Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del Sifar...”.

In una relazione del Comitato Parlamentare sui servizi segreti del 1995 si legge che: “In base a quanto risulta dalle indagini giudiziaria è fuor di dubbio che in epoca precedente alla creazione di Gladio sia esistita un'altra organizzazione denominata "Duca", con le stesse finalità e struttura analoga, di cui sappiamo ben poco e che dovrebbe essere stata sciolta intorno al gennaio 1995 (ma in vari documenti acquisiti dall'Autorità giudiziaria si parla di organizzazione "Duca – Gladio").” (http://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_Gladio).

Der Spiegel di recente ha rivelato i contenuti di documenti desecretati sulla Germania Ovest. Questi confermano che anche il corrispettivo tedesco di Moro-Tambroni, – il “padre” della Germania postbellica, il democristiano tedesco Konrad Adenauer – era perfettamente a conoscenza che anche lì era in atto l'arruolamento dei nazisti da parte dei servizi di sicurezza statunitensi. Dai documenti emerge che i nazisti erano stati incorporati in un'organizzazione clandestina sullo stile della Gladio. Si trattava di circa 2.000 combattenti veterani della Wehrmacht e delle SS naziste in grado di mobilitarne altri 20mila in caso d'invasione sovietica o dell'improbabile attacco da parte della Repubblica Democratica Tedesca. Tra di essi vi erano anche figure di spicco sul piano istituzionale come il generale tedesco della Nato Hans Spiedel o l’ispettore generale del Ministero degli Interni Anton Grasser. Ma il capofila dell’organizzazione era addirittura il fondatore della Bundeswher, cioè le forze armate tedesche del dopoguerra, Albert Schnez.

Una continuità impressionante tra gli apparati militari nazisti e quelli “democratici” del dopoguerra.

Strutture simili a Gladio furono realizzate dalla Nato in tutti i paesi europei.

Gli americani e gli inglesi consideravano l'Italia un loro protettorato (a livello globale erano gli USA con le loro basi militari in Italia che dettavano le regole) e cercarono più volte di forzare la mano al quadro politico istituzionale in molti modi, dall'appoggio alla DC nelle campagna elettorali all'uso della mafia (portella della ginestra) alle smanie golpiste, sorrette anche dal successo del colpo di Stato in Grecia da parte dei colonnelli.

#IL SISTEMA DEGLI IMPERI#

Il keynesismo militare

Teniamo presente che la politica industriale degli USA si è basata sempre sul “sistema del Pentagono” (Keynesismo militare).

Lo Stato USA sovvenzionava cospicuamente il settore ad alta tecnologia e gli garantiva un mercato, ovviando alle carenze degli investimenti dei privati. Quando gli investimenti dello Stato producevano qualcosa di commerciabile, lo sfruttamento dei brevetti era sempre offerto ai privati.

Quando poi era necessario il sostegno del governo, si ricorreva al “capro espiatorio”, si “creava” fittiziamente una minaccia all'esistenza dell'America: la guerra coreana nel 1950, “l'inferiorità missilistica” nei confronti dell'URSS negli anni di Kennedy, la conquista dello spazio, l'imminente invasione del mondo da parte di Mosca, la “finestra di vulnerabilità” missilistica, l’emergenza petrolifera per sostenere il tenore di vita americano dove tra gli ultimi anni di Carter e anche successivamente con l'amministrazione Reagan Senior, che puntarono a controllare tutte le fonti energetiche per agevolare gli approvigionamenti di petrolio a basso prezzo per sostenere la loro way of life americana. Reagan Junior invase l'Iraq in totale malafede.

Il massiccio intervento dello Stato USA nell'economia gli diede un grande vantaggio rispetto all'URSS nei settori tecnologicamente avanzati. Il pericolo sovietico e comunista serviva agli USA “come un pilastro importante dell'economia”. All'indomani della Seconda guerra mondiale ci furono spese militari tali da consentire l'uscita dalla recessione e, come sostengono molti economisti, “non c'è mai stato un momento come quello attuale in cui un aumento della spesa militare avrebbe potuto significare di più per l'economia del paese”.

Molti economisti sostengono che il fattore principale alla base della recessione sotto l'amministrazione Bush sia stato proprio il taglio alle commesse militari - si tratta di ordini presso industrie che non solo hanno costituito un settore vitale della produzione di merci e servizi ma, con un importante effetto moltiplicatore, hanno creato posti di lavoro nelle società che producono beni di consumo destinati ai lavoratori relativamente ben pagati delle stesse industrie (belliche, N.d.C.) così redditizie grazie al sussidio dei contribuenti. “L'impatto è maggiore di quello che si ricava dalle cifre”, fa notare l'economista conservatore Herbert Stein dell'American Enterprise Institute. “La brusca dissoluzione dell'Unione Sovietica ha minato quel dispositivo che ha consentito lo sviluppo dell'economia dopo la Seconda guerra mondiale”, scriveva il corrispondente economico del “Times” Louis Uchitelle; le “importanti aziende militari” quali la “General Electric” si trovarono nei guai, come anche il settore dell'industria ad alta tecnologia. (Uchitelle, New York Times, p. A1, 12 agosto 1992. Archiviochomsky/501_4_4.html)

Questa mancanza di nemici mandava a picco la bilancia dei pagamenti americani, i quali con vari espedienti cercarono di riversare il loro debito sugli alleati. (nota: Si tessono le lodi del libero mercato americano quando questo si nutre e si espande solo ed esclusivamente attingendo alla mangiatoia dello Stato.)

Da Bretton Wood alla crisi petrolifera di quei tempi, è il Keynesismo militare che si riproponeva sempre in forme diverse3come per il Vietnam e le aggressioni ai governi socialisti nel mondo.

#KEYNESISMO MILITARE#

 

 

IL QUADRO GENERALE ITALIANO ANTE '68

Il quadro internazionale non lasciava molte scelte. C'erano i due imperi, con i rispettivi sistemi di Stati satelliti con partiti ancillari; vi era la totale dipendenza dei nostri partiti in parlamento (DC-PCI) dai rispettivi imperi, di riferimento. E questo avveniva senza infingimenti, sapendo benissimo che in questo modo la nostra era una democrazia a sovranità limitata, anzi molto limitata.

Tra DC e PCI c'erano i partiti socialisti e socialdemocratici (molto più forti all'estero) che puntavano a mettersi come “via di mezzo”, partiti con la pretesa di attenuare o controllare il capitalismo selvaggio, per “il capitalismo che vogliamo”, in realtà erano solo quella versione soporifera dell'impero occidentale che puntava a conciliare il capitalismo con l’operaismo.

Industria 2.0

Il settore industriale produttivo del tempo era la giga-industria, come istituzione totale, gli “asilums4, basati sul sistema autosufficiente del convento, tuttavia organizzato con modo scientifico (Ford-Taylor5). Con vertici aziendali molto personali, come delle nuove monarchie nel privato e delle “signorie”, i “boiardi” di Stato nelle imprese pubbliche, alla base della piramide c’era l'operaio massa6 .

Dal punto di vista della valorizzazione del capitale, per esempio, la Fiat produceva al suo interno dal bullone al carburatore al motore, e giù giù fino alla rete vendita e assistenza, con le rispettive (banche) assicurazione e finanziarie per acquisto auto.

Era l'epoca della fabbrica totale, mega-fabbriche che monopolizzavano non solo la vita dentro la fabbrica ma l’intera città di residenza. A Torino non solo c'era solo il lavoratore Fiat (nelle punte massime alla sola Mirafiori c'erano 160.000 mila dipendenti)7 con la sua fabbrica, il lavoro alla catena di montaggio con la sua bella tuta Fiat, ma intorno agli operai e impiegati c’era il villaggio totale: case Fiat, sindacati Fiat, dopolavoro Fiat, ferie Fiat, medici Fiat, asili Fiat, figli Fiat (futuri operai Fiat), scuole Fiat, supermercati Fiat, giornali Fiat, squadre di calcio Fiat, riviste Fiat, Carabinieri Fiat, Magistratura Fiat, Sindaco Fiat, viabilità Fiat, Municipio Fiat, Confindustria Fiat, lobby di partito Fiat, e anche “opposizione” Fiat! Per non parlare delle autostrade fatte per la FIAT, ferrovie e porti per la Fiat ecc. ecc.

L'architettura della città rifletteva sia gli interessi sia lo schema piramidale targato Fiat (a Torino la direzione Fiat rimpiazza la monarchia sabauda sia nel potere che nei palazzi) che sono dislocati geograficamente nella città come gli antichi feudi; al centro i padroni, nella cerchia8 poco più esterna i dirigenti e impiegati di concetto, quindi la cintura di caserme, intorno gli operai professionali di “primo corso” e più lontano, verso le periferie la plebe degli immigrati.

Ognuno di questi cerchi aveva assunto storicamente un suo modo di vestire e un suo linguaggio, un suo lessico, con negozi, ritrovi per il tempo libero propri; tra loro non vi erano vasi comunicanti ma si tramandava di padre in figlio la mansione.

Dentro ogni sua subculturaagivano modelli cognitivi differenti che si polarizzavano socialmente in base alla vicinanza con il potere (un discorso a sé andrebbe fatto con i quartieri della “mala”).

Qualcosa di simile esisteva anchenelle città più piccole con le sopraggiunte monoculture industriali (rubinetti, scarponi, calze, pistole, fisarmoniche, piastrelle, posate, salotti, occhiali, ecc.) dove la nuova borghesia scalzò o si sovrappose alla vecchia nobiltà.

Nei quartieri operai appena formati, soprattutto nelle periferie delle città più grandi, queste culture rendono più forte l'omogeneità ma al contempo anche l'isolamento se sono in coincidenza di cospicui gruppi etnici diversi, allora l'isolamento tende a trasformarsi in una condizione di separatezza (v. Gans, 1962; v. Shostak e Gomberg, 1964; v. Kornblum, 1974).9 (Le ondate migratorie storicamente si sono cumulate anche negli edifici della periferia che man a mano che si espandeva, prima i “campagnoli” dell'entroterra, poi i veneti del Polesine e infine i meridionali).

Sono le famose classiche “periferie” (Tor Bella Monica, ecc. a Roma, Le Vallette  a Torino o la "Barriera di Milano" e la sua Cintura ) cioè tutte le appendici satelliti, le città dormitorio, “libere”, senza Stato o servizi, collegate al centro da un budello di strada facilmente controllabile. Al tempo bastava il nome della via sulla carta d'identità per essere catalogati e connotati socialmente.

La fine della fabbrica totale

Il '68 è esploso in questa società “asylums”, ingessata sulla democrazia delle ferriere, divise in caste. E bisogna sottolineare anche un altro aspetto specifico che ha culturalmente l'Italia: al Nord industrializzata con i piedi che affondavano nello Stato fascista (e sabaudo nel caso di Torino), e al Sud con la chiesa della controriforma che voleva conciliare il capitalismo con il feudalesimo.

Lo Stato (magistratura, carabinieri, scuola, sanità) che la Resistenza e il PCI di Togliatti, hanno scientemente e silenziosamente lasciato intatto dopo la liberazione. Uno Stato stracolmo di fascisti e anticomunisti che avevano fatto giuramento di fedeltà a Mussolini. Furono inoltre anche restituite le proprietà anche a chi aveva finanziato il fascismo: industria, banche, latifondisti e finanza.

E questa scelta fu pagata molto duramente dal proletariato; a parte le prostrazioni quotidiane, la fame nelle campagne, l'emigrazione di massa selvaggia (con le valige di cartone), ci anche furono anche Portella della Ginesta, Modena, Reggio Emilia, Avola, Piazza Fontana, Brescia, ecc. ecc.. tutte a segnare il tipo di Stato: il comando con cui si aveva a che fare.

Era uno Stato del fascio delle corporazioni dove i dirigenti erano i vecchi gerarchi fascisti, messi lì dal precedente regime, essi governavano indisturbati nell'esercito, in magistratura, negli organismi inquirenti, nei servizi segreti (gli stessi membri della decima MAS distribuiti tra intelligence dei vari paesi occidentali), i dirigenti del sistema sanitario e quello universitario, le prefetture, le questure, oltre che ambasciatori, le poste, le ferrovie, il personale dei ministeri, ecc. ecc. erano pure fascisti, i regolamenti interni e le selezioni per le carriere interne allo Stato erano fasciste.

L'organizzazione, la macchina anticomunista dello Stato era rimasta intatta! Dal personale alle leggi penali (il Codice Rocco) e civili erano rimaste quelle dei fascisti!

Il PCI - oltre la grazia ai fascisti - aveva agevolato il mantenimento della struttura Statale orientata al sistema fascio-corporativo.

#L’ITALIA PROFONDA#

L'appartenenza alle corporazioni, a una qualunque di esse (dalla massoneria ai partiti, al sindacato fino alle mafie) sanciva lo Status di cittadinanza, si era dentro o fuori lo Stato. Chi non era dentro una qualche “famiglia”, spesso “a-morale”, era senza diritti di cittadinanza, era un paria, uno dei numerosi sudditi della società abbiente.

 

 

IL '68

Il grande fenomeno italiano (e globale del '68) è nato, o meglio è esploso, in questo Stato semi feudale, fuori e contro i partiti tradizionali, fuori e contro lo scontro tra blocchi imperiali (la guerra fredda) al tempo in conflitto tra loro.

In Italia questo scontro assume connotati particolari, è esemplare che le libertà civili (aborto, divorzio) siano state promosse dai radicali (partito numericamente infimo), che prese in contropiede tutto il sistema gotico dei partiti storici, compresa la sinistra “storica” con PCI-PSI in testa.

Il “movimento”, come si chiamava allora, si fece carico non solo dei diritti delle donne, ma coinvolse anche il servizio di leva obbligatorio (con renitenze alla leva per il servizio civile), i diritti dei militari in leva (tribunali militari, ecc.) e dei detenuti (con il regime carcerario ancora del codice fascista), appoggiando le loro rivolte (alcune di queste furono sedate manu militari da Dalla Chiesa, con diversi morti), e dei malati mentali nei “sanatori” (manicomi lager). Ci fu una grande contestazione a tutte le “istituzioni totali” (istituzioni in cui il dominio sul corpo era assoluto).

La leva facoltativa, la chiusura dei tribunali militari per il settore difesa, la riforma penitenziaria del 1975 che segna una storica svolta sulla civilizzazione delle carceri e va a sostituire definitivamente il regolamento carcerario fascista del 1931. La legge Basaglia numero 180 del 13 maggio 1978, con cui si mise fine ai manicomi e si rivoluzionò totalmente l'impostazione clinica dell'assistenza psichiatrica.

Queste e altre iniziative furono tutte partite “dal basso” -come si diceva allora- con grandi mobilitazioni sociali e di piazza. Di concerto sorsero anche le lotte operaie con le “imposizioni” dei Consigli di Fabbrica ai sindacati (i sindacati erano rimasti alle vecchie commissioni interne, le famose “cinghie di trasmissione dei partiti”) e quindi “diritti dei lavoratori” (statuto tra l’altro fatto da un democristiano di sinistra e non dal PCI!!!)

Di contro va segnalato che la democrazia economica, la democrazia sul lavoro e la democrazia dentro il sindacato chiamate a gran voce in quegli anni non solo non si sono realizzate, ma anzi vennero via via osteggiate, annacquate e rese sterili dal riformismo galoppante dei partiti di sinistra. Il più alto tradimento fu il referendum di Craxi che portò alla cancellazione della “scala mobile” (che agganciava automaticamente i salari alla svalutazione), fatto che dette la stura alle controriforme reazionarie perpetrate con l’avallo delle sinistre.

Il '68 fu una grande esplosione giovanile di massa, inaspettata e spesso contrastata dal PCI (al tempo allineato e ancillare rispetto all'URSS e alle sue politiche imperiali, come nel caso dei carri armati sovietici a Praga ) e così pure dalla “cinghia di trasmissione” dei sindacati schierati dspprims sulla linea filosovietica, ma poi con la FMI-NATO a causa della conversione berlingueriana).

Il '68 sorto da una crisi che chiamava in causa il vecchio mondo composto di morente nobiltà, neo borghesi rampanti inscatolati nell'antica tradizione gotica e amalgamati col il luteranesimo, con la espiazione che viene dal lavoro.

Il ‘68 criticava, metteva in discussione, minava, divideva le grigie basi culturali esistenti, demoliva il paternalismo industriale, paternalismo che aveva intossicato sia le organizzazioni storiche di sinistra che dei sindacati.

Il ‘68 partito nelle università contro l’autoritarismo accademico fu il punto iniziale di scontro, poi strada facendo, allargandosi a macchia d’olio in tutti i settori, fu contro le altre forme di autoritarismo, da quella dello Stato a quella della famiglia a quella del padrone in fabbrica.

Si ebbe una contestazione al potere Statale fino ad allora ritenuto sacrale, quasi un superpotere apparentemente indipendente, ma in realtà legato a doppio filo alla proprietà privata delle élite: stirpe ereditaria. Esse facevano credere nell’idea dello Stato-Dio, l'incarnato hegeliano del romanticismo tedesco! Un'idea del super-padre come potere marmoreo, aulico, che si rispecchiava dal pubblico al privato, un’aura sacrale che avvolgeva le grandi industrie a “conduzione familiare” degli Agnelli, dei Falk, ecc. (Famiglie passate indenni dalla contiguità col fascismo alla repubblica post-fascista).

La loro potenza sociale totale che metteva soggezione chiunque “se la Fiat starnutisce lo Stato ha la febbre”, era la metafora esemplificativa dello stato di sudditanza del tempo. Su tutto questo il ‘68 ha aperto uno squarcio, facendo vedere che il Re nudo!

Gli effetti del '68 attenuarono abbastanza, sopratutto al nord, il lato anacronistico dello Stato (rimasto un incrocio tra Stato Albertino e fascista-corporativo); ma non riuscì mai a intaccare l’autoritariamo al Sud, ma neppure traghettare il Sud alla modernità (Rimasto Stato collocato tra il mediovale-latifondista e il proto capitalismo),ancora oggi nessuno è riuscito neppure a farlo diventare Stato “liberal-borghese”.

Ancora oggi nell’Europa, non si riesce ad avere uno Stato che almeno renda uniforme i servizi dal nord al sud: scuole, sanità, trasporti, regole, giustizia sociale, parità di genere, ecc. identici; né il ‘68, ne le élite della “modernità” sono riusciti a scalfire l’Italia dei due Stati (stati istituzionali, giuridici, di cittadinanza, dei servizi), l’Italia divisa in due dai tempi dell’unità.

Il Sud tra medioevo e capitalismo

Non solo al Sud non si è mai formata una borghesia10 (per sé) nè si è prodotto un ceto culturale svincolato dal familismo più o meno amorale.

C'erano (e sussistono tuttora) delle grandi resistenze all'insediamento di Stato moderno, dovuto soprattutto agli interessi/veti incrociati del nobilitato locale come dei boiardi statali irregimentati nella massoneria, legati a doppio filo con settori della devianza organizzata, tutti accomunati dalla profonda fede religiosa, con il “vizietto” di usare lo Stato come un bancomat. (Dev’essere contagioso, adesso si sta espandendo anche al nord tra i prenditori, e organizzano anche raduni SiTav).

Sta di fatto che il macigno c'era e la questione meridionale non è mai stata risolta!

Il meridione è passato dallo Stato dei latifondisti allo Stato feudale-massonico con un “ceto medio” che sfumava nella devianza organizzata e un ceto culturale quasi inesistente.

 

#LA QUESTIONE MERIDIONALE#

 

(prosegue..)



(*)  Il titolo è in parte un gioco linguistico. Twilight zone (zona di mezzo), come era la collocazione politica della lotta armata in Italia, collocata tra i due blocchi, e al contempo rappresenta pure il confine epocale, il crepuscolo di una società, il valico storico-economico-ideologico in cui un mondo vecchio, il novecento, finiva e un altro era in ascesa. (Twilight Struggle, al tempo era il nome “della guerra fredda” tra USA e URSS, e per i più giovani invece è diventato il gioco da tavolo di simulazione storica vera e propria ben fatto e ben congegnato della guerra fredda.)

(2 Renzo del Carria: proletari senza rivoluzione, storia delle classi subalterne in Italia, edizioni oriente)

1 Nota: lungo il testo ci sono, in rosso, allegati di approfondimento che rimanda al fondo del capitolo, che si può consultare o meno, dipende dal lettore.

2 Piano condor: http://www.webalice.it/gangited/_A/Condor.html

3 Gli americani scaricarono in questo modo il debito accumulato nella guerra in Vietnam sugli alleati.

4 Luoghi chiusi gestiti gerarchicamente, autosufficienti. “Asylums” “Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che - tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo - si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato. Prenderemo come esempio esplicativo le prigioni nella misura in cui il loro carattere più tipico è riscontrabile anche in istituzioni i cui membri non hanno violato alcuna legge.” Erving Goffman.

5 Taylorismo' è il termine colloquiale e più diffuso con cui si indica l'organizzazione scientifica del lavoro, ovvero un corpus di dottrine e ricette organizzativo-manageriali per la produzione industriale messe a punto dall'ingegnere americano Frederick Taylor tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Con l'andar del tempo il termine taylorismo ha assunto un significato più vasto e ha preso a indicare tutti gli aspetti di un lavoro, sia manuale che impiegatizio, organizzato secondo criteri ripetitivi, parcellari e standardizzati, dove la mancanza di discrezionalità e di contenuti intelligenti è vista come una condizione necessaria per ottenere una resa produttiva più intensa e uniforme...(enciclopedia. Treccani.)

6La moderna officina, con la sua gerarchia amministrativa, la sua disciplina, il suo incatenare gli operai alla macchina, il suo immane apparato calcolatore che si estende fino alla più elementare operazione compiuta dall'operaio, esercita sugli uomini e sul loro stile di vita degli effetti di vasta portata” (v. Weber, 1908-1909, pp. 118-119). Nota Marx in proposito (v., 1867-1894; tr. it., p. 130): “La subordinazione tecnica dell'operaio all'andamento uniforme di prezzi di lavoro e la peculiare composizione del corpo lavorativo, fatto di individui d'ambo i sessi e di diversissimi gradi di età, creano una disciplina da caserma”. La divisione del lavoro ridisegna i movimenti e rimodella il gesto del lavoratore con movenze o posture così impersonali che “il lavoratore perde perfino il dominio della sua fisicità” (v. Briefs, 1931; tr. it., p. 95)

7 Le città-fabbrica come sono state non solo Torino-Fiat, ma anche molte altre, Ivrea-Pirelli, o Ansaldo-Genova e Pirelli-Milano, Marghera-Montedison, ecc. ecc.

8 Le città a pianta medioevale erano a cerchi concentrici, le città a pianta romana come Torino, erano a quadrati concentrici.

10 A parte delle mosche bianche, l’imprenditoria al Sud è prevalentemente sul terziario, sul commercio, ma non sono stati mai in grado di sviluppare una “coscienza di sè” come classe borghese e pretendere uno Stato che funzioni come nel Nord Europa perché ne trarrebbero tutti i vantaggi.