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L'ILLUMINISMO

SIAMO FIGLI DELL'ILLUMINISMO

L'illuminismo e il positivismo sono l'occidente, ne delineano la natura e i confini, hanno radici nell'antica Grecia, ha riscritto il rapporto uomo “natura”, uomo “spirito”, l'essere religioso (scolastica), i rapporti sociali del modo di fare società, ha ridefinito nuove gerarchie sociali.

La liberazione mancata

L'illuminismo e la scienza positivista che doveva liberarci, darci l'emancipazione dalla fede e dalla superstizione, dai totem, e dalle montagne sacre, ci ha invece riempito di altrettanti feticci ugualmente coercitivi e prescrittivi.

L'illuminismo non ci ha liberato, ma ha solamente traslato il potere che prima veniva dal divino in cielo alla “natura” terrena.

Ha appiattito tutta la realtà multiforme e qualitativa al dominio della quantità. Quantità astratta, senza qualità perché solo così è misurabile e confrontabile, e quindi acquisibile. La quantificazione riduce a zero le qualità e quindi cade sotto il dominio della moneta altrettanto astratta, che dà sostanza, peso e figura al valore delle merci sul mercato che nel loro insieme chiamiamo “economia”, la forma moderna di relazionarsi.

Moneta astratta si sposa con il pensiero matematico dei numeri immaginari, quindi forma il pensiero astratto dello spazio-tempo astratto (Newton, Cartesio), del valore lavoro astratto, ecc; ogni cosa ha valore sociale solo se quantitativa.

L'esercizio logico, speculativo di ridurre la complessità a quantità per fare comparazioni, nel capitalismo, da espediente logico diventa realtà viva quotidiana.

E questo schiacciamento dell'uomo a partire dal suo lavoro creativo, differenziato, è posto nel capitalismo, sotto il dominio della quantità; questa trasporto dall'astratto al concreto è stato la nervatura connettiva necessaria per produrre montagne di merci, la capacità industriale senza confine, grazie alla trasformazione globale del lavoro singolare, unico, in un piatto gesto ripetitivo. Forza lavoro creata con il passaggio della maggioranza della società a un popolo di salariati lontani dalla disponibilità dagli strumenti produttivi, e di conseguenza la devastante impennata della divisione del lavoro, che nella modernità ha raggiunto verticalizzazioni e frammentazione come mai nella storia umana.

Il feticcio della merce-denaro, l'economia che l'illuminismo, e successivamente il positivismo hanno preso a cifra della nuova umanità. Nel mondo scritto dal denaro, dall'economia astratta, quantitativa, tutto è merce ed ha un prezzo, persone o beni che siano.

Marx parla perciò di "feticismo della merce", il nuovo razionalismo ci ha portato solo nuova fede, e nuove credenze.

Quando usiamo una moneta o con una banconota, per acquisti o vendere delle cose, crediamo che quel mezzo di pagamento goda in sé stesso di un valore. Tuttavia, siamo vittime di un'illusione, perché è l'insieme dei gesti individuali, le reiterate azioni quotidiane e ripetute, fanno sì che quella carta valga qualcosa. In altre parole, poiché tutto il mondo crede che una banconota da 10 euro vale 10 euro, allora la cosa funziona.

Questa fede è necessaria al sistema per funzionare; questo feticismo non è l'apparenza che nasconde il reale che sta sotto, non è la forma che copre il contenuto: un "feticismo reale", la struttura concreta della nostra forma di vita nell'universo economico.

CONTORNI DELL’ILLUMINISMO

Nel parlare di trasformazioni sociali, non si può prescindere dalla comprensione del nostro punto di partenza, noi siamo figli dell'illuminismo, viviamo dentro i suoi paradigmi.

L'illuminismo è la base attuale della cultura occidentale ed ha segnato la nuova era antropologia dell'umanità; non è detto che sia l'ultima, ma al momento non si è trovato nulla di alternativo, che vada oltre illuminismo.

Questa struttura sociale è necessariamente una struttura veritativo, sia dal punto di vista scientifico che sociale (i valori delle vergogne e delle colpe, la giurisprudenza), è un nuovo sistemi organizzativo nel rapporto uomo natura, possiede nuove credenze, nuovi sistemi valoriali, ha nuovi riti sociali. Nuove perché alcuni di questi non esistevano prima e si sono generati, o se esistevano sono stati riadattati.

Intendiamo, nel descrivere l'illuminismo nelle sue diverse correnti bisognerebbe fare dei distinguo. Esso ha avuto indubbi risvolti positivi, non è stato tutto oscuro e negativo. L'approccio scientifico dell'illuminismo alla realtà umana, tra altre cose, ebbe in positivo la nascita del darwinismo, le scienze sociali, le conoscenze storiche e l'affrancamento dalla fatica e dai “capricci” della natura.

Nell’illuminismo i capisaldi dell'organizzazione sociale sono due, rispettivamente il cittadino (proprietario di beni e diritti) e lo Stato (monopolio della forza e tutelare dei diritti dei cittadini). La civiltà dei lumi ha introdotto la retorica della soggettività titolare si diritti e proprietà, soggetti senza un “noi”, in eterno conflitto tra loro; ha posto al centro l'individuo e cancellato la comunità come luogo del buon vivere e al suo posto, a guardia dei “lupi”(Hobbs) isolati, ha posto un'altra struttura sociale di fatto indipendente (Weber): lo Stato Leviatano!

Quindi nelle dinamiche sociali nell’illuminismo si è passati dalla dialettica dei diritti sociali ai diritti civili dei singoli diventati “cittadini”, dalla protezione e condivisione dei beni collettivi alla protezione dei beni privati (la proprietà privata come uno dei cardini fondamentali della libertà individuale).

Fin dalle sue origini i conflitti sociali, in questa nuova fase dell'umanità, sono stati TUTTI interni a questi due perni: Stato e cittadini, in mezzo niente. , oscillavano tra questi capisaldi (feticci);.

Questo binomio era la nuova invenzione cardine del secolo dei lumi, tutti i conflitti sociali fino ai giorni nostri si sono dati tra chi privilegia la singola individualità, il “cittadino” e chi lo Stato: liberalisti e socialisti, lasciando comunque intatto tutto il resto dell'impianto “liberal-borghese” (la borghesia, il nuovo ceto dominante, la nuova forma piramidale).

Una struttura sociale niente affatto secondario o trascurabile, ed è di questo “altro” che andiamo a trattare.

L'illuminismo e positivismo

In qualche modo si può dire che il positivismo è il completamento dell’illuminismo. L’illuminismo accompagna l’ascesa di una nuova classe sociale: la borghesia con la rivoluzione francese. Il positivismo (fine ottocento, primi novecento) marca il completamento della egemonia borghese sulla società.

Le caratteristiche che più accomunano entrambi in sostanza sono:
- la fiducia nella ragione e nel sapere, come strumenti di emancipazione sociale: il progresso progressivo;
- l'esaltazione della scienza come metodo veritativo;
- la visione laica ed immanente della vita, accompagnata dalla visione calvinista che esalta il successo pratico, concreto.

In pratica, il positivismo è la costituzionalizzazione restaurativa dell’illuminismo.
Infatti mentre gli illuministi accompagnano in modo rivoluzionario l'ascesa economica e politica della borghesia, per la realizzazione di un progresso ancora da costruire, i positivisti operano in una situazione intellettuale e sociale in cui la visione laica e borghese della vita è diventata egemone.
Mentre gli illuministi usano il sapere scientifico per dissolvere le credenze metafisiche e religiose, i positivisti tendono a fare della scienza una “religione di Stato” (come reazione si ebbe la corrente filosofica, artistica e sociale “romantica” e “nazionalista”.

Non vi è dubbio che l'illuminismo e il positivismo che sono stati la culla, il “latte materno” del capitalismo, con le sue molte sfaccettature hanno plasmato l'uomo moderno e hanno reimpostato la storia umana dell'occidente.

Il pensiero positivista accompagna tutta l’organizzazione tecnico-produttiva della società industriale.

Ideologicamente il positivismo è dentro l'ottimismo metafisico illuminista baconiano della liberazione dell'umanità grazie al progresso scientifico e tecnologico, dando ad essa la funzione messianica e metafisica di guida unica e certa in ogni campo scientifico e umanistico. La scienza e la tecnocrazia (Comte), a garante del nuovo ordine sociale: la società perfetta.

L'illuminismo sviluppatosi in Europa nel corso del XIX secolo, con l'obbiettivo morale di rendere l'uomo libero e razionale, in grado di emanciparsi rispetto alle influenze delle superstizioni della religione, dei misticismi e dai vincoli della natura da cui proveniva. L'illuminismo si prefiggeva di poter raggiungere una sorta di universalismo un cosmopolitismo delle società, fuori delle tradizioni, dei vincoli nazionali e storici, sotto la spinta e dominio della razionalità oggettiva.

(Marx contrapponeva all'universalismo illuminista il “proletari di tutto il mondo unitevi”, ma questa è un'altra storia)

Nell’illuminismo ciò che prima era in cielo “Dio, lo spirito ecc.” viene posto in terra con l'esaltazione di tutto ciò che era razionale e ragione umana, scientifica. La ragione che avrebbe risolti i mali del mondo.

L’illuminismo e il positivismo, sono stati le grandi filosofie che hanno interpretato spirito borghese liberale del tempo. Era (ed è) la cultura della nuova classe emergente che dopo lunga convivenza con l'aristocrazia e la teocrazia, culminerà poi, nella rivoluzione francese, dove si impose come nuova classe dominante e il suo pensiero è diventato il perno della cultura occidentale: la modernità.

Il racconto da parte della intellettualità borghese del positivismo come via maestra per sviluppo intellettuale dell'umanità, come metodo di emancipazione dall'uomo dalla superstizione e dalla fatica, dalla schiavitù della natura, dalle malattie e della superstizione non solo non ha mantenuto fede alla promessa, ma ha imprigionato le masse in una nuova e superiore schiavitù del lavoro, creandone la sua scarsità; ponendo il titolare della forza lavoro sotto il nuovo dominio dei mercati e della valorizzazione, facendo dello salario -l’unica risorsa di vita per i proletari- un oggetto da competizione nel mercato della manodopera.

Il positivismo ha prodotto una caricatura dell'umano. Ha sottratto l'uomo dall'alveo della persona monistica, collettiva, comunitaria per fare emergere, esaltare le caratteristiche individuali, ipersoggettive, trasformando l’umano in “lupo” come fattore emancipativo.

L'economicismo e quindi il capitalismo non potevano nascere senza la nuova teocrazia: il mercato, la moneta, la produttività, il salario sono le nuove etero credenze. Siamo solo passati dal radunarsi intorno al sagrato della chiesa al radunarsi nei centri commerciali. Dalle grazie da acquistare per il paradiso alle grazie del conto in banca. Dalle preghiere per il paradiso alle preghiere per un lavoro decente.

L'ILLUMINISMO DA ESPORTAZIONE

L'uso esaltato dell'illuminismo fa credere a chi lo pratica di essere superiore culturalmente a chi non lo pratica o lo pratica poco. Una sorta di razzismo culturale, che spesso spiana la strada a forme di imperialismo e colonialismo.

La retorica universale liberal-borghese dei diritti civili, vede dall'alto in basso, guardando il secondo o terzo mondo con gli occhiali della supremazia occidentale, dall'alto verso il basso; un pensiero non manifesto, ma implicito, ma è intorno ai diritti individuali che misurano discriminano i gap culturali.

Gli Stati occidentali facendo leva, o meglio coprendosi dietro la “superiorità assoluta” dell’Occidente in merito ai diritti tendono tendono ad “esportare” a colonizzare con i valori occidentali gli altri paesi (La sinistra francese è un campione in questo, e appoggia tutte le manovre di dominio del suo paese, dal centro Africa e nord Africa e medio oriente).

La questione dei diritti è la base culturale trasversale che giustifica le guerre imperiali di rapina. America Latina, Africa, Medio Oriente, Asia, Russia, sloveni ecc. sono da sempre le nazioni oggetto di queste attenzioni di queste “liberazioni” emancipatorie illuministe da parte dell'occidente. Salvo foraggiare e appoggiare despoti compiacenti che offrono materie prime a buon mercato.

I sostenitori dell’amore cieco per il Progresso, dell'egualitarismo umano assoluto premono sulla esportazione improbabile della democrazia, dell'abbattimento dei dittatori (solo quelli scomodi) per imporre la democrazia come necessità mondiale, senza tener conto del fatto che quello di “democrazia” è un concetto assolutamente occidentale)1.

L’illuminismo positivista, sul piano politico-sociale, non si è mai perfettamente compiuto, e per come è strutturato, non si potrà mai realizzare (i motivi sono spiegati abbastanza bene anche da Schopenhauer e Nietzsche); ma nonostante l'evidenza delle contraddizioni per cui non è realisticamente possibile da conseguire, tuttavia questa utopia persiste a dispetto della storia. Sono sopratutto dei marxisti-positivisti ad aggrapparsi intorno alla retorica tardo-positivista, mentre il ceto politico, ed economico sono più realisti e pragmatici.

ILLUMINISMO E MARXISMO

Tutti sanno che l'illuminismo è stato il crogiolo “ideologico”, culturale, che ha dato origine allo sviluppo del capitalismo e (e quindi dell'alienazione umana, la più radicale che la storia abbia avuto). Al contempo, come abbiamo detto, abbiamo avuto una corrente dell'illuminismo romantico che faceva convergere illuminismo con una certa interpretazione del marxismo; nelle sue varianti socialdemocratiche e radicali, e questo ha segnato tutta la storia importante del 900.

Questa corrente puntava a conciliare il marxismo con l'illuminismo. Condivideva con l'illuminismo i medesimi paradigmi sociali,: identico spazio-tempo sociale e convergeva anche nei sistemi valoriali. I più importanti: la proprietà, il soggetto, lo Stato, la Nazione, il positivismo, il valore-lavoro, il macchinismo, il progresso, la “natura”, la legge, ecc. I marxisti dai sepolcri imbiancati, condividevano con il positivismo le strutture sociali di base: il cittadino e lo Stato.

Il marxismo annacquato depotenziando “il cittadino” (sentimento piccolo borghese), e amplificando il ruolo dello Stato potenziato di diverse “sovranità”, accanto al tradizionale monopolio della forza, lo Stato socialista (e non solo) allarga le sue funzioni per essere sintesi sociale, quindi assolve la funzione di coesione sociale, coprendo i suoi diversi aspetti: l'etica, la morale, la cultura, le scienze e le comunicazioni -informazioni/formazione.

Filosoficamente per questi “sinistri” è Stato hegeliano, che si erge a sintesi terrena, personificando lo “spirito assoluto” del popolo; sintesi sociale che da astratta o divina, diventa concreta, cristallizzata nello Stato “padre”.

Tutto il teorema marxista della Comune di Parigi del sistema dei consigli, della democrazia diretta viene messo da parte.

Il marxismo positivista

L'argomento marxismo-illuminismo è molto vasto, non trattabile in questo libro, ma in sintesi potremmo dire che questa corrente del marxismo condivide anche gli aspetti fondamentali del positivismo, quello che ha permesso lo sfruttamento scientifico del lavoro e della natura, piegandoli all'egemonia dell'economia.

Di seguito in sintesi i punti di congiunzione tra il positivismo e il marxismo depotenziato.

Bisogna precisare che il lavoro si Engels sul materialismo dialettico, è stata la prima forma “marxista” del tentativo di superare il positivismo considerato “borghese”. Engels iniziò a delineare il primo nucleo teorico del “materialismo dialettico” con l’Anti-Dühring (1878), e poi con L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884) e la Dialettica della natura (post., 1934), dove definisce lineamenti sulla concezione materialistica della storia e delle scienze.

Egli prese la dialettica dell'illuminista romanticista Hegel, e ne ribaltò semplicemente i teoremi. Nella pratica fu un’apposizione della dialettica ai principi scientifici dell'illuminismo.

Il materialismo storico-scientifico era un tentativo maldestro di costruire un sistema olistico delle scienze. Si cercava sia di far rientrare la qualità nella piatta quantità del rigore matematico-scientifico (la quantità che si trasforma in qualità), sia di gestire il divenire, il movimento nella scienza, con la teoria della compenetrazione degli opposti opposti, e la teoria della negazione della negazione, che in qualche modo rimetteva in gioco il “terzo esclusonegato nei sistemi scientifici classici del positivismo.

L'approccio a questo “metodo di indagine materialista” doveva essere unità tra teoria e prassi, tra fare e pensare continuo. Un fare che trasformava apprendendo. Una teoria che si trasformava nella verifica funzionale. (In questa prospettiva possiamo affermare che era un predecessore del metodo sistemico)

Lenin non proseguì la sfida di Engels ed accentuò ulteriormente l’aspetto “materialistico” positivista. Nella sua epistemologia della conoscenza di Materialismo ed empiriocriticismo (1909), ha snaturato nei suoi contenuti di sperimentazione e ricerca e riprese dall'illuminismo la neutralità della scienza e della tecnica e la teoria della conoscenza progressiva, la famosa “curva asintotica” delle conoscenze (avvicinamento cumulativo delle scienze alla verità assoluta). Da questo punto di vista Lenin ha preceduto il falsificazionismo di Popper.

Con Stalin il “materialismo dialettico” leninista fu ulteriormente appiattito, e divenne la base ideologica di Stato dell’URSS e “legge” nei partiti comunisti che gravitavano intorno all'URSS: il famoso DIAMAT. Nel concreto si può affermare che il “diamat” fu più uno strumento di lotta politica che di sviluppo delle conoscenze.

Le scienze sociali

Il metodo positivista applicato alle scienze sociali fa delle condizioni materiali delle persone il motore della storia e della ideologia. Nella versione sovietica, il positivismo si chiamava “materialismo storico”. L'ancorare il marxismo come scienza sociale al positivismo aveva fini nobili, voleva ancorare “scientificamente”, non come mera volontà sociale (non idealistico come si diceva allora), ma in modo “oggettivo” la riscossa operaia nella lotta per il comunismo.

Nel risultato pratico, dal “marxismo scientifico” ne venne fuori un movimento “bio-millenarista”, l'attesa messianica del comunismo, del crollo spontaneo del capitalismo dovuto alla caduta tendenziale del profitto (calcoli eseguiti alle volte, anche con grande rigore ne definivano anche il periodo del crollo). Capitalismo che giunto a maturità “bastava assestare la spallata finale” (Lenin) per avviare il processo rivoluzionario.

Il marxismo derivato dal positivismo, era deterministico ovvero, concepiva la storia come processo unidirezionale, lineare, in una sola direzione, con un solo sbocco “evolutivo” finale, quello obbligato “biologicamente”, “necessario”, con il comunismo collocato alla fine di questo 'asse storico della civiltà occidentale.

Il motore primo della storia, l'attività “oggettiva” sarebbe dato dalle condizioni “materiali” di bio-sopravvivenza dell'umanità, e queste comprendono relativamente l’ambiente naturale geografico, lo sviluppo demografico, ma sopratutto dallo sviluppo delle forze produttive (che sono gli strumenti di produzione che gli uomini producono e li muovono, le esperienze e le abitudini di lavoro, i beni prodotti) che in certe fasi della storia entrano in conflitto con i sistemi di produzione ( questi sono l’ordinamento sociale che di volta in volta si susseguono nella storia: schiavismo, feudalismo, capitalismo ecc. quindi con relazioni produttive di schiavitù, artigianato, salariato)

L'accrescimento progressivo delle forze produttive, è ritenuto l'invariante storica; le controparti “sistemi di produzione” per stare al passo delle forze produttive devono necessariamente adeguarsi quindi cambiare, e lo fanno a salti, definendo le epoche storiche. E quando questo succede, cambia quindi anche la “sovrastruttura” giuridica, politica, culturale e l'organizzazione produttiva.

Questo processo logico è stato fatto per confermare il criterio illuminista applicato alle scienze umane, dove servono le delle “condizioni oggettive”, indipendenti dai soggetti, quindi “scientifiche”; e queste “condizioni” si trovano solo negli aspetti biologici cumulativi della natura umana: la sfera che muove l'uomo in automatico, indipendente dalle volontà soggettive.

Nel modello analitico del positivismo, il mondo è fatto di due sfere: di materia e spirito, oggettivo e soggettivo, quindi “non è la coscienza, che determina la vita ma la vita che determina la coscienza”, secondo il vecchio principio di contrapposizione natura e cultura (che ci viene dai greci).

La storia viene ancorata al destino evolutivo “oggettivo”, “progressivo”, “necessario”, non più dal fato, dai capricci umani, ma è dovuta al continuo e incessante “sviluppo delle forze produttive" come unica invariante storica.

E' una storia dell'umanità collocato dentro un destino teleologico, predefinito, un percorso obbligato. Qui non sono le vecchie “leggi divine” a fare girare il mondo, ma sono le “leggi della natura”; e in queste si legge la necessità storica, “oggettiva” dell'ascesa -come destino oggettivo- della classe operaia a nuova classe egemone. Il comunismo come stadio sociale è obbligato un traguardo conclusivo dove finisce la storia, le forze produttive trovano l'involucro dei sistemi di produzione giusta e quindi finisce la dialettica.

Il capitalismo, secondo questa interpretazione, è una tappa obbligata, “necessaria” per il “comunismo”. Questo “comunismo” (quello che divenne il socialismo reale) eredita dal capitalismo le sue strutture tecniche, linguistiche e socio-strumentali come l'economia, soggetto e Stato, l'apparato produttivo, l'apparato tecnico, culturale e scientifico, in pratica è il capitalismo senza i capitalisti.

Una economia programmata dalla “scienza” (considerata neutra). In pratica è il positivismo scientifico traslato nella pratica sociale: la via al “socialismo scientifico”.

La scienza sociale “naturalizzata”, non serviva a capire i tanti e possibili destini umani, ma era il destino immanente della società. (Va ricordato che spesso dietro la parola “scientifico” si nascondevano decisioni e progetti decisi da oligarchie con finalità molto aleatorie.).

L'ossessione di voler ancorare nelle analisi sociali il momento scientifico a fatti e oggetti “oggettivi” porta a fare della “natura” un oggetto metafisico. Il “naturale” dava il bollino di autorevolezza imperativa, non discutibile, non mediabile.

Nasce da questo il “giusnaturalismo”, la legge che pone le sue fondamenta le sue radici sulla “natura” umana, per questo “ontologicamente vere”.

Anche se gli studi della biologia ci dicono che neppure la natura è solo “natura”, ma è sopratutto cultura; perché le risposte “biologiche” di ognuno varia in base della storia di interazioni sia ambientali che sociali. E questo è valido sia per negli esseri cellulari complessi che per quelli semplici.

Se si colloca una cellula per conto suo, o in compagnia di simili di loro simili o con competitori, in un ambiente piuttosto che in altro, avrà risposte diverse. Come una scimmia o un leone nello zoo, avrà comportamenti totalmente diversi da quelli posti in una giungla o savana, avranno anche comportamenti diversi se sono isolati o in gruppo, in zone umide o secche, con esperienze di un tipo o di un altro.

Altra cosa è ancorare la nostra antropologia la nostra coscienza la nostra cultura attuale alle condizioni materiali, e questi condizioni sino l’economia! La coscienza sociale è determinata rispetta la collocazione nel flusso dell’economia.

L’economia pur essendo un rapporto sociale, è qualcosa di “materiale” e determina i destini di ognuno.

Ma l’economia è entrata al centro della socializzazione solo nella modernità.

La biologia non è tutto

Negli umani la natura si complica ulteriormente, c'è una seconda natura la cultura linguistica; Gli umani sono animali simbolici, comunicazione e memoria aggiuntive. Possono per esempio ridursi il cibo, sacrificarsi per fare un dono agli dei, o per costruire cattedrali, oppure per fare un matrimonio sontuoso per i figli. Tra gli aspetti primari non c'è solo la bieca ricerca del cibo, il regime di scarsità alimentare (che nella storia non è quasi mai esistito), ma spesso sono entrati in gioco altri fattori come il prestigio, l'appartenenza, la vergogna, la colpa ecc. La storia non è per niente lineare, gli imperi che controllavano le acque che facevano canali e dighe per agevolare l'agricoltura aumentare la produttività, sono crollate davanti a popoli arretrati dediti sull'allevamento, caccia e raccolta.

E ancora, molte civiltà sono passate per la formazione economico-sociale medioevale, ma nessuna sul pianeta è passata per l'umanesimo, l'illuminismo, il risorgimento e quindi approdate al capitalismo, tranne quella occidentale.

La storia non è lineare

Con le due guerre mondiali, è crollata la velleità emancipatrice progressiva dell'illuminismo, poco più avanti con il crollo di tutte le rivoluzioni proletarie, è franato anche il suo derivato: l'impalcatura del marxismo dottrinale leninista con il suo razionalismo rivoluzionario. Si sono azzerati tanti anni di sacrifici e speranze, nessun progresso proletario, anzi un regresso.

Un'altra interpretazione di Marx (in termini moderni potremmo dire “metodo sistemico”), ci dice che non bisogna confondere la possibilità con la necessità, che in tutte le realtà storiche non c'è un solo input e un solo output (il determinismo, conoscendo la prima causa se ne cosce la fine), ma ci sono molti input e molti output, la fine stessa del capitalismo non necessariamente porta al comunismo ma potrebbe condurre anche ad una regressione di civiltà.

Il comunismo (sempre che ci sia un solo modello) è una possibilità sociale, non una profezia né divina e neppure un fattore casualistico.


  1. 1 Nei popoli a tradizione prevalentemente orale, entrano in gioco in prevalenza fattori emotivi che li spingono ad eleggere un capo non un rappresentante, esempio la Russia i Paesi Arabi (e America latina ). Il meccanismo della democrazia per funzionare richiede anche altri fattori, come lo svincolo tribale, familistico o di altri ordini sociali, discorsi che qui non sviluppiamo.