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IL ROMANTICISMO: IL FETICISMO AL POTERE

L una dialettica dell'Illuminismo - romanticismo E invece la Trasformazione della Ragione a Uno Strumento al servizio del Mito, dell'alienazione e della Gerarchia” (Scuola di Francoforte) .

Come si è detto l'ideale è il volto filosofico del romanticismo.

Nell'idealismo la realtà storica è il testo letterale, nulla esiste fuori dal testo. Così per la Produzione di un testo letterario, l 'unica Realtà accessibile e s e Stesso o la biblioteca infinita DEGLI ALTRI testi: l una Realtà E solista Quella narrata Nei libri.

In Altre parole i l 'reale' (vero o falso Che sia) e la storia di Ventano ver i , non Perché rispondenti un grasso t i concreti, ma Perché racconta ti tante Volte dentro un distretto culturale omogeneo (dove si Usano medesimi sistemi di segni convenzionali e relativi i ) dove, per assuefazione o perché si v ogliono credere, o perché proviamo da una fonte autorevole, diventano infine la 'ver ità' raccontata ata, cioè un “contratto” tacito all'interno del gruppo ch e ne determinare i modelli cognitivi e comportamentali.

Immaginazione e immaginario si staccano dall'associazione con il reale; l'ideale, l'illusorio e il camino non vengono più considerati epifenomeni o ornamenti del reale, bensì come 'funzioni reali'.

I feticci dell'illuminismo ri mangono, ma si sposta il senso del flusso. Qui è l' io che determina la natura. La realtà esterna è un momento dell'attività del soggetto, il momento della sua negazione (Hegel).

Lo Stato egeliano

Lo Stato è la sintesi assoluta della razionalità dei singoli, che riconoscono in esso il luogo della piena realizzazione della libertà individuale. La libertà, infatti, è vera soltanto quando riuscirà ad essere “oggettiva”: e lo Stato garantisce l'oggettività della libertà. L'oggettività dello Stato nella relazione dialettica con gli altri Stati, all'interno della storia universale, proietta lo Spirito verso l'Assoluto ”. ( GWF Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto )

Uno Stato Leviatano, assoluto è racconto perché sintesi sociale e della ragione di un popolo, di una Nazione.

Il fatto che l'idealismo sia una schioppettata contro l'illuminismo classico che vede i diritti naturali delle persone preesistenti e prioritari rispetto a quelli dello Stato.

Alla libertà come 'diritto naturale', l'idealismo contrappone la libertà 'oggettiva' dei dati dall'appartenere a uno 'Stato etico'. In pratica si abroga il cittadino dell'illuminismo e lo si sostituisce al neosuddito che appartiene allo Stato. (Tesi in qualche modo ripresa da Lenin sulla democrazia.)

L'Idealismo è una critica sia allo Stato liberale che privilegia i singoli rispetto allo Stato (stile anglosassone), sia una critica allo Stato contrattualista (stile francese) - “che rappresenta un insulto all'autorità dello Stato”, considerando lo Stato esterno ea fianco dei cittadini e non sopra.

E di Contrafforte Al Vecchio “cosmopolitismo” di impronta liberale il romanticismo contrappongono I Muri e tigli degli Stati-Nazione.

Hegel considera lo Stato moderno il Dio in terra, il tutore, il padre di tutti i padri, così come il singolo padre lo è verso la moglie e i figli, ha priorità rispetto ai cittadini perché è la sintesi razionale della collettività.

Il ‘grande padre’, il padre come ‘principe’, ha gli stessi diritti del pater familias romano, i poteri dello ‘Stato etico’ spaziano dall’aspetto economico e politico a quello educativo e religioso, al pari del ‘piccolo padre’ dentro la famiglia-, richiede il sentimento dell’obbedienza verso l’autorità, verso i comandi che vengono dall’alto. L’attaccamento alla persona del padre, all’ordinamento politico, dà il senso dell’onore familiare e nazionale in egual misura. Queste sono le virtù del neo suddito di ogni Stato ordinato che segna la modernità.

Nell’idealismo hegeliano, lo Stato è l’ ethos delle masse, fonte delle libertà “vere”, perché l’unico luogo dove risiede la volontà della “ragione collettiva”, essa è superiore ai singole volontà particolari. Lo Stato hegeliano è al contempo la cristallizzazione della “coscienza in sé” collettiva, e il “per sé” che diventa universale. (Che si rafforza nell’idea di partito-Stato di Lenin.)

La stora ci racconta che lo Stato-Nazione hegeliano è il paradiso di ogni piccolo borghese!

La cultura feticistica del romanticismo

A sostegno dello Stato-nazione (sintesi e depositario della razionalità hegeliana) potente e invincibile, indispensabile per il compattamento interclassita, c’è la creazione del mito della “razza”, del “territorio” nella sacralità della “nazione”. A fronte del “popolo gregge”, c’è lesaltazione del super-io narcisista, nella figura dell’eroe, del condottiero, del dux unto dal signore: l’infallibile che guida nazione-impero. Perché sono qui i grandi uomini, i condottieri che fanno la storia e forgiano nazioni”. Con martellamento continuo di concetti idealisti sacralizzati come: “patria”, “suolo”, “sangue”, “abnegazione”, “sacrificio”,cameratismo”, ecc, che incidevano nell’etica, nei valori sociali e affettivi.

Al contempo il romanticismo è dilagato nella produzione delle arti, dalla musica, dall’arte figurativa, alla narrativa, della poesia; è diventato un’idea di società, della famiglia. Lo stile romantico, a seconda della professione, si orienta prevalentemente nell’esaltazione metafisica di categorie mentali quali:la ragione”, “lo spirito”, “l’ideale”, il trascendente”, “i sentimenti”, “l’inconscio”, il gesto eroico, la storia eroica, l’arte monumentale, l’arte impressionista, l’arte astratta e autoreferenziale e il racconto intimista sentimentale.

In altre parole nel romanticismo è il feticismo che che viene messo al centro della società. E’ il soggetto che riscrive la “realtà”, la determina, che discrimina tra ciò che è vero e ciò che è falso.

Ed è davvero singolare che anche la sinistra sia stata contagiata da questo morbo, una vera piaga dell’intelletto umano!

La sinistra che cavalca lo Stato-Nazione

Un’idea hegeliana di Stato-nazione come razionalità storica ha contagiato la gran parte della sinistra nei primi del 900. Forse ha origine nella sinistra tedesca kauskiana e per riflesso si è riverberata in quella russa, per diventare poi uno standard per tutti i partiti comunisti. Propugnavano la conquista dello Stato-nazione, mantenere intatta la sua natura autoritaria, come scorciatoia per raggiungere il comunismo reale attraverso le tappe forzate dei piani quinquennali.

Dimentichi che con il “superamento dello stato presente di cose”, Marx presuppone di pensare al comunismo come nuova antropologia, come superamento sia dell’illuminismo e sopratutto della sua deriva romanticista e idealista.

 

ROMANTICISMO ED ECONOMIA

Il romanticismo fin quasi alla fine 800 era una nicchia circoscritta all’ambito culturale. Nel primo 900 divenne ideologia della borghesia degli “imperiali centrali”.

Borghesia e proletariato, al loro sorgere erano gli unici attori sociali emergenti. A fine 800 e primi 900 la società diventa più complessa e sfumata; ceti intellettuali, impiegati, aristocrazia operaia, artigiani (piccola borghesia) sono le nuove figure che vanno a formare la “terra di mezzo” tra borghesia e proletariato.

Il fattore importante per la “conquista della prateria”, da parte del romanticismo, assurto a religione di Stato, è stato appunto l’espandersi della “terra di mezzo”, ossia, a fianco del clero e dei nobili spodestati dalla borghesia, si assiste all’espansione di figure sociali che un tempo facevano parte della parte alta del “terzo stato”, ma che ora si arricchiscono sulla scia della borghesia: è il trionfo della piccola borghesia!

Commercianti, intellettuali, artigiani, burocrazia di Stato, professori, artisti, mass-media, impiegati che in qualche modo si collocano nelle carrozze al traino della ricchezza, del “cavallo a vapore” della borghesia.

Un nuovo ceto che raggruppa i precedenti e si distingue per avere uno medesimo stile di vita, stesse idee di sé, del “prestigio” e dell’onore, con gli stessi modi di vita, gli stessi ritrovi ecc.

La seconda rivoluzione industriale

I nuovi mezzi di produzione, il metodo scientifico applicato alla produzione, l’accresciuto valore del capitale fisso richiesto richiedeva un continuo rastrellamento di credito. Manodopera qualificata protezione nei mercati e nell’approvigionamento delle materie prime.

Cosa c’è di meglio di uno Stato-nazione? Ma non solo, esso protegge capitale originario, rastrella denaro attraverso le banche centralizate, procaccia loro appalti, crea le infrastrutture -sia nei luoghi di produzione che nelle colonie-, agevola l’accesso alle materie prime e la vendita di merci in patria e all’estero, difende i mercati, attraverso il meccanismo del debito pubblico crea nuovi schiavi e rastrella risorse per l’industria. E non ultimo lo Stato è un’ottima macchina di controllo sociale e del salario, il capitale variabile del capitalista.

In altre parole lo Stato-Nazione amplifica e consolida la “rivoluzione industriale” in corso che gravita intorno all’industria pesante (acciaierie, potenti motori, treni, ferrovie, corazzate, ecc) investimenti che richiedono stabilità sociali ai capitalisti.

Se l’illuminismo è stato la fucina che ha permesso al capitalismo di sorgere e affermarsi, e il susseguente idealismo è stato il suo normale sviluppo.

Il romanticismo va alla guerra

Le organizzazioni operaie del primo novecento europeo che si rifacevano a Marx, erano tutte guidate da intellettuali ‘importati’, molto inclini alle influenze idealiste, internazionalisti a parole sciovinisti nei fatti che non mettono mai in discussione lo Stato-Nazione ancorché imperialista.

La melma romanticista che cavalcava il cesarismo, la gerarchia, la disciplina, il populismo, il nazionalismo patriottico, e un darwinismo distorto, rappresentava la cultura interclassista del tempo.

In comune tra sinistra e destra, c’era la piccola borghesia il portatore sano di questa cultura appiccicosa. Le pattuglie di intellettuali romantici sempreorganici” ora alla borghesia ora al proletariato, si ritrovarono nell’esaltazione della Nazione, armamentario di consenso sociale con cui gli imperi si daranno guerra tra loro, ma a morire furono i proletari lasciati soli in mano ai carnefici.

IL 900: UN SECOLO PERSO

Il diffondersi del romanticismo che ha governato tutta l’intellettualità del 900 ne ha fatto un secolo a somma zero. Rivoluzioni, rivolte e contro rivoluzioni e restaurazioni sono state come una giostra ha portato l’umanità allo stesso punto in cui si era partiti. Capitalismo, maschilismo, guerre imperialiste, miseria dentro la ricchezza sfrenata, sono sempre lì come un secolo fa.

Lontano è il tempo in cui al vecchio cosmopolitismo illuminista Marx contrapponeva l’internazionalismo del proletario: “proletari di tutto il mondo unitevi”!

Il 900 è il secolo dei particolari, delle frontiere, delle contrapposizioni tra proletari dei differenti Stati e tra loro i queeli coloniali. I capitalisti e i comunisti/socialisti rivoluzionari si sono fronteggiati per tutto il secolo dentro l’orizzonte sociale del romanticismo capitalista.

Lo Stato-nazione, i ‘sacri confini’, i suoi miti storici, i grandi condottieri e patrioti, la bandiere, il popolo, ecc, ecc. Ovvero tutti gli oggetti totemici del romanticismo e la medesima narrazione (i meta-frame) hanno trovato accomunati sia Stati e organizzazioni borghesi che di sinistra. Gli elementi emotivi; il gesto eroico, il capro espiatorio, il vittimismo, la melanconia, la narrazione commovente, l’esaltazione del privato, la mitizzazione dei condottieri, l’apparire, lo spettacolo, (oltre tutti i feticci economici) sono i frame, gli schemi concettuali, che hanno accomunato capitale e lavoro non emancipato, tenendoli dentro un medesimo ordine.

Una sinistra ignorante non fa caso al fatto che i feticci sono armi metafisiche a doppio taglio, e non sono affatto neutre! La storia della sinistra ‘anticapitalista’ del 900 purtroppo era segnata più dal conflitto con alcuni capitalisti che verso il capitalismo e il feticismo economico. (Lenin, e in parte Lukács1 ne sono gli esempi storici più significativi).

La cultura feticistica degli Stati-nazione fece tombola con l’avvento in occidente del consumismo, il way of life, e il “prima il benessere a casa mia”, che ha portato l’Occidente, 1/5 della popolazione mondiale, a consumare 4/5 delle risorse del pianeta, senza che la sinistra muovesse un’unghia.

U’assurdità che si è prolungata per tutto il secolo!

Nel post-moderno

L’affermarsi del mercato finanziario transnazionale che manovra capitali virtuali che sono 10 volte quelli cartacei, conferma la potenza della soggettività sul reale. La fascinazione della ricchezza svincolata da ogni ricchezza concreta, finisce solo per rappresentare la potenza, il potere di chi la può imporre come vera.

Il denaro svincolato da ogni rimando segnico (rappresentava oro nei forzieri) ad un valore concreto, diventa solo un’icona che rimanda a se stessa, un feticcio a tutto tondo.

Questa tendenza sembra rimandare alla funzione del capitalismo puro, svincolato o indifferente alla produzione di merci, pur di arrivare ad incrementare il numero di icone: un numero su un foglio che esprime valori senz’anima.

Questo romanticismo iconico che ha avvoltro come una coltre tutta la società, è diventato la grammatica dei “valori” sociali, il nuovo dizionario che trova nella pubblicità il più grande esempio, non si vende un bene come utilità e la finitezza di un prodotto, ma l’idea del bene, la narrazione fatta sul prodotto stesso.

IL NEO ROMANTICISMO ‘ANTICAPITALISTA’

Il neo capitalismo

Il capitalismo invecchia, diventa sempre più impopolare, dimostra la propria “cattiveria” e inadeguatezza a mantenere alto il tenore di vita e la gente si impoverisce.

La nuova veste del capitalismo contemporaneo che ha cancellato le vecchie certezze di benessere progressivo, la globalizzazione, la finanza la moneta, le banche, lo Stato ‘sottile’ la crisi per bolle finanziarie, ecc. che hanno prodotto l’incremento dell’instabilità esistenziale, sia localmente che sul piano planetario: guerre, terrorismo, paure, squilibri sociali ed economici, problemi ambientali, ecc. Gli attuali neoromantici chiamano tutto questo ‘capitalismo (ordo)liberista’, e ‘filosofia liberista’, alludendo in questo modo all’esistenza di un capitalismo cattivo che caccia quello buono.

Con il neoromanticismo siamo di nuovo di fronte ad un nuovo inquinamento dei pozzi, ad “avvelenamento demagogico” (Lukács) che porta allo scivolamento verso un’era di nuovo fascismo senza camice nere ma che avrà i nostri occhi e le nostre gambe, un fascismo strutturale, senza per questo diventare necessariamente un partito, perché attraverserà tutta la politica di maggioranza e opposizione.

Gli eredi idealisti di sinistra.

A parte gli attuali 900centisti idealisti d’antan per cui tutto è immutabile e sognano ancora la presa del palazzo d’inverno per cambiare il lato politico del capitalismo, di recente sono venuti fuori altri neoromanticisti.

Una parte vuole correggere le forme “deviate” del capitalismo, con attacchi “feroci” al capitale finanziario. Oppure un’altra parte rovolge critiche alla tecnologia o altri aspetti particolari del capitalismo: consumismo, inquinamento, sperequazioni, ecc. Come se fosse possibile mitigare il capitalismo, togliergli i brutti estetismi per renderlo accettabile.

E in questo quadro abbastanza desolante, escono fuori colature delle teorie marxiste, utili solo ad imbellettare la natura capitalista ed economica della società. Questi neoromantici fanno discorsi più disparati, chi vuole mettere le briglie al capitalismo attraverso la politica e lo Stato, chi attraverso le moltitudini, chi con la moneta sovrana, chi attraverso la redistribuzione della miseria, o con obbiettivi di distrazione di massa come “più diritti”, e chi prende dei singoli aspetti del capitalismo e li rende assoluti. Ad esempio la disoccupazione, il consumismo, la tecnica, la sovranità, la democrazia, i diritti, la corruzione, ecc. e ne fanno un totem o un capro espiatorio dei mali del mondo.

Tutti costoro si possono definire anticapitalisti estetici, un’ideologia che spinge a sottrarsi individualmente o per piccoli gruppi, o per corporazione alla realtà, oppure a mettere in piedi vertenze per ritornare ad un improbabile “passato felice”. Il frame dell’aspetto salvifico “risolutivo” è sempre individuale o facendo leva su ceti particolari (concessionari, partite IVA, addetti allla sicurezza, singoli posti di lavoro da salvare, ecc.) e si lascia sullo sfondo tutta la realtà collettiva.

Una pattuglia di intellettuali di sinistra che in seguito alle sconfitte e alla frantumazione di ogni ipotesi di uscita dal capitalismo messo in atto nel passato, si è posizionata sul narcisismo spettacolare, come postura del corpo (nei più spinti il corpo è orientato ad un anticapitalismo estetico “estremo”).

A tutti questi questi romantici, tutto sommato il capitalismo piace, basterebbe aggiustarlo un po’, operare sull’estetica, appunto! Si addebitano le colpe delle crisi (ai brutti estetismi) alla finanza o alla moneta, alla politica, alla tecnica, al consumismo, al governo, alla Europa, agli imperi, ecc. ognuno trova un proprio capro espiatorio su cui scaricare tutte le responsabilità della crisi.

Crisi che è di accumulazione, di “profitto marginale” di capitalismo strutturalmente decadente, non per cattiveria o per incapacità.

[Per fare auto elettriche che in teoria inquinano meno e trarne profitto, i costruttori devono concentrarsi internazionalmente, devono investire in automazione, serve il materiale per le batterie (che sono in paesi stranieri), devono fare economia di scala, e vendere le auto in tutto il mondo.
Questo porta a manifatture senza “mani” senza operai (vedi la fabbrica di motori elettrici di auto in Polonia dell’Audi). Il tempo delle città-fabbrica scandita al suono delle sirene dei turni nella fabbrica auto, con l’esercito di proletari che cambiavano tuno; i polmoni della metropoli che respirava a rirmo della catena di montaggio.. E’ finito! Oggi 500 operai fanno il lavoro che 50 anni facevano in 160.000 mila. ]

La crisi economica ed ecologica del pianeta è la conseguenza dell’elevata capacità produttiva di merci raggiunta, come mai nella storia, merci che devono passare dalla cruna dell’ago della loro valorizzazione per trasformarsi in denaro. Se non sopraggiungono strategie per abolire questo stato di cose, non si avrà nessun cambiamento e l’arma delle crisi e dei conflitti mondiali sarà sempre carica.

1 Lukács, quando era illuminista-materialista classifica va come “ rivoluzionari romanticimolti critici del capitalismo, “ anticapitalisti-romantic idella società borghese, alcuni dei quali diventarono precursori del fascismo, per poi assolverli e ricondannarli un'altra volta. Come altrettanto altalenante fu il suo giudizio su Stalin.