Print
Category: TZ (C'era una volta la lotta armata)
Hits: 405

TRA “SVILUPPO” IMPOSSIBILE E L’USCITA DAL

CAPITALISMO

 

Nell'immaginario collettivo della sinistra massimalista (e di governo) si pensa che l’interesse del “capitale umano” (sia esso l’operaio qualificato o il precario) sia legato alla ripresa della produzione (di plusvalore); e di fronte dello smagrimento del plusvalore (che porta il capitalismo delle medie e piccole aziende a dipendere fortemente dal pubblico), sopperisce con l’erogazione da parte dello Stato di capitali “a fondo perduto” in diverso modo o diretti (agevolazioni) o indiretti (quando lo Stato investe in “grandi opere” quali che siano, indipendentemente dalle reali necessità, che si strutturano come cantieri eterni)

In fondo... siamo nel post moderno, il vero è il reale che si realizza!


 Invece la sinistra massimalista critica a parole o fa generica critica al capitalismo “cattivo” come al capitale finanziario, e i più estremisti aggiungono l'Euro e le banche centrali ma tacendo o facendo finta che non esiste su “capitali e le imprese” che campano sulla rendita.

Di fatto, tutta questa sinistra (con la scusa che bisogna uscire dalla crisi) mantiene viva la narrazione che bisogna rianimare i profitti aziendali (il plusvalore in crisi), ovvero sostenere il “capitale che investe” e, per i massimalisti: solo se in modo “alternativo”.

Non importa se si è di sinistra sinistra, centro sinistra, o sinistra liberale, di volta in volta si punta su “terziario avanzato”, “l'economia verde”, “le opere pubbliche”, “l'alta tecnologia”, “le manutenzioni idrogeologiche”, ma tutto finisce sempre al solito modo: trasferimento di soldi pubblici ai capitale privato per rimpinguare il fatale “saggio medio di profitto in calo”.

Sviluppo verso il baratro

Sindacati e sinistra massimalista sbandierano di continuo la teologia dello “sviluppo”, per cosa e verso dove non si sa; è uno iato generico che va di moda, perché in fondo non ci credono neppure loro e ci prendono per i fondelli.

Uno “sviluppo” - a parte capire in che direzione e come ci si colloca nella divisione internazionale del lavoro - presuppone l'aumento della produttività sociale e questa si ottiene con la sostituzione di impianti e macchine al posto della manodopera, ma questa – la manodopera - è l'unica che può sostenere o frenare la famosa caduta del saggio medio di profitto (Marx).

Questi “capipopolo”, di fatto insieme con i capitalisti sognano industrie senza operai, ad altissima produttività con robot 24 h, ma questo sega il ramo su cui è seduto il capitalismo.

Come si sa, mentre la curva della produttività sociale si incrementa, si avranno di sicuro più merci ma con meno operai per produrli, quindi meno salari complessivi che possono acquistare le merci prodotte.

Questa è la tendenza generale del capitalismo, un capitalismo che si ritira nelle metropoli e abbandona la periferia lasciando capannoni vuoti.

E qui si vede la contraddizione principale dello “sviluppo capitalistico”: una processione verso il baratro che si sta spalancando, la via alla nemesi sociale.

#LA QUESTIONE MERIDIONALE#

Il proto-keynesismo

La “sinistra” del pensiero debole, abbandonato il marxismo ha abbracciato le tesi socialdemocratiche rispolverando Keynes, ne è venuto fuori un proto-keynesismo adornato di pseudo-marxismo, sempre tutto interno alla logica della valorizzazione del capitale.

Dopo la parentesi liberista degli anni ‘80, il comparto massimalista reclama, diffonde l’idea di poter “controllare” il capitalismo attraverso lo Stato, cosa non riuscita nei paesi dell’Est, ma in Europa questa sinistra si crede più furba!

Di fatto il nuovo Keynes è un keynesismo di crisi, dove lo Stato può al massimo soltanto amministrare i cascami della crisi (crisi ormai pluri decennale e che non accenna a passare perché di fatto è una crisi strutturale). E in questo quadro il “neo” keynesismo non può essere altro che la continuazione del “neoliberalismo” o meglio del capitalismo, con altri mezzi.

La stessa questione impellente della pianificazione sociale delle risorse appare solo in una forma perversa che si trasforma regolarmente nella nazionalizzazione della crisi.

Complementare al keynesismo di crisi, si presenta il programma di una “economia solidale” che tende a smussare gli spigoli del capitalismo. Questi autori, non mettendo al centro la democrazia economica, si limitano a proporre: diventare imprenditore, costruire piccole cooperative, comunità di auto-sfruttamento, orti di sussistenza, centri di acquisto (GAS), monete alternative, ecc.; queste cosiddette “economie dal basso” diffondono l’illusione in un modo di vita e di produzione differente, fondata sulla terra bruciata lascia dietro il capitale che si ritira nelle metropoli (sulla scia dei capannoni vuoti e disoccupati lasciati a terra dal capitalismo nella sua fase calante). Oltre a fare da colmatore della disoccupazione crescente, e su questo non ci sarebbe nulla di male, ma il problema nasce dal fatto che queste economie mantengono intatti tutti i capisaldi delle regole capitaliste, operano nei suoi vuoti come sistema ancillare, senza un progetto di sostituzione progressivo del capitalismo ormai alla frutta perché non riesce a garantire a tutti la medesima qualità della vita precedente.

La democrazia va al mercato

Rivendicare come si fa “più democrazia”: è sempre intesa come uguaglianza sulle libertà formali, ma questa è già realizzata, e coincide con la società degli uomini senza qualità. Così come le merci, tutti i cittadini in “democrazia” sono misurati con lo stesso metro, sono porzioni quantitative della stessa astrazione; che poi nella realtà tutte le porzioni siano uguali è impossibile perché le merci - e dunque anche la democrazia - sono intese in senso astratto capitalista.

Senza democrazia economica non c’è vita

Mettere in cantiere la realizzazione della reale democrazia vuol dire fare i conti con la democrazia economica, cosa che porta diritto diritto a fare i conti con il capitalismo; il compito di oggi è il superamento di questi prodotti dell’illuminismo liberal borghese.

Inutile insistere sulla cattiva realizzazione degli ideali dell’illuminismo (borghese) quali uguaglianza e libertà (e proprietà privata), ma riconosca che già in nuce in questi ideali c’è la struttura creata dal valore: il valore è sempre al contempo forma di coscienza, di produzione e di riproduzione capitalista.1

Questo semplice discorso ci porta lontano e ci aiuta a capire la natura del capitalismo che con le sue regole informa tutte le forme etico-sociali.

Le alternative sono: o lottare per riprodursi come forza lavoro, come merce particolare, oppure si può lottare per negarsi come forza che valorizza il capitale e avviare da questa sottrazione una progressiva uscita dall'economia del capitale!

Marx ha dimostrato che lo sfruttamento del plusvalore da parte della classe capitalista non è il livello più profondo della società capitalista di mercato. Se vogliamo abolire questa società, si deve colpire ancora più a monte, nella radice sociale di tale società, il suo cuore ovvero la sintesi sociale del sistema capitalistico. Il capitalismo non è solo un “modo di produzione” o “sistema” di dominazione diretta, è una forma di vita sociale dove per la prima volta nella storia, individui si relazionano gli uni agli altri (fanno “Società”) attraverso il lavoro, il denaro e i movimenti feticistici del valore che si valorizza (il Capitale); questi sono enti che individualmente riproduciamo con le nostre innumerevoli azioni quotidiane di lavoro e consumo.

Nella forma di vita sociale capitalistica, la dipendenza da un tempo di lavoro qualunque è diventata un modo per ottenere i prodotti realizzati da altri.

La rappresentazione di questo rapporto sociale nel lavoro è nella sua realizzazione concreta: il denaro, è quello che orchestra tutta la società.

Abbiamo bisogno di quindi pensare l'impensabile e realizzare quello che sembra improbabile, l'uscita dall'economia (nella sua forma di vita del capitalismo di mercato).

E questo va fatto attraverso la creazione di un'altra forma di sintesi sociale, dove non ci si rapporta più a vicenda attraverso il lavoro, il denaro e il movimento automatico del capitale (dove la stessa forza-lavoro che si vende è parte integrante).

La società feticistica

Affinché si possa superare la società del capitalismo di mercato c'è bisogno di cercare di capire qual'è il fondamento della società invisibile che sta sotto e non conosciamo.

Si ha una rottura epocale quando non cambiano solo le cose che vediamo, ma anche le categorie che adoperiamo per vederle”. (Vittorio Foa)

Il capitalismo, come gli dei nelle società pre-capitaliste, ha il ruolo di sintesi sociale e in questo li ha sostituiti in tutto. Il capitalismo è un puro rapporto sociale!

Come gli dei, il capitale non esiste in natura, ma è il frutto di una relazione storica sociale: la società dei Feticci!2 .

Feticci che sono stati prodotti della società per qualche motivo, ma di cui si sono perse, dimenticate, le ragioni originari della loro edificazione, si è scordato a cosa servivano e se ne è perso il loro controllo sociale.

E per questo i feticci si sono via via “istituzionalizzati”, hanno creato strutture burocratiche con linguaggi e codici propri, criptici, incomprensibili ai sottoposti e agli esterni.

I feticci -come per le religioni in precedenza- si sono strutturati con sacerdoti, codici e riti; solo quando sono diventati abbastanza potenti, e soltanto a quel punto quelli che erano meri strumenti si sono erti contro chi li aveva creati (non necessariamente con l'intenzione o con un progetto, ma spesso come esito naturale del loro sviluppo che dato loro potere e autosufficienza (e logica di sopravvivenza autoreferenziale). Questi feticci “naturalizzati” come “terza natura” sono diventati enti materiali: Stato, denaro, economia, banche, finanza, capitalismo, mercato, ma anche immateriali; proprietà, individualismo, competizione e aggiungiamo anche patria, patriottismo, Nazione, onore, fede, ecc.

Scrivendo sui feticci, Marx ebbe una grande intuizione e, studiando la loro estensione oltre le merci, ci ha aiutato molto a capire la società, soprattutto quella capitalistica nella sua natura più profonda.

I feticci sono strutture di credenze sociali complesse e intrecciate che, studiandole bene, ci si rende contro che hanno svolto un ruolo basilare in tutte le formazioni sociali anche in quelle che hanno preceduto il capitalismo.

Di questo parleremo nel prossimo testo perché ci sembra fondamentale conoscerli per una teoria comunista del nuovo secolo.

L’unico modo per sfuggire alla condizione di prigioniero è capire com’è fatta la prigione”. (Italo Calvino)

 

 

IL POS-TMODERNO

Qui entriamo in un aspetto della società più generale, delle mutazioni economiche, antropologiche, sociali in corso. Si riprendono alcuni autori che descrivono bene questa fase che chiamano post moderno.

Cos’è il post moderno

Dal punto di vista sociologico, culturale e filosofico ìl postmoderno, ha varie sfaccettature. Sembra che il concetto nasca nel 1979, dove Lyotard pubblica: La condition postmoderne (trad. it. La condizione post-moderna). L’età contemporanea è descritta da Lyotard come quella in cui la modernità ha raggiunto il suo termine con la delegittimazione dei “grandi racconti” (grands récits), ossia la fine delle prospettive filosofiche e ideologiche che, a partire dall’Illuminismo, Marxismo ecc. hanno ispirato e condizionato le credenze e i valori della cultura occidentale: il “racconto” del processo di emancipazione degli individui dallo sfruttamento, quello del progresso come indefinito e progressivo miglioramento delle condizioni di vita, quello della dialettica come legittimazione del sapere in una prospettiva assoluta.

La società dello spettacolo

Segna inoltre il passaggio dalla società dei lavoratori alla società dei consumatori, dai grandi partiti operai delle sezioni di partito e dai suoi giornali ai partiti televisivi.

E' il consumo di merci e non più il lavoro che dà “cittadinanza” e auto-riconoscimento sociale delle persone. Si è riconosciuti, integrati nella società, perché si consuma. Nel “post” si vive come se fossimo in una realtà dell'abbondanza post-industriale. Del terziario, qualche volta “avanzato”.

E il compimento della società dello spettacolo di Guy Debord 3 :“La produzione delle merci, che implica lo scambio di prodotti diversi fra produttori indipendenti, ha potuto rimanere a lungo artigianale, contenuta in una funzione economica marginale in cui la sua verità quantitativa è ancora mascherata. Tuttavia, là dove essa ha incontrato le condizioni sociali del grande commercio e dell'accumulazione di capitali ha conquistato il dominio totale dell'economia”.

L'economia tutta intera è diventata ciò che la merce aveva mostrato d'essere nel corso di tale conquista: un processo di sviluppo quantitativo.

Questo incessante sviluppo della potenza economica sotto forma di merce, che ha trasfigurato il lavoro umano in lavoro-merce, in salariato, questa via che porta cumulativamente all’abbondanza, ha risolto in qualche modo la questione primaria della sopravvivenza del primo 900, ma in malo modo: ha impostato il meccanismo come se “la ricerca dell’abbondanza” non avesse mai fine e quindi deve essere sempre riproposta, ma ogni volta a un livello superiore (G. Debord). La dannazione di avere impostato l’economia intorno alla “crescita” perpetua o cresce o muore.

La società post-moderna quindi presenta da un lato la catastrofe implosiva di tutti gli universi del discorso nelle strategie comunicative e, al lato opposto, l'adattamento narcisistico alla proliferazione dei consumi.

Un altro studioso del postmoderno è il sociologo polacco Zygmunt Bauman: Modernità liquida. O, come preferisce chiamarla, società post Panopticon4 E affronta la società sotto diversi punti di vista: il lavoro, la comunità, l’individuo, il rapporto tra lo spazio e il tempo ed infine, ma non ultima in ordine di importanza, l’idea di libertà e quella ad essa collegata: l’emancipazione.

L’idea di Bauman in merito al valore e all’attualità della teoria critica è così esposta: la modernità liquida assomiglia alla metafora del “modello camping”. Nei camping, infatti, qualora qualcosa non funzioni, il visitatore può lamentarsi con la direzione e al limite estremo può andar via dal camping. Ma assolutamente non avverrà mai che il visitatore sostituisca la direzione stessa nella gestione del campeggio.

Sugli individui. Gli uomini e le donne che popolano le società avanzate sono sempre più convinti che il loro successo/insuccesso dipenda esclusivamente dalle proprie capacità, senza nessun soccorso da parte della società (intesa in modo ampio). Ci troviamo, insomma, nella situazione in cui, tramontato il sogno di un'autorità centrale, sia essa lo Stato o il capitale, che garantisca la strada per il progresso, il mondo si trasforma in una distesa di opportunità pronte a esser colte dai soggetti, per guadagnare il maggior numero di soddisfazioni possibili: “Il mondo pieno di possibilità è come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca”.

La società. Quella di oggi è ben diversa dal fenomeno del consumismo solido dell’epoca moderna; in questo, infatti, il consumo era inserito nella dialettica del bisogno/mancanza, mentre nella modernità liquida il consumo è rivolto unicamente verso l’appagamento dei desideri spesso artefatti.

Tempo-spazio. I luoghi pubblici sono classificati dall’autore in due categorie distinte: la piazza descritta nel libro è come un luogo che, per caratteristiche architettoniche, possiede una funzione che non è quella di spazio pubblico, inteso come luogo d'incontro tra persone, ma il suo compito è quello di ospitare solamente il passaggio degli individui. L’analisi del tempo è compiuta partendo dall’importanza che questo ha rivestito a partire dagli albori della modernità pesante: “La modernità è il tempo nell’epoca in cui il tempo ha una storia.”.

Nella sua storia moderna, il tempo è stato inizialmente identificato con il tempo che occorre per attraversare uno spazio; al contrario, nella modernità fluida il tempo, come approssimazione all’istantaneità, garantisce l’equivalenza di qualsiasi luogo in rapporto al tempo per raggiungerlo, e dunque ciò sancisce la predominanza del tempo come fattore di dominio sullo spazio.

Lavoro: Il capitale ha rotto definitivamente il suo magico rapporto con il lavoro, non volendo più essere incatenato con esso al suolo; chiara indicazione di ciò è la crescente flessibilità (precarietà) che investe il mondo del lavoro, concetto questo che sta trasformando milioni di lavoratori in liberi professionisti della flessibilità e che ripropone, a distanza di quasi un secolo, la polemica marxiana nei confronti degli economisti classici in merito al libero individuo (lavoratore).

La comunità. La novità che il neocomunitarismo, l’appartenenza a una comunità (e l'identità), ad una classe, attualmente, non rappresenta più un fattore di appartenenza solido, ma è un processo di auto-produzione individuale che può sempre essere messo in discussione e rinegoziato.

Un ultimo aspetto che infine viene analizzato dall’autore è il rapporto tra lo Stato e Nazione; nella modernità l’idea di Nazione era strettamente legata all’idea di Stato, o più precisamente ne rappresentava il senso e la solida unità. Nella nostra epoca post-moderna si assiste invece al crescente divario di queste due entità una volta parallele, l’idea di Nazione si sta sempre più frammentando nelle diverse comunità locali e lo Stato, come potere costituzionale, sta lentamente e inesorabilmente abdicando le sue funzioni primarie verso l’alto degli organismi sovranazionali, verso il basso con la devoluzione, e le funzioni rimanenti, come dimostrano i fatti recenti, optano per i processi di privatizzazione dei servizi al capitalismo di rendita.

Dal punto di vista filosofico, in Italia, al concetto di post-moderno è legato il famoso Vattimo che ha elaborato la nozione di “pensiero debole” per definire l’atteggiamento filosofico che ha preso atto della dissoluzione delle certezze e dei valori assoluti, “forti” del passato (in ottica nietzschiana e heideggeriana, cosa che qui interessa poco).

Il pensiero debole mette in discussione un concetto di verità universali (religiose e laiche) che hanno avuto molto a che fare con i giochi di potere.

L'uomo, così come lo intende il pensiero debole, non si riduce alla conoscenza, al sapere, alla gnoseologia, ma ha a che fare con la pratica, con l’eterno quotidiano dei bisogni immediati.

In politica l'uomo che ha a che fare con il pensiero debole si orienta sul piano dell'etica dei principi, sui temi etici (che diventano a loro volta assoluti?) e abbandona le fasi storiche e la soluzione del divario di classe.

 


1 Analisi in parte riprese delle tesi di Robert Kurz

2 Marx aveva mutuato dalla religione per spiegare la produzione del valore di scambio delle merci.

3 La Société du Spectacle di Guy Debord.E' il principio del feticismo della merce, il dominio della società attraverso "cose sovrasensibili in quanto sensibili" che si realizza in modo assoluto nello spettacolo, dove il mondo sensibile si trova sostituito da una selezione di immagini che esiste al di sopra di esso, e che nello stesso tempo si fa riconoscere come il sensibile per eccellenza” http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/filosofiacritica/debord_spettacolo.pdf

4 Il Panopticon, questo luogo inventato da Jeremy Bentham e ripreso da Michel Foucault, nel quale le persone vivono costantemente controllate e sorvegliate dal potere, potere che poteva contare sulla sua velocità e facilità di spostamento per tenere sotto controllo i propri sudditi: “Il dominio del tempo era l’arma segreta del potere dei leader”. Un’altra immagine può chiarire, tra le tante, cosa abbia significato il potere di controllo sul tempo: la fabbrica fordista con la sua standardizzazione del tempo di lavoro nella catena di montaggio.