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Category: ARTICOLI
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 DECALOGO

Sintesi delle tesi contenute nei testi

"Il capitalismo è in declino. La fonte del plusvalore, la manodopera viene espulsa dalla produzione e non ci farà più ritorno, vengono meno così le fondamenta stesse della generazione della ricchezza per via del profitto nel ciclo capitalista."

 

1.0) Il capitalismo è in declino. La fonte del plusvalore, la manodopera, viene espulsa dalla produzione e non ci farà più ritorno; vengono meno così le fondamenta stesse della generazione della ricchezza per via del profitto nel ciclo capitalista.

Siamo di fronte ad una crisi del modello di accumulazione da plusvalore. Il capitale ha finito la sua “spinta propulsiva” e riesce a garantire la qualità di vita precedente a un corpo sociale sempre più ridotto; a fronte del costante aumento della produttività non ci sono ritorni significativi per i subordinati.

Questo segna di fatto l’incapacità del capitalismo di garantire la riproduzione sociale; questo nuovo scenario apre a diverse conseguenze e molti problemi.

a) Nell’epoca della decomposizione del capitalismo si manifestano: narcisismo, rancore e odio, stragi, pulsione di morte e violenza autopunitiva. Tutto ciò implica l’inizio di un dialogo con la psicanalisi, e fa emergere tutte le ideologie della crisi: razzismo, populismo, nazionalismo, culturalismo identitario, anti-capitalismo reazionario, neo-schiavismo, patriarcato imbarbarito, religionismo, neofascismo, ecc.

La crisi di accumulazione trasforma la “sussunzione reale” nella sua forma postmoderna, con la costituzione dei mega-soggetti collettivi (popolo, nazione, classi, “razze ”) che accompagnano la lenta decomposizione della civiltà nel post-moderno capitalista. Il populismo spesso rivolto contro l’Ancien régime  in cui il popolo è, nello stesso tempo, il risultato omogeneizzato in base al principio dell’astrazione, della dissoluzione-ricomposizione dei rapporti sociali attuali.

b) Il capitalismo, attraversando una crisi multidimensionale, ha generato al contempo anche una crisi dell’anticapitalismo e quindi delle lotte, della rappresentanza e delle analisi; queste fino a oggi si sono limitate a rifacimenti edulcorati, semplificazioni derivate dal marxismo tradizionale: “antineoliberismo”, “sviluppo sostenibile”, “il capitalismo buono” contro quello cattivo (finanziario) e al contempo bombardandoci con narrazioni emotive (sul passato, sul presente, nella cronaca) che poco lasciano spazio alla riflessione.

E’, in breve, la sinistra trasversale (dalla sinistra istituzionale fino a RFC, PaP, Eruostop ecc.) che ha assorbito tutta l'ideologia della crisi dal populismo al nazional-sovranismo ecc.

Nel complesso si dipana ancora al passato tutto il racconto della sinistra, sia quella di governo sia quella di “movimento”, compresi i sindacati di sistema e quelli “alternativi”; tutti ragionano con l’ottica di “aggiustare” il capitalismo, sperano di indebolire la finanza attraverso lo Stato e, sempre attraverso lo Stato, di promuovere lo “sviluppo sostenibile” e/o  la  via ecologica al capitalismo.

1.1) La “classe” che delimitava la vecchia società, utile strumento di formazione dell’identità operaia, non esiste più.

Il post moderno ha accentuato la difficoltà a determinare la “classe dei lavoratori”, sia quella “in sé” (determinata da condizioni oggettive) che quella “per sé” (cosciente di se stessa); sono saltati tutti i parametri del “soggetto” della modernità!

Gli espulsi dal lavoro non vanno più a formare  un “esercito industriale di riserva” (proletari in attesa di entrare in produzione alla successiva ripresa economica). Semplicemente non ci saranno riprese economiche possibili!

Si assiste al progressivo declassamento, un numero sempre maggiore di persone esce dalle categorie funzionali di “forza lavoro” ed entra a far parte della non-classe ; i nuovi “rifiuti umani” (Zygmunt Baumann).

Si hanno nuove lotte, ma senza classi, i gilet, i No TAV, i movimenti sul clima ecc, sono lo specchio di questa nuova realtà di “non classe”.

Come contraltare all’arretramento del capitalismo, miliardi di capitali mobili girano per le borse, ma sono destinati a rimanere vaganti, non entreranno mai “in produzione” (semplice: non c’è più nulla da produrre in termini capitalistici, ovvero con un congruo profitto) e vanno ad alimentare la nuova rendita (sul modello della rendita fondiaria agli albori del capitalismo). L’economia attuale è prevalentemente data dalla rendita (finanza), dalle forme di protocapitalismo (piccole imprese e imprese del terziario), dal “non capitalismo” (piccola agricoltura, volontariato e coop).

1.2) Fino agli anni '80 tutte le crisi sono state causate all’interno del rapporto capitale-lavoro quando il capitale aveva di fronte a sé ancora spazio per lo “sviluppo storico”, tanto interno (III rivoluzione industriale) quanto esterno (mercati da conquistare). In quella fase i movimenti sociali si basavano sulla “lotta di classe” (mercantile) e sono stati in grado di coinvolgere “la classe” in ogni nuova fase di accumulazione, attraverso le varie forme redistributive della ricchezza prodotta. In pratica si è istituzionalizzata la “classe”.

La sinistra, perfino quando brandiva il vessillo “rivoluzionario” o quello delle “liberazioni nazionali”, era, malgrado se stessa, uno dei motori attivi della modernizzazione capitalista.

1.2.1) L’attuale crisi storica del capitalismo ha paralizzato, ha reso impotente la vecchia impostazione critica e l’attuale congiuntura, invece di provocare nuove mobilitazione della “classe”, le ha polverizzate. perché è rimasta una “critica” spuntata, inutile, che lascia “la classe” in balia degli eventi.

Nessuno ha colto la stagione calante del capitalismo, un capitalismo che arretrando lascia una scia di capannoni vuoti e nessuno ha in mente, ha studiato  come rimpiazzarlo (a parte l’assurda idea di formare il capitalismo di Stato).

In questa fase andrebbero costruite delle alternative all’altezza del compito storico e questo è diventato quanto mai urgente e vitale. Serve altresì una nuova teoria perché l’alternativa che si presenta attualmente nel ventre della crisi è e sarà che ancora più di barbarie.

E l’alternativa non può uscire dai vecchia arnesi catechistici-semplificativi del marxismo ortodosso, si impone una critica molto più radicale delle forme di base della vita sociale capitalista.

2) Serve necessariamente una teoria che faccia i conti con il marxismo di impronta illuminista (determinista e unilineare) perché dopo tutti questi secoli di rivoluzioni (e soprattutto di controrivoluzioni) sappiamo che non esiste una “situazione oggettiva” sotto la cui pressione si ha il ribaltamento, una spinta automatica al superamento del capitalismo a uno stadio superiore di civiltà. Non esiste una contraddizione principale che spingerebbe inevitabilmente e automaticamente un soggetto a costituirsi come “rivoluzionario”. L’emancipazione “oggettivamente determinata” è una contradictio in adjecto prodotto dell’illuminismo progressista. Anche le attuali condizioni di assenza del capitalismo e di esubero della manodopera, con un generale impoverimento, ma queste non sono condizioni sufficienti a vestire un soggetto rivoluzionario particolare al quale si tratterebbe semplicemente di risvegliarne la coscienza: non ci sono automatismi!

Bisogna dedurre che i contenuti del marxismo tradizionale delle prassi e delle rivoluzioni storiche non sono più adeguati, sono obsoletie incapaci di far comprendere e modificare il presente.


Uscire dal capitalismo

3) Di conseguenza il problema è fare i conti con l’anticapitalismo estetico: con l’altercapitalismo, della sinistra altercapitalista, quella d’opposizione e movimentista, anti-neoliberista, al fine di realizzare una nuova visione che promuova scenari per delle reali possibilità emancipatrici.

Occorre comporre nuove “polarizzazioni”, creare un nuovo “contro-spazio pubblico”, che apra la strada all'abolizione della ricchezza astratta capitalista (il valore), del lavoro, del denaro, della forma-soggetto, delle classi, dei generi, del razzismo, dello Stato, del diritto e della politica.

Armati di una teoria che non sia la “serva” di un'ipotetica prassi, che non corra dietro tutto ciò che si muove, attribuendogli virtù spesso immaginarie o a ogni forma di protesta e rivolta, ma che nello stesso tempo non sia cattedratica né sia limitata a una cerchia di eletti. Una teoria in cui la creazione immediata dei rapporti sociali comunisti fra gli individui cominci a configurare nel corso stesso della pratica emancipativa; essa sarà il contenuto stesso della (evo)rivoluzione trasformatrice, senza transizioni, senza doppi tempi e discese dall’alto, a dettare la forma di vita sociale solidale, orientata alla non economia, senza denaro, senza profitto e senza Stato.

4) Poiché il capitalismo impone agli individui la stessa forma-soggetto (le “maschere di carattere” secondo Marx), si tratterà di contribuire alla creazione di un nuovo concetto di rivoluzione, che non sia l’affermazione di un soggetto, sia pur “rivoluzionario”, il cui nucleo sia presupposto come immune da ogni implicazione nella logica capitalista.

Non si tratta più di ricercare o di liberare il soggetto ma di liberarsi dal soggetto, dunque di strapparsi quelle maschere sociali che la nostra vecchia nemica, la merce, ci ha inciso sul volto; così come il capitalismo, di cui non è che la modalità di soggettivazione, il soggetto moderno “non morirà di morte naturale” (Benjamin).

5) Serve mettere in atto una critica a tutte le forme di esclusione sociale, che siano aperte, indirette o soggiacenti. Siamo reduci da un’interpretazione derivata dal marxismo tradizionale che confondeva il concetto empirico e derivato di “classe” con una categoria di base del capitalismo. Dove la “lotta di classe” (merce che cercava di vendersi al miglior prezzo) era soltanto un momento dello sviluppo del capitalismo globale, atto che s'inseriva nel processo di valorizzazione (senza superarlo). Tanto più che oggi, con il capitalismo in contrazione, più che a un anelato ritorno alla vecchia “lotta di classe” si assiste soprattutto a un processo generale di declassamento. E con forza lavoro in esubero si ampliano e s'intensificano le differenze gerarchiche anche tra i lavoratori.

È sotto il naso di tutti che il capitalismo arretra, ma il proletariato è prigioniero nella forma di “soggetto del lavoro”, merce tra merci, anche di fronte ad una richiesta di prestazioni sempre minori. La platea della “forza lavoro” così ridotta, è trasformata in “aristocrazia operaia”  di quello che resta della classe media,  difendere con le unghie e con i denti la sua pelle (ossia i suoi posti dentro i rapporti sociali considerati oggi “privilegiati”) e picchia sui chi è meno privilegiati che premono per diventare privilegiati Questi ultimi a loro volta fanno a gomitate sull’esercito dei superflui, dei non qualificati, sui lavoratori a basso reddito, questi a loro volta contro chi attenta quel poco di lavoro che è loro rimasto: migranti, “assistiti”, non-validi o stranieri, zingaro, donne, ecc.

6) Vogliamo esaminare i meriti e i limiti del pensiero critico e della storia del pensiero e della filosofia in generale; la storia del capitalismo, la sua nascita, le sue diverse tappe, in particolar modo il ruolo del denaro; del feticismo della merce nella storia dei feticismi in generale. Ne conseguirà un dialogo con l’antropologia culturale e la storia delle idee.
Una nuova, necessaria, teoria rivoluzionaria va ricostruita dalle fondamenta, approfondendo il superamento della gestione immanente delle contraddizioni all’interno del sistema feticistico-capitalista.
Una pratica rivoluzionaria che per la prima volta, distruggendo in maniera cosciente l’agire immediato nel capitalismo, possa renderci “architetti” delle nostre condizioni di vita.