Sanità di prossimità e democrazia della salute

La crisi del coronavirus interroga il Sistema Sanitario italiano

Premessa

In altro libro si è parlato della via comunista che passa attraverso la lotta all’esclusione, alle diseguaglianze e alla demercificazione della vita come cardini di intervento sociale. Abbiamo parlato di applicazione di questi criteri nell’economia e qui ne parliamo dal punto di vista della salute anche in seguito ai recenti fatti che il Covid-19 ha messo allo scoperto la Sanità in tutti i suoi limiti e su come diverge dalla salute collettiva in modo drammatico.

Nella vulgata di molta sinistra: “Stato è bello”, e ricondurre la Sanità allo Stato per questi è la soluzione. Verticalizzare i servizi nonostante i numerosi fallimenti amministrativi del passato, vedi i dissesti Alitalia e le tante municipalizzate, che ci hanno fatto sperare che il privato sia migliore e l’esperienza dell’ex SIP ha segnato un punto a favore .

Ma in generale un sistema fondato su due corni - fallimentari entrambi -, ha dimostrato in tutta la loro fragilità la loro fragilità. Ancor più dopo l’episodio più tragico: il crollo dell’URSS e i Paesi a socialismo reale che ne hanno messo in luce i limiti di una alternativa basata sulla sola proprietà sia essa pubblica o privata. In Italia nella Sanità il sistema Poggiolini (ma potremmo mettere Finmeccanica, ENI, ecc.) racconta di una burocrazia infedele che attraversa tutta la storia Italiana.
Bisogna partire dal principio che tra la proprietà demaniale dello Stato e la proprietà privata ci sono tante altre forme di proprietà, la proprietà collettiva (Chiesa e comunità montane), la proprietà condivisa (software libero, GNU) e sopratutto c’è la NON proprietà, come era prima dell’illuminismo dove la terra, i fiumi , i mari e ciò che stava sopra non era di nessuno, non c’erano confini, la terra era anche delle generazioni future dove la si usava ma la si lasciava come la si era trovata.

Questo per dire che diverse istituzioni andrebbero de-istituzionalizzate. Da strumenti verticali a strumenti orizzontali tra cui la Sanità.
Un esempio in tal senso fu realizzato da Basaglia con la chiusura dei manicomi. Quello che non fu realizzato, tranne rari casi, sono state le strutture di comunità diffuse che dovevano supportare le persone disagiate vicino alla loro comunità di appartenenza.

La cultura statalista della sinistra non ha consentito di fare il passo successivo scaricando sulle famiglie il problema.
La democratizzazione della malattia mentale (così come sarebbe necessario anche per democratizzazione della salute) avrebbe richiesto oltre a strutture di comunità anche sistemi di responsabilità e di gestione democratica dentro i quartieri, nei municipi, nei comuni o nelle comunità montane. I Beni Comuni come ha insegnato Elinor Ostrom premio nobel per l’economia nel 2009 vanno gestiti direttamente da una collettività precisa senza filiere di rappresentanza.

Tra privato e statale c’è un’area cosiddetta dei beni comuni quale la Sanità che va ricondotta ai cittadini, democratizzata. La proprietà può essere dello Stato ma la direzione deve essere a km 0. Accessibile direttamente dall’utente senza catene di rappresentanza lunghe e oscure quali quelle regionali.

SUSI

Il Sistema Universale del Sistema Sanitario Italiano che doveva essere l’ impronta delle conquiste sociali più significative si è rivelata un totale fallimento, ha incrementato l’esclusione sociale, ha allargato la disparità di trattamento, e la divaricazione tra sanità e salute ha raggiunto ampiezze incolmabili. La farmacolizzazione della malattia è diventato l’unico sistema di cura.

Gli ospedali hanno un sistema di gestione sul modello tayloristico: calibrato su protocolli e prestazioni che trasformano il Sistema Sanitario in una catena di montaggio dove il paziente viene diviso in tanti pezzettini da riparare, la contabilità stessa è data dai rimborsi un tanto a pezzo.

La sanità è un grande elefante diventato un bancomat per le case farmaceutiche e dei mandarini (massoni) del sistema dirigenziale.

Il Coronavirus ha messo a nudo tutti i nervi scoperti, i nodi della sanità italiana, un sistema che ha scelto di seguire l’interesse di pochi e ha dimenticato le finalità di prossimità delle cure generando solo precarietà e insicurezze nei cittadini.

Questo richiede nuovi paradigmi

Nell’ospedale l’oggetto di cura non può che essere la malattia, questa è la medicina di territorio; Quella che serve con urgenza è una medicina di comunità per raggiungere tutti coloro che hanno bisogno di cura, per garantire la vera universalità del sistema. La salute come diritto di tutti, e questa non può prescindere dalle caratteristiche di ogni singolo individuo, dal suo tipo di vita, dalla socialità, dai luoghi di vita e di lavoro, dalla sua cultura, perché sono questi che determinano lo stato di salute e l’eventuale necessità di cura.

Cultura della salute totale

Un sistema sanitario che si rispetti deve andare oltre la mera capacità di contenimento, deve essere sempre preparato a fronteggiare le emergenze sanitarie, deve prevenire prima ancora che curare, come diceva una vecchia pubblicità.

Occorre una nuova prospettiva della salute pubblica, un sistema multilivello che coinvolga tutti: dal Sistema Sanitario Nazionale ai professionisti che operano nel settore più ampio del sistema complessivo di welfare, fino alle comunità locali.

Occorre diffondere una nuova cultura della salute totale, che coinvolga non solo i singoli pazienti, ma le comunità (essendo un bene collettivo), le istituzioni locali, nazionali e internazionali.

È tempo di ripensare a un sistema diffuso, di prossimità e accessibile a tutti che passa per un lavoro di coordinamento costante tra i livelli regionali (orizzontale) e tra questi e lo Stato (verticale), ma anche per l’integrazione socio-sanitaria con i Comuni e gli Ambiti Territoriali Sociali, dove quella attuale è lontana anni luce dai principi della più che maggiorenne Legge 328/2000.

La definizione di salute che a suo tempo l’OMS ha formulato:stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattiadev’essere la filigrana dove bisogna collocare la nuova sanità.

Un diffuso programma di prevenzione sanitaria, attraverso la costituzione dei presidi sanitari di comunità, che a fianco la medicina di base del “medico di famiglia” vedono pediatri, psicologi e specialisti dotati di buoni apparati diagnostici di base, con l’ausilio assistenza infermieristica.

Insieme garantiscono sia la continuità assistenziale h24. Che quella domiciliare quando necessita attraverso unità mobili. Non ultimo includere seriamente delle vere cure dentistiche lasciate colpevolmente in mano ai privati esosi, l'assistenza garantita ai disabili fisici e mentali di ogni grado e il recupero vero delle dipendenze.

La diagnostica insieme ai corretti stile di vita devono costituire un sistema integrato di cura.

Per non parlare dell’altro nervo scoperto di insicurezza sanitaria, la diagnosi veloce, precoce e di prossimità che il Covid ha scoperto essere il principale tallone d’Achille del sistema e causa centinaia di migliaia di morti, perché il virus se preso nella fase iniziale si può curare con le normali terapie.

Insomma, grazie anche alle straordinarie potenzialità delle nuove tecnologie “tascabili”, oggi abbiamo la grande occasione di ripensare il sistema, di cambiare paradigma, passando dalla sanità della prestazione alla salute totale, che richiede sicurezza sanitaria e prossimità (fino alla domiciliarità delle cure), oggi esclusivamente affidata all’imbuto dei pronto soccorso, per chi può raggiungerlo.

Qualche aggancio storico

La deistituzionalizzazione delle strutture totali partita da Franco Basaglia con i manicomi (si è cercato di estendere i criteri al militare e alle carceri ma con successi temporanei) non è mai entrato nella sua applicazione concreta per ignoranza o per apatia, tranne a Trieste e poi nella regione Friuli in un’area di 60.000 abitanti, dove si è sviluppato un sistema di servizi territoriali, di salute mentale, con dipendenze, distrettuali, con buoni livelli di integrazione tra gli stessi, con i servizi sociali e con l’ospedale, e con volontari attivi sul territorio.

Va ricordato che già il decreto Balduzzi del 2012 obbligava a creare come contrappeso alla chiusura dei piccoli ospedali, dei presidi territoriali al fine di mantenere la sicurezza sanitaria dei cittadini.

Un documento del Ministero della Salute del 2018:

Solo un deciso intervento volto a favorire lo spostamento sul territorio del trattamento socio-sanitario delle principali patologie croniche consentirà che il processo di miglioramento della qualità dell’assistenza si sviluppi in coerenza con l’esigenza di contenimento e di razionalizzazione della spesa sanitaria.”

In pratica

Ripensare l'organizzazione del lavoro e delle professioni nel SSN in una chiave nuova, che guardi alle esigenze della comunità piuttosto che a quelle del territorio. Mettere in piedi servizi, professioni, servizi e l'organizzazione del lavoro rispetto al territorio è un conto, ridefinire le stesse rispetto a una collettività e verso la persona è un altro conto. Il territorio è un concetto di spazio, la comunità è un soggetto sociale.
La comunità non è solo un insieme di persone ma sono ambiti e stili di vita e di lavoro. Non si cura solo il paziente ma la comunità dove vive dev’essere sana sia come ambiente sociale che fisico.

Una rete di specialisti ambulatoriali, medici di famiglia, pediatri e infermiere per garantire ai cittadini un’efficiente assistenza sanitaria sul territorio ed evitare il ricorso inutile alle strutture ospedaliere, con un possibile snellimento delle liste d'attesa. È la cosiddetta “Specialistica di Comunità”

"L'assistenza territoriale, l'assistenza di prossimità, lo sviluppo di modelli organizzativi che vadano incontro ai bisogni dei nostri cittadini richiedono una sinergia e una coesione di figure professionali, che sono soprattutto il medico e l'infermiere. Il lavoro di territorio- continua- è un lavoro di equipe, ognuno può dare un contributo peculiare rispetto alla tipologia dei bisogni assistenziali e allora c’è un momento di inquadramento clinico diagnostico del cittadino da parte del medico di famiglia o dello specialista ambulatoriale, ma c’è anche un momento di organizzazione e di creazione della rete di continuità delle cure e dell'assistenza. E qui noi ci candidiamo ad essere partner con i medici territoriali, perché' la formazione degli infermieri ci aiuta a svolgere il ruolo di collante tra i diversi professionisti”.

E dentista!! Le cure odontoiatriche che in strutture pubbliche sono previste ma sono artificialmente rese scarse, negli ospedali sono una rarità difficilmente accessibile, non a caso rappresentano uno dei servizi sanitari più richiesti (da chi sottoscrive i Fondi di assistenza sanitaria integrativa), più si è pensionati più l’assistenza dentistica è fondamentale.

 Sintetizzando molto: infermieri di comunità; medici di medicina generale; pediatri;ambulatori con specialisti e diagnostica; specialisti di riabilitazione, operatori socio-assistenziali; unità mobile di assistenza; Dentisti.

  Due sono i soggetti collettivi intorno ai quali ruota questa radicale riforma: la comunità, e il gruppo dei medici di base. Il ruolo di questi ultimi cambia e si ridetermina in una ambulatorio comune di prossimità che gestisce la medicina generale, la degenza breve, dei servizi ambulatoriali poli-specialistici, la diagnostica per immagini, il laboratorio analisi, l'assistenza mobile domiciliare integrata.

 Per la buona gestione della salute di prossimità, dove “locale”, non vuol dire che esso sia isolato escluso dall’esterno al contrario, é un indispensabile supporto importante proveniente dai centri di ricerca e di eccellenza, allo scopo una adeguata struttura dell'informatica fornisce il necessario collante verso l’esterno (e tra con i singoli componenti della comunità). Essa serve a collegarsi con specialisti in tutto il mondo per le migliori diagnosi (ed eventualmente indirizzamento verso ospedali di riferimento),verso le università di ricerca, oltre che per coordinarsi con i sistemi di democrazia diretta che con comuni, Regione e istituzioni sovra regionali per il coordinamento di mezzi e politiche sulla salute.

Per raggiungere tempestivamente i sistemi isolati bisogna pensare anche alla telemedicina, potenziati per garantire una maggiore assistenza nelle località isolate del nostro territorio montuoso, e come “mezzo per fare terapia a distanza”, salvare ed assistere ammalati, spesso abbandonati a se stessi, in situazioni di emergenza, senza nulla togliere al rapporto diretto medico-paziente che può essere comunque presente in un rapporto a distanza, seppur in modo diverso.

In un simile servizio ambulatoriale il lavoro di equipe è fondamentale, ognuno può dare un contributo peculiare rispetto alla tipologia dei bisogni assistenziali e allora c’è un momento di inquadramento clinico diagnostico del cittadino da parte del medico di famiglia o dello specialista ambulatoriale, ma c’è anche un momento di organizzazione e di creazione della rete di continuità delle cure e dell'assistenza.

Lo stesso specialista ambulatoriale che oggi appare come offerta legata alla struttura, deve invece trovare continuità e interazione con gli altri professionisti senza intermediazioni. Perché' la cooperazione dev’essere a tutto tondo: il collante tra i diversi professionisti. (E tra questi e la parte politica e amministrativa della struttura.)

Serve anche un servizio di diagnostica domiciliare in real time condotto da professionisti sostenuti da un’efficiente struttura assistenziale multispecialistica ambulatoriale.

Le farmacie comunali possono integrarsi nel progetto e diventare un sistema di prelievi e analisi.

Prima di tutto la prevenzione

La separazione, anche amministrativa, tra i servizi sanitari territoriali e le strutture ospedaliere, di necessità, definisce la rottura di un equilibrio nel “rapporto terapeutico”, facendo emergere l’inadeguatezza strutturale ed organizzativa dei primi nel far fronte alle esigenze di pazienti non ospedalizzati a favore di una medicina di prossimità, vale a dire del territorio, vicina alla persona, alle famiglie.

Una medicina di base che garantisse ai cittadini una costante assistenza dal punto di vista socio-sanitario e in cui la “persona” potesse esprimere i propri bisogni in base al proprio background culturale, sociale e di appartenenza, nel rispetto delle diversità.
- Cura della cronicità, limitando il ricovero negli ospedali, se non in caso di acuzie.
- Supportare le persone fragili nell’ambito delle disabilità e della salute mentale, con interventi domiciliari diversificati a supporto delle famiglie. Rientrano tra queste aree anche la cronicità e la riabilitazione .

 Una Nuova Sanità significa “connettersi con la nostra storia” e col “prendersi cura” dell’altro, ripristinando una ”neppur troppo vecchia Sanità”, quando il medico andava a casa del malato, parlava , istruiva e sosteneva la famiglia che doveva, a sua volta, prendersi cura del malato.

Questo particolare momento storico, ci ha riportato a ripensare al diritto alla salute, che è un diritto di ogni uomo e di ogni essere vivente. Ha sollevato la necessità di una visione bio-psico-sociale dell’uomo per una concezione multidimensionale della salute.
La persona deve essere collocata al centro di un sistema che tenga in considerazione le molte variabili che lo compongono e che lo condizionano, secondo il modello biopsicosociale.

Le difficoltà a spostarsi – seppur autorizzati per motivi di salute dimostrabili – ha evidenziato questa mancanza, rendendo più urgente che mai un intervento in tal senso.

La telemedicina, ad esempio, avrebbe potuto assumere un ruolo centrale, almeno per alcune patologie e condizioni di salute, ma le strutture e i singoli professionisti si sono dimostrati, in buona parte, impreparati a far fronte a queste nuove esigenze in tempi brevi.

Dati utili

Veniamo da una storia di progressivo tagli ai livelli essenziali di assistenza per favorire i più lucrosi sistemi specialistici.

L’Italia è tra i paesi Ue con il maggior numero di medici (come gli avvocati) in rapporto alla popolazione residente, quasi 410 ogni centomila abitanti (2009).

Le regioni del nord sono interessate da circa 650 mila ricoveri ospedalieri di pazienti non residenti e da oltre 570 mila ricoveri di pazienti provenienti da una regione diversa da quella di residenza (2008).

Le malattie del sistema circolatorio rappresentano la principale causa di morte in quasi tutti i paesi dell’Ue. In Italia, il tasso standardizzato di mortalità per queste cause è pari a 32,6 decessi ogni diecimila abitanti, quello relativo ai tumori è pari a 26,6 decessi ogni diecimila abitanti, con valori maggiori negli uomini (36,8) rispetto alle donne (19,6). I tumori rappresentano in Italia e in Europa la seconda causa di morte (2007).
Per patologie; i fumatori e i consumatori di alcol rappresentano il 23,0 e il 16,1 per cento della popolazione di 14 anni e più; le persone obese il 10,3 per cento della popolazione adulta (2009).

Il tasso di ospedalizzazione:

il Veneto ricovera il 26% degli infetti; l’Emilia Romagna il 47%; la Lombardia il 75%.

Mentre la copertura di assistenza domiciliare nelle stesse regioni ha un andamento opposto, ovvero è alta laddove il tasso di ospedalizzazione è basso.

Copertura di assistenza domiciliare:

nel Veneto= 65%; nell’Emilia Romagna=46%; nella Lombardia= 14%.

E’ evidente che l’ospedale è patogeno, una persona fragile, se ricoverato, rischia di ammalarsi di altre patologie.

La vita media si allunga, le patologie crescono, si sopravvive fortunatamente di più alle malattie e tutto questo comporta altre significative allocazioni di risorse per diagnosi, cure, assistenza, follow up, riabilitazione.

La cura a domicilio previene danni maggiori e complicanze, riduce al minimo le possibilità di contagio, perché può intervenire sulle diseguaglianze di salute dal momento che il medico conosce ogni specifico particolare e il contesto sociale da cui spesso derivano le malattie.

Troppi gli accessi inutili e dispendiosi nei Pronto Soccorso”
“Una riorganizzazione dei sistemi sanitari territoriali è necessaria (Brozzi) se consideriamo che il 70% degli italiani si dichiara non soddisfatto del servizio sanitario nazionale; che l'80% degli accessi ai Pronto Soccorso ospedalieri sono codici bianchi o verdi, tali, cioè, da poter essere gestiti in strutture alternative idonee; che ogni anno gli accessi al Pronto Soccorso sono più o meno due milioni e mezzo”.

più del 70% degli accessi al pronto soccorso riguardano codici bianchi e verdi, il 22% gialli e solo l’1,7% rossi.

Nel 93,1% dei casi, la permanenza si approssima alle 12 ore.

Insomma, nella stragrande maggioranza dei casi, le cure erogate potevano essere offerte al di fuori degli ospedali, presso strutture di prossimità.

Il business

La spesa sanitaria pubblica supera i 110 miliardi di euro, pari al 7,3 per cento del Pil e ad oltre 1.800 euro annui per abitante (2009). La spesa sanitaria pubblica italiana è molto inferiore a quella di altri importanti paesi europei. Le competenze, in Italia, sono in capo alle Regioni e dunque la media di spesa non corrisponde con precisione all'impegno di ogni singolo territorio. All'interno dei bilanci regionali, la spesa sanitaria mediamente copre intorno al 70%.
Le famiglie contribuiscono con proprie risorse alla spesa sanitaria complessiva per una quota pari al 21,3 per cento. La spesa sanitaria delle famiglie rappresenta l’1,9 per cento del Pil nazionale e ammonta a 1.178 euro per famiglia (anno 2008). (non sono comprese le spese dentistiche che si presume siano maggiori visto il numero di dentisti e le loro tariffe!)

( Un calcolo fatto sui dati Caf Acli relativi alle dichiarazioni dei redditi mostra che, nel 2018, la spesa sanitaria privata pro capite ammontava a 1.118 euro. )