TWILIGHT ZONE*

(la terza via al comunismo)

Potranno tagliare tutti i fiori ma non fermeranno mai la primavera.” (Pablo Neruda)

I precursori

Vae victis!, “Guai ai vinti!” disse Brenno ai Romani sconfitti: la storia è sempre stata scritta dai vincitori. Questa ineluttabile verità consegna al vincitore il diritto-privilegio di riscrivere le ragioni delle guerre e di considerare sempre e comunque le sue come “guerre giuste” le sue e come“guerre sbagliate”  quelle dei perdenti.


 

E tali saranno nella cultura dei vincitori almeno fino a che un diverso vincitore dimostrerà il contrario o quando il tempo avrà privato quella guerra dell’attualità delle passioni, iniziando a restituire poco a poco i brandelli di verità provata.

Nonostante i molti anni trascorsi dagli anni '70, a quanto pare in questo non si è ancora fuori del guado, non si riesce a fare storia di quegli anni, nonostante sia palese la micragnosità dei “vincitori”, quelli che con una mano ci additavano come terroristi e con l'altra, al contempo, affondavano (ormai impuniti) nelle casse del denaro pubblico.

Le narrazioni di quegli anni fino ad ora sostanzialmente si dividono in tre categorie: quelle di regime, fatte non solo nei processi, ma dai sistemi ancillari, giornalisti, registi, storici di regime e brigatisti diventati “embedded”, dettati sotto “copertura” del sistema; poi ci sono quelle degli avventizi, free lance, alla ricerca di scoop e complotti, e qui si ha a che fare con un mare magnum tra psicotici ed “ex”, qualcosa alla ricerca di visibilità (ex ... magistrati, poliziotti, tuttologi, ecc.); e infine quelle dei protagonisti, alcuni dei quali cercano di fare per lo più autobiografia, memorie, o racconti più understatement, sotto traccia.

In questo libro si vorrebbe invece fare più un racconto storico, economico, politico e filosofico, di quell'esperienza. Non riprodurre testimonianze, ma inquadrare il fenomeno storico generazionale. Quindi si parla non solo delle Brigate Rosse, ma della lotta armata in generale. Si fa il tentativo di aggiungere un'altra perla nella lunga collana storica dei proletari senza rivoluzione2, l’ideale di rivoluzione che ha attraversato l'Italia dal 1800 agli anni ‘70. Perché un pezzo importantissimo della storia politica della sinistra, con le giuste aspirazioni del proletariato si è svolta in quegli anni.  Parliamo di quella sinistra che non facendo parte del “blocco politico” istituzionalizzato andato al potere (Partito Comunista Italiano) non ha mai avuto “cittadinanza” nè rappresentanza, tuttavia era molto attiva e presente sia nelle fabbriche che nelle piazze e nell'agone politico della sinistra che per più di un decennio in varie occasioni è stata l'opposizione che sconfinava nella guerra civile.

Contrariamente a quanto pensano alcuni protagonisti del tempo, non bastano le azioni a parlare per sé, ma queste, come tutte le esperienze umane, se non rielaborate attraverso il pensiero narrativo non producono conoscenza funzionale, patrimonio del senso comune del proletariato, ma rimangono, invece, accadimenti ed eventi opachi, assolutamente non comprensibili, avulsi dall'immaginario, dalla memoria delle nuove generazioni.

E questo è successo. E per due motivi, sia perché si è sempre e comunque "parlati" dal potere padrone dei media (con film, libri, TV), sia perché gran parte dei protagonisti sono intimiditi al silenzio o mancano di coscienza critica dell’importanza della lotta nell’immaginario collettivo e dentro il “senso comune” di cui parlava Gramsci.

Per questo i fatti di allora non sono intellegibili alle nuove generazioni sia perché si è interrotto il continuum di lotta, sia perché non c’è stato un passaggio di testimone generazionale.

Di tutta l'intensa storia del decennio rosso degli anni 70, quei fatti non hanno posto nelle menti delle nuove generazioni, non sono collocabili dentro uno spazio e un tempo definiti, non hanno causalità, proprio perché sono dentro un deserto di narrazione raffazzonata e contorta. Nonostante i tanti libri di racconti individuali, quella poca causalità resiste solo in una nicchia di pochi intimi.

Non c'è niente che renda memoria, che dia un senso alla storia collettiva, la storia di una generazione sacrificata e imprigionata dal riformismo per dare corso al precariato operaio, all'evaporazione dei diritti sul lavoro, per favorire le mangiatoie delle fondazioni bancarie, le cooperative emiliane e le grandi opere.

Nel silenzio, gli avvenimenti impetuosi di quel periodo risultano, nella descrizione dei vincitori, eventi individuali, di un pugno di delinquenti senza relazioni che facevano azioni prive di senso e di qualsivoglia significato sul piano politico, culturale, personale, sociale e per questo sono inevitabilmente destinate all'oblio.

Costruire dispositivi narrativi e di ricerca è particolarmente importante. Dispositivi che vadano oltre le autobiografie e le memorie enciclopediche che interpretano la storia solo come sequenza di fatti cumulativi, appunto, da enciclopedia.

S'intende quindi, con questo libro, realizzare processi di ricostruzione di memorie allo scopo sia di collocare storicamente un'importante storia proletaria, sia per identificarne i limiti, aprire un dibattito più riflessivo sul passato e sulle rispettive storie di molti, delle rispettive, non per fare un diario dei reduci, ma perché capire il passato aiuta a collocare compiutamente il presente e forse sognare meglio una nuova alternativa al capitalismo. Conoscere il passato per capire il presente è un passo fondamentale per tracciare un futuro possibile.

Vista l'estrema polverizzazione della sinistra, la totale assenza di proposte al suo interno, la completa confusione tra obiettivi liberal-borghesi, assistenziali, caritatevoli e neo-risorgimentali rispetto a quelli comunisti; visto inltre l'attestarsi su vecchi schemi ideologici proto-lenisti, e neo-romanticisti, o peggio, l'attestarsi sulle vecchie archeologie industriali delle politiche neo-socialdemocratiche (politiche keynesiane), a tutte questi minestre riscaldate possiamo dire che, come il passato insegna, queste sono solamente tanti “esercizi ginnici” inutili, tipici di chi non ha memoria e senso storico.

Quindi vediamo di rimediare provando a mettere un pò di luce, nel passato che a volte non passa.

Come si uccide una rivoluzione

Che si sia favorevoli o avversari di un moto popolare del passato, che si sia degli storici od opinionisti, i procedimenti del suo annientamento è identico: prima la si svuota e poi la si cancella.

Prima si riducono le rivoluzioni al solo momento particolare, senza un prima nè un dopo, senza contorno e circostanza, senza cause ed effetti. Poi si fa agire un solo personaggio, spesso mitizzato, o un piccolo gruppo. Si scrivono libri che narrano i momenti intimi e romantici dei personaggi e/o  obliterando tutto il resto.

Se si è a favore dei moti si fa epica, i personaggi sono pervasi da ideali utopici, se si è contrari i personaggi sono pervasi da manie di grandezza o follie edipiche.

Comunque, si collocano i fatti in punti discontinui imbastiti intorno quei personaggi, ma totalmente scollegati dal contesto. Si narrano trame della vicenda totalmente a-storiche, senza mai collocare i protagonisti nel loro spazio tempo e come portato sociale.

Non si analizza il prima e il dopo, non si guarda l’insieme delle persone nè le situazioni di classe con le loro evoluzioni, il tutto si riduce sempre e solamente alla cronaca di un gruppo o di un solo uomo in un solo momento.

Non collocando mai le rivolte e rivoluzioni nel loro momento storico, succede che i favorevoli continuano a credere che quelle esperienze si possano ripetere in eterno e lavorano per riprodurle come se le condizioni fossero eternamente immutabili, mentre i contrari le travisano allo scopo di deprecarne la violenza e la follia.

Che si parli del risorgimento, della rivoluzione di ottobre, della resistenza, del ‘68 e del ‘77, di Moro, ecc. il metodo che si ricalca è sempre lo stesso. Le rivoluzioni russe? Una sola, quella di Lenin! La lotta armata degli anni ‘70? Una sola, quella di Moro e Moretti!

E sottolineiamo che per i perbenisti le rivolte buone erano soltanto le penultime, mai le ultime.

In sostanza, questo è il metodo per togliere il contenuto eversivo alle guerre civili di ogni genere e intensità, con il fine di svuotarle, depotenziarne la carica eversiva, riducendole a macchietta. In questo modo si cancella il passato sconveniente e le si trasforma in icone inutili.

Come risultato abbiamo narrazioni delle rivoluzioni che sono immagini catechistiche, ripetitive, immutabili, povere e soprattutto metastoriche, prive di ogni utilità nel presente.

Che i racconti siano fatti dalla destra o che ne parli la sinistra “rivoluzionaria”, contro o a favore, s'inverte il risultato ma il metodo è sempre lo stesso.

Si ammazzano le rivoluzioni per gridare viva le rivoluzioni.

 

IL TEATRO INTERNAZIONALE

Per quarantacinque anni la guerra fredda è stata il fattore dominante nelle politiche mondiali. Ha condizionato le politiche estere degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. (…) Pochi paesi sono sfuggiti alla sua influenza. Poiché le caratteristiche distintive dell’età della guerra fredda prendono forma negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, esaminare le sue origini è fondamentale per comprendere la storia internazionale dell’ultima metà del ventesimo secolo” (Painter e Leffler, Origins of the Cold War)

L'imperialismo USA e quello inglese usciti dalla II guerra mondiale non andavano molto per il sottile in riguardo all'anticomunismo.

#L'ANTI COMUNISMO USA#1

Essi vedevano l'Italia uscita dalla resistenza con i partigiani comunisti in armi e minacciosi come un serio pericolo per l’occidente. Per USA e Inglesi, l’imperativo era impedire assolutamente che l’Italia cadesse nella sfera dell'URSS mettendo in atto diversi sistemi di contrasto sia militari che civili, sia sul lato culturale che sul lato militare e sociale.

Da parte di USA e Inghilterra ci fu un'operazione di riciclaggio in funzione anticomunista degli apparati del regime fascista in quelli repubblicani, si reclutava tra vecchi fascistoni anticomunisti riciclati come tra le massonerie più o meno parallele. Grazie ai numerosi insabbiamenti in fatto di crimini di guerra fascisti e non ultimo l'amnistia di Togliatti che diede cittadinanza, dignità e autorevolezza a tutta la classe dirigente fascista nelle istituzioni e fuori.

Di fronte al pericolo rosso in Italia (PCI che guadagnava consensi e il '68 che esplodeva), una parte della Nato e i servizi USA in collusione con quelli (fascisti) Italiani provarono a più riprese di forzare la mano e puntarono sui colpi di Stato. Tutti diversi tentativi (il più famoso fu il Piano Solo) erano basati sul modello “Condor” di Kissinger2).

Appoggiandosi su pezzi dell'esercito Italiano, dei Carabinieri di De Lorenzo e su molti membri del vecchio apparato fascista precedente (lo Stato Fascista ereditato dalla resistenza non fu mai smantellato), quelle cellule di “resistenti” che dovevano essere la retrovia di resistenza in caso di invasione sovietica [in realtà civili arruolati dalla NATO per servizi paramilitari clandestini ("stay-behind” e “Gladio-Duca") ] diedero inizio agli attentati che dovevano giustificare il golpe (in uno di questi tentativi un gruppo di forestali occupò la Rai di Roma).

Il KGB avvisò i quadri e sindacalisti del PCI di questi tentativi di golpe e in quelle notti nessuno dormì in casa.

Francesco Cossiga durante il periodo in cui era sottosegretario alla difesa, aveva la delega alla sovrintendenza di Gladio e forse nr è stato uno dei fondatori, affermò molti anni dopo che “i padri di Gladio sono stati: Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del Sifar...”.

In una relazione del Comitato Parlamentare sui servizi segreti del 1995 si legge che: “In base a quanto risulta dalle indagini giudiziaria è fuor di dubbio che in epoca precedente alla creazione di Gladio sia esistita un'altra organizzazione denominata "Duca", con le stesse finalità e struttura analoga, di cui sappiamo ben poco e che dovrebbe essere stata sciolta intorno al gennaio 1995 (ma in vari documenti acquisiti dall'Autorità giudiziaria si parla di organizzazione "Duca – Gladio").” (http://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_Gladio).

Der Spiegel di recente ha rivelato i contenuti di documenti desecretati sulla Germania Ovest. Questi confermano che anche il corrispettivo tedesco di Moro-Tambroni, – il “padre” della Germania postbellica, il democristiano tedesco Konrad Adenauer – era perfettamente a conoscenza che anche lì era in atto l'arruolamento dei nazisti da parte dei servizi di sicurezza statunitensi. Dai documenti emerge che i nazisti erano stati incorporati in un'organizzazione clandestina sullo stile della Gladio. Si trattava di circa 2.000 combattenti veterani della Wehrmacht e delle SS naziste in grado di mobilitarne altri 20mila in caso d'invasione sovietica o dell'improbabile attacco da parte della Repubblica Democratica Tedesca. Tra di essi vi erano anche figure di spicco sul piano istituzionale come il generale tedesco della Nato Hans Spiedel o l’ispettore generale del Ministero degli Interni Anton Grasser. Ma il capofila dell’organizzazione era addirittura il fondatore della Bundeswher, cioè le forze armate tedesche del dopoguerra, Albert Schnez.

Una continuità impressionante tra gli apparati militari nazisti e quelli “democratici” del dopoguerra.

Strutture simili a Gladio furono realizzate dalla Nato in tutti i paesi europei.

Gli americani e gli inglesi consideravano l'Italia un loro protettorato (a livello globale erano gli USA con le loro basi militari in Italia che dettavano le regole) e cercarono più volte di forzare la mano al quadro politico istituzionale in molti modi, dall'appoggio alla DC nelle campagna elettorali all'uso della mafia (portella della ginestra) alle smanie golpiste, sorrette anche dal successo del colpo di Stato in Grecia da parte dei colonnelli.

#IL SISTEMA DEGLI IMPERI#

Il keynesismo militare

Teniamo presente che la politica industriale degli USA si è basata sempre sul “sistema del Pentagono” (Keynesismo militare).

Lo Stato USA sovvenzionava cospicuamente il settore ad alta tecnologia e gli garantiva un mercato, ovviando alle carenze degli investimenti dei privati. Quando gli investimenti dello Stato producevano qualcosa di commerciabile, lo sfruttamento dei brevetti era sempre offerto ai privati.

Quando poi era necessario il sostegno del governo, si ricorreva al “capro espiatorio”, si “creava” fittiziamente una minaccia all'esistenza dell'America: la guerra coreana nel 1950, “l'inferiorità missilistica” nei confronti dell'URSS negli anni di Kennedy, la conquista dello spazio, l'imminente invasione del mondo da parte di Mosca, la “finestra di vulnerabilità” missilistica, l’emergenza petrolifera per sostenere il tenore di vita americano dove tra gli ultimi anni di Carter e anche successivamente con l'amministrazione Reagan Senior, che puntarono a controllare tutte le fonti energetiche per agevolare gli approvigionamenti di petrolio a basso prezzo per sostenere la loro way of life americana. Reagan Junior invase l'Iraq in totale malafede.

Il massiccio intervento dello Stato USA nell'economia gli diede un grande vantaggio rispetto all'URSS nei settori tecnologicamente avanzati. Il pericolo sovietico e comunista serviva agli USA “come un pilastro importante dell'economia”. All'indomani della Seconda guerra mondiale ci furono spese militari tali da consentire l'uscita dalla recessione e, come sostengono molti economisti, “non c'è mai stato un momento come quello attuale in cui un aumento della spesa militare avrebbe potuto significare di più per l'economia del paese”.

Molti economisti sostengono che il fattore principale alla base della recessione sotto l'amministrazione Bush sia stato proprio il taglio alle commesse militari - si tratta di ordini presso industrie che non solo hanno costituito un settore vitale della produzione di merci e servizi ma, con un importante effetto moltiplicatore, hanno creato posti di lavoro nelle società che producono beni di consumo destinati ai lavoratori relativamente ben pagati delle stesse industrie (belliche, N.d.C.) così redditizie grazie al sussidio dei contribuenti. “L'impatto è maggiore di quello che si ricava dalle cifre”, fa notare l'economista conservatore Herbert Stein dell'American Enterprise Institute. “La brusca dissoluzione dell'Unione Sovietica ha minato quel dispositivo che ha consentito lo sviluppo dell'economia dopo la Seconda guerra mondiale”, scriveva il corrispondente economico del “Times” Louis Uchitelle; le “importanti aziende militari” quali la “General Electric” si trovarono nei guai, come anche il settore dell'industria ad alta tecnologia. (Uchitelle, New York Times, p. A1, 12 agosto 1992. Archiviochomsky/501_4_4.html)

Questa mancanza di nemici mandava a picco la bilancia dei pagamenti americani, i quali con vari espedienti cercarono di riversare il loro debito sugli alleati. (nota: Si tessono le lodi del libero mercato americano quando questo si nutre e si espande solo ed esclusivamente attingendo alla mangiatoia dello Stato.)

Da Bretton Wood alla crisi petrolifera di quei tempi, è il Keynesismo militare che si riproponeva sempre in forme diverse3come per il Vietnam e le aggressioni ai governi socialisti nel mondo.

#KEYNESISMO MILITARE#

 

 

IL QUADRO GENERALE ITALIANO ANTE '68

Il quadro internazionale non lasciava molte scelte. C'erano i due imperi, con i rispettivi sistemi di Stati satelliti con partiti ancillari; vi era la totale dipendenza dei nostri partiti in parlamento (DC-PCI) dai rispettivi imperi, di riferimento. E questo avveniva senza infingimenti, sapendo benissimo che in questo modo la nostra era una democrazia a sovranità limitata, anzi molto limitata.

Tra DC e PCI c'erano i partiti socialisti e socialdemocratici (molto più forti all'estero) che puntavano a mettersi come “via di mezzo”, partiti con la pretesa di attenuare o controllare il capitalismo selvaggio, per “il capitalismo che vogliamo”, in realtà erano solo quella versione soporifera dell'impero occidentale che puntava a conciliare il capitalismo con l’operaismo.

Industria 2.0

Il settore industriale produttivo del tempo era la giga-industria, come istituzione totale, gli “asilums4, basati sul sistema autosufficiente del convento, tuttavia organizzato con modo scientifico (Ford-Taylor5). Con vertici aziendali molto personali, come delle nuove monarchie nel privato e delle “signorie”, i “boiardi” di Stato nelle imprese pubbliche, alla base della piramide c’era l'operaio massa6 .

Dal punto di vista della valorizzazione del capitale, per esempio, la Fiat produceva al suo interno dal bullone al carburatore al motore, e giù giù fino alla rete vendita e assistenza, con le rispettive (banche) assicurazione e finanziarie per acquisto auto.

Era l'epoca della fabbrica totale, mega-fabbriche che monopolizzavano non solo la vita dentro la fabbrica ma l’intera città di residenza. A Torino non solo c'era solo il lavoratore Fiat (nelle punte massime alla sola Mirafiori c'erano 160.000 mila dipendenti)7 con la sua fabbrica, il lavoro alla catena di montaggio con la sua bella tuta Fiat, ma intorno agli operai e impiegati c’era il villaggio totale: case Fiat, sindacati Fiat, dopolavoro Fiat, ferie Fiat, medici Fiat, asili Fiat, figli Fiat (futuri operai Fiat), scuole Fiat, supermercati Fiat, giornali Fiat, squadre di calcio Fiat, riviste Fiat, Carabinieri Fiat, Magistratura Fiat, Sindaco Fiat, viabilità Fiat, Municipio Fiat, Confindustria Fiat, lobby di partito Fiat, e anche “opposizione” Fiat! Per non parlare delle autostrade fatte per la FIAT, ferrovie e porti per la Fiat ecc. ecc.

L'architettura della città rifletteva sia gli interessi sia lo schema piramidale targato Fiat (a Torino la direzione Fiat rimpiazza la monarchia sabauda sia nel potere che nei palazzi) che sono dislocati geograficamente nella città come gli antichi feudi; al centro i padroni, nella cerchia8 poco più esterna i dirigenti e impiegati di concetto, quindi la cintura di caserme, intorno gli operai professionali di “primo corso” e più lontano, verso le periferie la plebe degli immigrati.

Ognuno di questi cerchi aveva assunto storicamente un suo modo di vestire e un suo linguaggio, un suo lessico, con negozi, ritrovi per il tempo libero propri; tra loro non vi erano vasi comunicanti ma si tramandava di padre in figlio la mansione.

Dentro ogni sua subculturaagivano modelli cognitivi differenti che si polarizzavano socialmente in base alla vicinanza con il potere (un discorso a sé andrebbe fatto con i quartieri della “mala”).

Qualcosa di simile esisteva anchenelle città più piccole con le sopraggiunte monoculture industriali (rubinetti, scarponi, calze, pistole, fisarmoniche, piastrelle, posate, salotti, occhiali, ecc.) dove la nuova borghesia scalzò o si sovrappose alla vecchia nobiltà.

Nei quartieri operai appena formati, soprattutto nelle periferie delle città più grandi, queste culture rendono più forte l'omogeneità ma al contempo anche l'isolamento se sono in coincidenza di cospicui gruppi etnici diversi, allora l'isolamento tende a trasformarsi in una condizione di separatezza (v. Gans, 1962; v. Shostak e Gomberg, 1964; v. Kornblum, 1974).9 (Le ondate migratorie storicamente si sono cumulate anche negli edifici della periferia che man a mano che si espandeva, prima i “campagnoli” dell'entroterra, poi i veneti del Polesine e infine i meridionali).

Sono le famose classiche “periferie” (Tor Bella Monica, ecc. a Roma, Le Vallette  a Torino o la "Barriera di Milano" e la sua Cintura ) cioè tutte le appendici satelliti, le città dormitorio, “libere”, senza Stato o servizi, collegate al centro da un budello di strada facilmente controllabile. Al tempo bastava il nome della via sulla carta d'identità per essere catalogati e connotati socialmente.

La fine della fabbrica totale

Il '68 è esploso in questa società “asylums”, ingessata sulla democrazia delle ferriere, divise in caste. E bisogna sottolineare anche un altro aspetto specifico che ha culturalmente l'Italia: al Nord industrializzata con i piedi che affondavano nello Stato fascista (e sabaudo nel caso di Torino), e al Sud con la chiesa della controriforma che voleva conciliare il capitalismo con il feudalesimo.

Lo Stato (magistratura, carabinieri, scuola, sanità) che la Resistenza e il PCI di Togliatti, hanno scientemente e silenziosamente lasciato intatto dopo la liberazione. Uno Stato stracolmo di fascisti e anticomunisti che avevano fatto giuramento di fedeltà a Mussolini. Furono inoltre anche restituite le proprietà anche a chi aveva finanziato il fascismo: industria, banche, latifondisti e finanza.

E questa scelta fu pagata molto duramente dal proletariato; a parte le prostrazioni quotidiane, la fame nelle campagne, l'emigrazione di massa selvaggia (con le valige di cartone), ci anche furono anche Portella della Ginesta, Modena, Reggio Emilia, Avola, Piazza Fontana, Brescia, ecc. ecc.. tutte a segnare il tipo di Stato: il comando con cui si aveva a che fare.

Era uno Stato del fascio delle corporazioni dove i dirigenti erano i vecchi gerarchi fascisti, messi lì dal precedente regime, essi governavano indisturbati nell'esercito, in magistratura, negli organismi inquirenti, nei servizi segreti (gli stessi membri della decima MAS distribuiti tra intelligence dei vari paesi occidentali), i dirigenti del sistema sanitario e quello universitario, le prefetture, le questure, oltre che ambasciatori, le poste, le ferrovie, il personale dei ministeri, ecc. ecc. erano pure fascisti, i regolamenti interni e le selezioni per le carriere interne allo Stato erano fasciste.

L'organizzazione, la macchina anticomunista dello Stato era rimasta intatta! Dal personale alle leggi penali (il Codice Rocco) e civili erano rimaste quelle dei fascisti!

Il PCI - oltre la grazia ai fascisti - aveva agevolato il mantenimento della struttura Statale orientata al sistema fascio-corporativo.

#L’ITALIA PROFONDA#

L'appartenenza alle corporazioni, a una qualunque di esse (dalla massoneria ai partiti, al sindacato fino alle mafie) sanciva lo Status di cittadinanza, si era dentro o fuori lo Stato. Chi non era dentro una qualche “famiglia”, spesso “a-morale”, era senza diritti di cittadinanza, era un paria, uno dei numerosi sudditi della società abbiente.

 

 

IL '68

Il grande fenomeno italiano (e globale del '68) è nato, o meglio è esploso, in questo Stato semi feudale, fuori e contro i partiti tradizionali, fuori e contro lo scontro tra blocchi imperiali (la guerra fredda) al tempo in conflitto tra loro.

In Italia questo scontro assume connotati particolari, è esemplare che le libertà civili (aborto, divorzio) siano state promosse dai radicali (partito numericamente infimo), che prese in contropiede tutto il sistema gotico dei partiti storici, compresa la sinistra “storica” con PCI-PSI in testa.

Il “movimento”, come si chiamava allora, si fece carico non solo dei diritti delle donne, ma coinvolse anche il servizio di leva obbligatorio (con renitenze alla leva per il servizio civile), i diritti dei militari in leva (tribunali militari, ecc.) e dei detenuti (con il regime carcerario ancora del codice fascista), appoggiando le loro rivolte (alcune di queste furono sedate manu militari da Dalla Chiesa, con diversi morti), e dei malati mentali nei “sanatori” (manicomi lager). Ci fu una grande contestazione a tutte le “istituzioni totali” (istituzioni in cui il dominio sul corpo era assoluto).

La leva facoltativa, la chiusura dei tribunali militari per il settore difesa, la riforma penitenziaria del 1975 che segna una storica svolta sulla civilizzazione delle carceri e va a sostituire definitivamente il regolamento carcerario fascista del 1931. La legge Basaglia numero 180 del 13 maggio 1978, con cui si mise fine ai manicomi e si rivoluzionò totalmente l'impostazione clinica dell'assistenza psichiatrica.

Queste e altre iniziative furono tutte partite “dal basso” -come si diceva allora- con grandi mobilitazioni sociali e di piazza. Di concerto sorsero anche le lotte operaie con le “imposizioni” dei Consigli di Fabbrica ai sindacati (i sindacati erano rimasti alle vecchie commissioni interne, le famose “cinghie di trasmissione dei partiti”) e quindi “diritti dei lavoratori” (statuto tra l’altro fatto da un democristiano di sinistra e non dal PCI!!!)

Di contro va segnalato che la democrazia economica, la democrazia sul lavoro e la democrazia dentro il sindacato chiamate a gran voce in quegli anni non solo non si sono realizzate, ma anzi vennero via via osteggiate, annacquate e rese sterili dal riformismo galoppante dei partiti di sinistra. Il più alto tradimento fu il referendum di Craxi che portò alla cancellazione della “scala mobile” (che agganciava automaticamente i salari alla svalutazione), fatto che dette la stura alle controriforme reazionarie perpetrate con l’avallo delle sinistre.

Il '68 fu una grande esplosione giovanile di massa, inaspettata e spesso contrastata dal PCI (al tempo allineato e ancillare rispetto all'URSS e alle sue politiche imperiali, come nel caso dei carri armati sovietici a Praga ) e così pure dalla “cinghia di trasmissione” dei sindacati schierati dspprims sulla linea filosovietica, ma poi con la FMI-NATO a causa della conversione berlingueriana).

Il '68 sorto da una crisi che chiamava in causa il vecchio mondo composto di morente nobiltà, neo borghesi rampanti inscatolati nell'antica tradizione gotica e amalgamati col il luteranesimo, con la espiazione che viene dal lavoro.

Il ‘68 criticava, metteva in discussione, minava, divideva le grigie basi culturali esistenti, demoliva il paternalismo industriale, paternalismo che aveva intossicato sia le organizzazioni storiche di sinistra che dei sindacati.

Il ‘68 partito nelle università contro l’autoritarismo accademico fu il punto iniziale di scontro, poi strada facendo, allargandosi a macchia d’olio in tutti i settori, fu contro le altre forme di autoritarismo, da quella dello Stato a quella della famiglia a quella del padrone in fabbrica.

Si ebbe una contestazione al potere Statale fino ad allora ritenuto sacrale, quasi un superpotere apparentemente indipendente, ma in realtà legato a doppio filo alla proprietà privata delle élite: stirpe ereditaria. Esse facevano credere nell’idea dello Stato-Dio, l'incarnato hegeliano del romanticismo tedesco! Un'idea del super-padre come potere marmoreo, aulico, che si rispecchiava dal pubblico al privato, un’aura sacrale che avvolgeva le grandi industrie a “conduzione familiare” degli Agnelli, dei Falk, ecc. (Famiglie passate indenni dalla contiguità col fascismo alla repubblica post-fascista).

La loro potenza sociale totale che metteva soggezione chiunque “se la Fiat starnutisce lo Stato ha la febbre”, era la metafora esemplificativa dello stato di sudditanza del tempo. Su tutto questo il ‘68 ha aperto uno squarcio, facendo vedere che il Re nudo!

Gli effetti del '68 attenuarono abbastanza, sopratutto al nord, il lato anacronistico dello Stato (rimasto un incrocio tra Stato Albertino e fascista-corporativo); ma non riuscì mai a intaccare l’autoritariamo al Sud, ma neppure traghettare il Sud alla modernità (Rimasto Stato collocato tra il mediovale-latifondista e il proto capitalismo),ancora oggi nessuno è riuscito neppure a farlo diventare Stato “liberal-borghese”.

Ancora oggi nell’Europa, non si riesce ad avere uno Stato che almeno renda uniforme i servizi dal nord al sud: scuole, sanità, trasporti, regole, giustizia sociale, parità di genere, ecc. identici; né il ‘68, ne le élite della “modernità” sono riusciti a scalfire l’Italia dei due Stati (stati istituzionali, giuridici, di cittadinanza, dei servizi), l’Italia divisa in due dai tempi dell’unità.

Il Sud tra medioevo e capitalismo

Non solo al Sud non si è mai formata una borghesia10 (per sé) nè si è prodotto un ceto culturale svincolato dal familismo più o meno amorale.

C'erano (e sussistono tuttora) delle grandi resistenze all'insediamento di Stato moderno, dovuto soprattutto agli interessi/veti incrociati del nobilitato locale come dei boiardi statali irregimentati nella massoneria, legati a doppio filo con settori della devianza organizzata, tutti accomunati dalla profonda fede religiosa, con il “vizietto” di usare lo Stato come un bancomat. (Dev’essere contagioso, adesso si sta espandendo anche al nord tra i prenditori, e organizzano anche raduni SiTav).

Sta di fatto che il macigno c'era e la questione meridionale non è mai stata risolta!

Il meridione è passato dallo Stato dei latifondisti allo Stato feudale-massonico con un “ceto medio” che sfumava nella devianza organizzata e un ceto culturale quasi inesistente.

 

#LA QUESTIONE MERIDIONALE#

 

(prosegue..)



(*)  Il titolo è in parte un gioco linguistico. Twilight zone (zona di mezzo), come era la collocazione politica della lotta armata in Italia, collocata tra i due blocchi, e al contempo rappresenta pure il confine epocale, il crepuscolo di una società, il valico storico-economico-ideologico in cui un mondo vecchio, il novecento, finiva e un altro era in ascesa. (Twilight Struggle, al tempo era il nome “della guerra fredda” tra USA e URSS, e per i più giovani invece è diventato il gioco da tavolo di simulazione storica vera e propria ben fatto e ben congegnato della guerra fredda.)

(2 Renzo del Carria: proletari senza rivoluzione, storia delle classi subalterne in Italia, edizioni oriente)

1 Nota: lungo il testo ci sono, in rosso, allegati di approfondimento che rimanda al fondo del capitolo, che si può consultare o meno, dipende dal lettore.

2 Piano condor: http://www.webalice.it/gangited/_A/Condor.html

3 Gli americani scaricarono in questo modo il debito accumulato nella guerra in Vietnam sugli alleati.

4 Luoghi chiusi gestiti gerarchicamente, autosufficienti. “Asylums” “Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che - tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo - si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato. Prenderemo come esempio esplicativo le prigioni nella misura in cui il loro carattere più tipico è riscontrabile anche in istituzioni i cui membri non hanno violato alcuna legge.” Erving Goffman.

5 Taylorismo' è il termine colloquiale e più diffuso con cui si indica l'organizzazione scientifica del lavoro, ovvero un corpus di dottrine e ricette organizzativo-manageriali per la produzione industriale messe a punto dall'ingegnere americano Frederick Taylor tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Con l'andar del tempo il termine taylorismo ha assunto un significato più vasto e ha preso a indicare tutti gli aspetti di un lavoro, sia manuale che impiegatizio, organizzato secondo criteri ripetitivi, parcellari e standardizzati, dove la mancanza di discrezionalità e di contenuti intelligenti è vista come una condizione necessaria per ottenere una resa produttiva più intensa e uniforme...(enciclopedia. Treccani.)

6La moderna officina, con la sua gerarchia amministrativa, la sua disciplina, il suo incatenare gli operai alla macchina, il suo immane apparato calcolatore che si estende fino alla più elementare operazione compiuta dall'operaio, esercita sugli uomini e sul loro stile di vita degli effetti di vasta portata” (v. Weber, 1908-1909, pp. 118-119). Nota Marx in proposito (v., 1867-1894; tr. it., p. 130): “La subordinazione tecnica dell'operaio all'andamento uniforme di prezzi di lavoro e la peculiare composizione del corpo lavorativo, fatto di individui d'ambo i sessi e di diversissimi gradi di età, creano una disciplina da caserma”. La divisione del lavoro ridisegna i movimenti e rimodella il gesto del lavoratore con movenze o posture così impersonali che “il lavoratore perde perfino il dominio della sua fisicità” (v. Briefs, 1931; tr. it., p. 95)

7 Le città-fabbrica come sono state non solo Torino-Fiat, ma anche molte altre, Ivrea-Pirelli, o Ansaldo-Genova e Pirelli-Milano, Marghera-Montedison, ecc. ecc.

8 Le città a pianta medioevale erano a cerchi concentrici, le città a pianta romana come Torino, erano a quadrati concentrici.

10 A parte delle mosche bianche, l’imprenditoria al Sud è prevalentemente sul terziario, sul commercio, ma non sono stati mai in grado di sviluppare una “coscienza di sè” come classe borghese e pretendere uno Stato che funzioni come nel Nord Europa perché ne trarrebbero tutti i vantaggi.

LA TERZA VIA

Gli anni che seguirono il '68 hanno visto, in quello che ai tempi si chiamava “movimento”, un rinfocolarsi del dibattito e dell'elaborazione per una “via italiana” (non solo in Italia), una via nazionale al socialismo, con la proposta di un nuovo tipo di partito, più orizzontale, che orientasse alla trasformazione socialista dello Stato, per l'affermazione di una società che avrebbe dovuto favorire le libertà (economiche, culturali, politiche, civili). Lo sviluppo della democrazia in tutti i campi, da quella civile a quella economica, radicalmente diversa dalle democrazie verticali delle vecchie socialdemocrazie occidentali e da quella dei paesi dell'est, dove si chiamava invece “socialismo reale”.


 

Erano tempi di grande fermento, con voglia di rinnovamento sociale e culturale, sia nel dibattito teorico-marxista che nelle sperimentazioni sociali.

L’onda di rivolta globale portava con sé una cultura marxista un poco ristretta,che alludeva alla realizzazione del vero socialismo come fatto prossimo venturo, ineluttabile, un vero destino dell'umanità: il naturale e prometeico futuro, il necessario sbocco del compimento della storia; la fine del capitalismo era dietro l'angolo.

Le dispute tra gruppi sociali, come tra filosofi marxisti, erano già orientate al futuro assetto della società prossima alla liberazione, affrancata dalle catene dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

#PREMESSE STORICO-CULTURALI DELLA TERZA VIA#

Né con gli USA né con l’URSS

Il discorso fatto sugli imperi è molto importante, esso dimostra il teatro delle forze esterne che si riverberavano nel contesto italiano, il quadro in cui si è realizzato la storia del tempo. E’ importante per capire il '68, il '77 e la lotta armata in Italia. Un fenomeno che la renderanno unica in Europa, per entità e durata. L'unica per la ricerca della “via italiana al comunismo”, assolutamente indipendente dai grandi blocchi che monopolizzavano lo scontro internazionale di quel periodo.

L'anticomunismo estremo degli Stati Uniti portava a non distinguere il blocco URSS dai vari movimenti socialisti sparsi per il mondo, molti erano i movimenti di liberazione che volevano restare fuori dai blocchi, popoli che puntavano ad ricercare una propria via al socialismo a cercare certamente una collaborazione tra Stati ma non la sopraffazione1, la dipendenza o peggio il dominio imperialista. La Cina, la Corea, Cuba, l'Egitto di Nasser, il Vietnam, la Grecia, il Cile erano nazioni che cercavano la propria via2 . La rivolta cubana, o quella di Nasser, e per molti versi il Vietnam, non erano originariamente anticapitaliste tout-court, ma all'inizio volevano solo l'indipendenza dal colonialismo; e anche dopo la rivoluzione non vollero mai diventare una colonia o un satellite dell'URSS.

Una metafora per capire il clima di quel tempo, di come gli imperi vedevano il mondo polarizzato o si era bianco o si era rosso senza mezze misure.

Le gesta del Che Guevara erano conosciutissime nella sinistra extraparlamentareoccidentale, in Africa, fino in Giappone, ma assolutamente sconosciute ai cittadini dell'URSS e dell'Est in generale! Quindi Guevara fu combattuto visceralmente dagli americani e ignorato totalmente dai “comunisti” dell'Est.

(Purtroppo il “Che” in occidente, una volta depotenziata di tutta la sua carica rivoluzionaria ed eversiva, fu ridotto a un santino o un'allegoria pop stampato sulla maglietta da sfoggiare alle occasioni “solenni”).

I partiti comunisti della III internazionale

I partiti comunisti dell'occidente in quegli anni erano apertamente schierati e foraggiati dall'URSS anche dopo la chiusura del Cominform - l'internazionale comunista voluta da Stalin - (che tra l’altro sanciva il ruolo del Partito Comunista Sovietico come ruolo di guida per gli altri partiti comunisti del mondo)

La dottrina URSS di mettere al centro geopolitico gli interessi dell'URSS, è sempre stata riconosciuta come prioritari e centrale da tutti dai Partiti Comunisti del mondo ed Europei.

Verso i paesi satelliti la centralità dell’URSS era strutturale. Non solo nella struttura sociale: partito, Stato, statalizzazione dell’economia (pianificazione e centralizzazione), ma verteva in una funzione molto più “coloniale”, nell'istruzione, ideologicamente, sul piano militare, sulla moneta e nei sistemi di scambio. In ogni campo, l'URSS svolgeva il ruolo di guidas, indirizzo e di punto di riferimento.

L’URSS, ovunque era chiesto il suo intervento, cercava di “esportare” il suo modello socio-economico di socialismo. La Cina di Mao, Cuba e altri paesi si sfilarono da questa idea di pensiero unico.

La via nazionale al socialismo del PCI

Togliatti muore nell’agosto 1964 e lascia, inedito, il "Memoriale di Yalta", in cui attribuisce importanza alla ricerca di vie nazionali al socialismo” rispetto al modello e all’esperienza sovietica.

Il dibattito aveva due posizioni differenti:

  • a) una propone la riunificazione con socialisti, per andare oltre la socialdemocrazia e il modello sovietico;
  • b) l'altra esalta le conflittualità e il ruolo centrale della fabbrica, proponendo anch’essa un modello di sviluppo diversa da quello sovietico.

Ma a parte la breve parentesi, la linea della terza via venne sconfitta e messa a tacere.

Il PCI, chiusa la gloriosa parentesi Algerina del '62 che vide una parte attiva dei compagni del PCI aiutare fattivamente la resistenza Algerina contro i Francesi, passò a un'esistenza del PCI fu molto grigia. Sempre “fedele alla linea” (sovietica), non avereva capito o non voleva capire le “rivolte” d'Ungheria e di Praga, come non capì il '68, e tacciando le BR e i gruppi di opposizione come facinorosi e provocatori (sapendo bene chi erano), ma non capì neppure Che Guevara (troppo trotzkista?) e la guerriglia sud-americano il contributo di Mao al leninismo; dove “che mille fiori fioriscono” era riferito a lasciare che altre identità si esprimessero, che sperimentassero la loro via al comunismo, con la critica all'economia pianificata e la critica al pensiero unico nel partito.

Oppure il motto maoista “sparare sul quartiere generale” inteso come: il vertice del partito non è esente dalle critiche o da presenze di culture para-borghesi, anche dentro il Partito vive il conflitto di classe e sopratutto il partito non è depositario di verità assolute.

Il panino degli imperi

Quindi in questa polarizzazione di forze, giocoforza la posizione dei movimenti e delle BR di indipendenza dai blocchi imperiali era vessata sia dagli imperi USA che dall'URSS e dalle loro declinazioni locali: il PCI e PCF.

In questo “panino” di imperi, il movimento, la lotta armata e le BR si trovarono in mezzo. Culturalmente e storicamente le BR si rifacevano molto alla linea partigiana di Secchia, per un comunismo indipendente e autonomo3. Ma per ovvi motivi, come detto, dal punto di vista degli USA eravamo nemici comunisti e assimilabili all'URSS. Per l'URSS eravamo “corpi estranei” che non controllavano e che non sottostavano ai loro schemi e allìle strategie di teatro.

Nel PCI i quadri dirigenti (non tutti) con le loro solite tattiche a doppio binario, con le loro false informazioni, avallarono le versioni di entrambi gli schieramenti imperiali. Attaccando la lotta armata, il PCI di Berlinguer fa un favore a entrambi gli imperi.

Eppure tra le BR e il PCI c'erano dipendenze oggettive. Il PCI dopo l'esperienza di Allende in Cile (e i colonnelli in Grecia) non poteva sperare di andare al governo in alternanza con la DC tramite le elezioni senza generare la controreazione USA (e dei corpi militari, dei fascisti nello Stato e tra le forze dell’ordine italiane), minaccia che era tutt'altro che ventilata, ma molto reale4.

Nel caso di vittoria delle sinistre, il rischio dei dirigenti di finire radunati negli stadi ed essere scaraventati dagli aerei senza opporre resistenze alcuna (come in Cile e in Grecia) era nell’aria.

Il PCI - come partito di governo - avrebbero avuto bisogno del vasto movimento antagonista come cintura di sicurezza socio-militare (come movimento armato le BR erano meglio organizzate del MIR cileno).

Nota: Il Movimento de Izquierda Revolucionaria, MIR, nacque il 15 agosto nel 1965 come unione di alcuni gruppi e individualità della sinistra cilena: il Partido Socialista Popular, la Vanguardia Revolucionaria Marxista - Rebelde, un settore del Partido Socialista Revolucionario, e alcuni quadri sindacali. Ebbe molte divisioni al suo interno. Nel II Congresso del 1967, il MIR legittimò il ricorso alla lotta armata d'ispirazione marxista-leninista. Nel 1970, quando al governo del Cile giunse la coalizione di sinistra Unidad Popular, il MIR sospese questa sua strategia di lotta, ma ebbe un ruolo determinante nello spingere il presidente socialista Salvador Allende a riforme difficilmente “sostenibili” per la situazione socio-politica del tempo. Alcuni costituirono la difesa personale di Allende e caddero nell'assalto dei golpisti alla Moneda. Ribadiamolo: golpe organizzato dalla CIA e l'esercito, con il grande appoggio della Democrazia Cristiana, dalla Chiesa e della massoneria!!

Uno schema antisocialista che in America latina sarà ripetuto più volte.

Per contro,le BR e tutto il movimento di lotta armata comunista dell'epoca avevano scarsa capacità gestionale. Forse erano in grado di gestire qualche fabbrica, ma non erano in grado di amministrare una città, una Provincia, una Regione o lo Stato. Gestire una società moderna, avanzata con tutte le sue interdipendenze (materie prime, energia, sbocchi di mercato, divisione del lavoro internazionale, economia, finanza, politica estera, ecc. ecc.) era fuori portata dei giovani 20enni!

In caso di vittoria, questo movimento doveva per forza appoggiarsi a chi queste cose le sapeva fare: ovvero agli amministratori del PCI in primis.

Questa oggettiva dipendenza reciproca, probabilmente era nota al PCI; da solo, nessuno degli antagonisti poteva mettere in piedi una società socialista indipendente. Gestire una società industrialmente avanzata, complessa (non agricola come nella Russia), nella fase del passaggio rivoluzionario, risparmiando inutili traumi sociali, avrebbe richiesto una grande collaborazione.

In quel periodo, il movimento armato avrebbe potuto svolgere il ruolo di buon garante di un processo di transizione socialista.

#BERLINGUER TRA MITO E REALTÀ#

Ma questo “matrimonio” non si concluse perché il PCI di Berlinguer fece il “salto della quaglia”, dopo i fatti del Cile, scelse la linea Atlantica, si riparò sotto l'ombrello dell'imperialismo Americano e su questo altare sacrificò tutti, anche Moro (la famosa linea della fermezza che impose anche alla DC).

La svolta a sorpresa del PCI produsse uno sconcerto tra le sue fila, ci fu una progressiva discesa di consenso anche elettorale del PCI in termini assoluti, un'emorragia che non si è più fermata, nonostante i vari cambiamenti di sigla e inglobamento di altri partiti. Da questo declino a ogni cambiamento di sigla emerse una classe dirigente sempre peggiore oltre la socialdemocrazia: il liberalismo blairiano che si spinse fino al bombardamento sui civili del Cossovo!!

Da un lato la dirigenza del PCI emarginava la sinistra interna, dall'altra un forte movimento operaio che non si è mai riconosciuto nelle istituzioni si trovava di fronte un sindacato e un partito che si fanno Stato; uno Stato che assolve i suoi uomini di fronte alle ruberie e scorribande dei predatori in combutta; nonostante uno scandalo al mese, politici, industriali, boiardi di Stato e mafiosi la fanno sempre franca.

Si chiude “il modello Emilia”

Il PCI che usava l'Emilia e Bologna, come bandiera-icona del modello di gestione della sinistra, come “avanguardia” e fiore all'occhiello dell'alternativa di sinistra negli enti locali al cospetto delle sgangherate gestioni DC.

Ma negli anni '70 si chiude quell’esperienza, per diventare il centro principale degli esperimenti di governo interclassista con la DC. Il Compromesso Storico con la DC che ha voluto dire importare i semi della corruzione e i metodi democristiani-clientelari nel PCI.

La tirannia della maggioranza5

Con il “governissimo”, naturalmente, veniva meno l'opposizione e nessuno più controllava la maggioranza; era un governo totalitario di fatto.

L'unica opposizione era il “movimento”, che mal tollerato da PCI e DC uniti.

Questo scontro tra “apparato Stato-padroni-DC-PCI-CGIL,  “il blocco istituzionale unitario”, lo Stato TOTALE contro il movimento di opposizione, trovò il culmine degli attriti a Bologna nei primi mesi del ’77, quando ci furono dei morti durante le manifestazioni e gli scontri che ne seguirono.

Nella città delle due torri ci fu una repressione da pugno di ferro, prussiana, con il consenso del salotto del PCI più democristiano della DC.

La risposta agli scontri con la polizia fu lo schieramento dell’esercito con i carri armati nel centro di Bologna. A cui segue la distruzione di Radio Alice da parte del “servizio d'ordine” del PCI come organo paramilitare complementare alla polizia.

Il movimento di Bologna fu definito da Berlinguer come “fascista, squadrista, composto da mercenari”; suscitando per queste dichiarazioni molto scandalo e indignazione sottolineato anche del costituzionalista Norberto Bobbio.

L'episodio dei carri armati a Bologna e la successiva cacciata di Lama dall'Università di Roma furono la sintesi emblematica di una classe operaia e di proletari metropolitani che non volevano farsi Stato.

La coppia Cossiga-Pecchioli, il primo ministro dell’Interno e il secondo ministro ombra del PCI, a Bologna dettero origine a un salto di qualità repressiva senza pari, la tenaglia DC-PCI era pronta. Si inasprirono i fermi di polizia, si chiusero le sedi del movimento, si rasero al suolo radio libere, chiusero anche le sedi di sinistra, e partirono le denunce di massa per sovversione e banda armata: l'associarsi diventa reato anche senza dolo.6

La politica del compromesso storico aveva lasciato completamente senza rappresentanza la classe operaia sia dal punto di vista sindacale che partitico-istituzionale, al contempo dette corso all’azzerato di molte libertà formali della Costituzione.

Provvedimenti che facevano impallidire la legge-truffa del 1953, la quale prevedeva di introdurre un premio di maggioranza consistente (l'assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi) contro la quale il PCI a suo tempo aveva mobilitato sindacati e piazze.

Berlinguer con il passaggio dal partito dei fucili della resistenza al partito delle tessere, aveva concluso così la seconda rivoluzione autoritaria dopo la Resistenza, completando definitivamente il traghettamento del PCI tra le socialdemocrazie europee e la fine della “spinta propulsiva” verso il socialismo.

Berlinguer non si fece scrupolo di usare apparati del sindacato, sezioni del PCI in concerto e a fianco degli apparati repressivo dello Stato, con il fine di reprimere il conflitto sociale e operaio per portarlo sotto l’ombrello del partito in barba agli elementari principi democratici scritti nella Costituzione.

Peoichè si serrarono le fila tra i dirigenti sindacali, furono tutti irregimentati; la CGIL di Trentin fu azzerata e con Lama tutta la CGIL fu portata a “serrare le fila” dentro la linea del governissimo e della concertazione sindacale.

Tutti i sindacati furono ricondotti nei binari di staliniana memoria, “cinghia di trasmissione” dei partiti di riferimento: PCI, PSI e della DC.7

Da segnalare che per un periodo nella CISL vinse la corrente di sinistra. E per la prima volta nella storia, la CISL si trovò più a sinistra della FIOM e della CGIL.

Il PCI, quando non poteva mettere il “cappello” o a strumentalizzare le proteste di fabbrica e di piazza, le additava come “teppisti, anarchici e facinorosi” e faceva terrorismo psicologico intorno. Niente doveva turbare la nuova “pace sociale”.

Storie emblematiche

Uno degli episodi semplificativi del rapporto movimento e partiti-sindacato istituzionali.

Nel febbraio del 1977, il movimento riunito in assemblea doveva organizzare la protesta contro la circolare del ministro dell'Istruzione Pubblica che vietava agli studenti la possibilità di organizzare in modo autonomo il piano di studi. Un gruppo di neofascisti fece irruzione sparando e lanciando molotov, uno studente rimase gravemente ferito. Il giorno dopo ci fu un corteo di protesta e relativo assalto alla sede del MSI, con scontri con le forze dell'ordine, comparvero delle armi da fuoco.

Nelle settimane successive ci furono grandi mobilitazioni, si diffusero dei volantini delle BR.

Il 17 febbraio Lama, segretario generale della CGIL decise di tenere un'assemblea all'interno dell'università. Con il chiaro intento di mettere il cappello e imbrigliare la protesta degli studenti fra le redini del PCI e della CGIL. Egli venne con al seguito di un folto numero di guardie del corpo, il corpo “cingolato” del servizio d'ordine del PCI e del Sindacato. Nonostante il “corpo scelto”, dopo furiosi scontri, Lama fu cacciato sonoramente dall'università. A nulla valse il forzuto servizio d'ordine che si era portato dietro; Lama dovette battere in ritirata con ignominia.

Un secondo fronte, che andrà a chiudere definitivamente l’alba di resistenza operaia, avvenne in FIAT e iniziò nell'ottobre 1979 quando la direzione licenziò 61 operai per attività terroristiche, a settembre mise in cassa integrazione 22.884 dipendenti e a ottobre ne licenziò 14.469.

Il Consiglio di Fabbrica decreta lo sciopero ad oltranza, ma dopo trentacinque giorni di occupazione ci fu una manifestazione di impiegati e tecnici (detta: ”la marcia dei quarantamila”, in realtà erano molti di meno, 12.000 per la questura) in corteo per il centro di Torino rivendicavano il diritto di tornare al lavoro.

Gli operai comunque non ne vollero sapere di rimuovere i picchetti ai cancelli, ma le direzioni sindacali si schierarono di nuovo contro il movimento operaio. Infatti, nonostante l'opposizione dei lavoratori, Luciano Lama, segretario generale della CGIL, firma l'accordo con l'azienda accettando licenziamenti e cassa integrazione.

È stata la Waterloo del movimento operaio italiano; da allora per 14 anni sarà un continuo rifluire della classe operaia verso il dominio totale del capitale sul lavoro. A torino non ci furono più lotte e manifestazioni sindacali di portata paragonabile a quelle fino all'autunno del 1980. La prima grande rivendiazione di massa fu all'inizio del febbraio del 1994.

Questa vicenda rappresenta il culmine della doppiezza politica del PCI. Infatti, qualche giorno prima della firma di quel famigerato accordo, Berlinguer dichiarava che, qualora gli operai avessero occupato la FIAT, il partito li avrebbe sostenuti. La malafede è evidente: la verità è che il PCI aveva delegato il tradimento alla burocrazia dei sindacati (CGIL) per non compromettere l'immagine del partito di fronte al proprio elettorato.8

Un anno dopo la porcata si ripete, (con maggiori ambiguità e contraddizioni fra apparato CGIL e PCI) e non avviene soltanto contro gli operai della Fiat ma contro tutta la classe lavoratrice e i pensionati. Con E. Berlinguer ancora segretario, i sindacati CISL e UIL siglano un accordo con il governo e la controparte per l'abolizione parziale della scala mobile dei salari proposta in aprile da Enzo Taranteli e non contrastata da Trentin  Bruno subentrato a Lama alla guida della CGIL, dando il via alla politica di concertazione.

Il sindacato non è più un organismo di rappresentanza autonoma delle classi lavoratrici ma, per conto del governo e delle organizzazioni padronali, diventa uno strumento di controllo e repressione delle rivendicazioni delle classi lavoratrici. Inizia la trasformazione del più grande sindacato italiano in un organismo legittimato dallo stato borghese.

Il 14 febbraio 1984 un decreto del governo Craxi tagliò 4 punti percentuali della scala mobile convertendo l’accordo siglato dalle associazioni imprenditoriali con Cisl e Uil, a cui seguirà la conversione nella legge 219 del 12 giugno 1984.

Quindi Berlinguer non solo pone fine alla ventilata terza via al socialismo nel partito ventilata da alcuni settori del PCI, che spingeva per una posizione neutrale rispetto ai grandi blocchi, ma costruì una teoria di governi totalizzanti, parlamenti senza opposizione, con la politica spesso e volentieri collusi con la mafia (governi Andreotti docet; la Sicilia e il Meridione erano il principale serbatoio di voti democristiani soprattutto dei dorotei e questi del Sud dettavano le regole nello Stato), lasciando in questo modo il paese canceroso senza una prospettiva di riscatto, di emancipazione.

La terza via reale degli anni ‘70 fu quindi solo del “movimento” e della piazza; in quegli anni il “movimento” è stato anche l'unica opposizione reale del tutto extraparlamentare - a parte lo sparuto gruppo dei radicali e dei fuoriusciti (espulsi dal PCI) del Manifesto -; una realtà composta prevalentemente e da giovani e di lavoratori immigrati o urbanizzati.

Fu un movimento vasto, diffuso, più o meno organizzato e frastagliato; “la sinistra extraparlamentare” o “ il movimento”, come si chiamava allora, è stato anche il crogiolo dove nascono le resistenze armate e le Brigate Rosse, la cui storia è ampiamente raccontata in diversi libri e a cui si rimanda9.

(prosegue...)


1 Questo controllo totale degli USA (e del Regno Unito, perché in questa fase ebbe un ruolo coattivo) si estendeva anche al monopolio sul controllo energetico, il caso Mattei è esemplare in tal senso.

2 Nella scia dell'esercito sovietico alcuni partiti in Europa arrivarono al governo (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e parte della Germania) e in Asia (Corea settentrionale). Paesi che arrivarono per via autonoma, cioè senza un'influenza diretta degli eserciti sovietici, come la Iugoslavia e l'Albania, in Asia la Cina e il Vietnam, in sud-America Cuba e dopo il Cile. In Grecia ci fu lo sterminio dei comunisti che stavano prendendo il potere per mano inglese.

3Avete tradito la Resistenza”,Voi avete tradito la Resistenza con l'opera di divisione prima e di discriminazione poi tra i cittadini italiani. La Resistenza, voi lo sapete, non significò soltanto lotta e combattimento, ma significò innanzitutto unità, unità di tutti gli italiani contro la tirannia, unità di tutte le forze democratiche, di tutte le forze sane della nazione, per liberare la patria prima e poi per ricostruirla, per rinnovarla, per farla sorgere a nuova vita.
Noi oggi lottiamo - pensavano i partigiani - ma poi con la libertà tutti gli italiani avranno una patria, anche i lavoratori saranno parte della nazione, avranno gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. ...
Voi, quali rappresentanti della grande borghesia italiana, non avete alcun interesse a fare conoscere ed a celebrare la storia della Resistenza perché questa suona condanna e vergogna per le classi dominanti che hanno portato il paese alla rovina e si sono poi messe al servizio dello straniero.
(Pietro Secchia, dal “Discorso al Senato nella seduta del 23 Febbraio 1954”)

4 La paura dell'invasione sovietica, favorita dall'ascesa al potere dei comunisti. Si temeva che i leggendari cosacchi con le bandiere rosse (secondo il folclore propagandistico di allora) fossero pronti ad “abbeverare i cavalli in Piazza San Pietro”

5 Alexis de Tocqueville, nel suo Democrazia in America” (1835). Lui si riferiva ai cittadini-massa che sentono e vedono le stesse cose dai media, che leggono le stesse cose, che fanno le stesse cose, vanno negli stessi posti; se tutti avranno gli stessi stimoli avranno gli stessi gusti e pensieri uniformati. Aumentando così la predisposizione di ciascuno ad identificarsi con il potere e isolare le minoranze o chi è fuori dagli schemi. Il potere “viene a godere di un singolare potere: non fa valere le proprie opinioni attraverso la persuasione, ma le impone attraverso una gigantesca pressione dello spirito di tutti sull’intelligenza di ciascuno”.

Se l’opposizione sparisce, se sparisce il pensiero “alternativo” subentra la dittatura “democratica”. E se anche l’orizzonte sociale diventa unico per tutti: il capitalismo, si chiama dittatura.

6 Nel mentre fecero fuggire il boia nazista Kappler. Durante il processo di Catanzaro (strage di Piazza Fontana), Mariano Rumor sconcertò l’aula, ma anche l’opinione pubblica col suo atteggiamento molto ambiguo e la sua deposizione che era contraddittoria con quelle di Andreotti, Tanassi, Zagari, Miceli… Questo fatto mise in piena luce ancora una volta i rapporti oscuri tra politica, servizi segreti e ambienti dell'estrema destra durante i cosiddetti "anni della tensione" e dei suoi tentativi di golpe.

7 Si formano le oligarchie dentro i partiti, sotto l’egida della “dittatura della maggioranza” di Toquevilliana memoria. In questo brodo nascono gli oligarchi dei partiti, i signori delle tessere e delle fondazioni (ognuno era un portatore di interessi particolari: banche, cooperative, parastato, ecc). Con l’uso smodato della TV fa parte dei partiti, si da origine al mercato delle vacche dove l’apparire, il teatro della politica diventa il reale, e la realtà evapora negli eventi.

In sostanza si verticalizza molto tutto il sistema dei consensi e decisionale. Le decisioni non passano più per le sezioni dei partiti se non per confermare quelle prese in alto, i partiti diventano feudi. Nascono le fabbriche del consenso che curano i leader nelle apparizioni televisive, la campagna elettorale diventa marketing.

8 È impensabile che Luciano Lama, iscritto al PCI come la maggioranza dei sindacalisti CGIL, abbia agito senza l'assenso implicito, o perlomeno senza la garanzia di non ingerenza, da parte di E. Berlinguer.

9 Per un approfondimento delle BR ci sono diversi libri, segnaliamo uno non di area, tuttavia con una buona documentazione: “Storia delle Brigate Rosse” Marco Clemente Odradek edizioni, o anche quello del “progetto memoria” della casa editrice “sensibili alle foglie”.

IL BRACCIO ARMATO

L’incubatore

L'ulteriore metropolizzazione della popolazione, la continua emorragia della popolazione dalle campagne verso le città, dal sud verso il nord, grazie anche l'aumento della mobilità (auto e autostrade), avevano cambiato totalmente i connotati socio-antropologici e l'urbanistica della città.

La fase economica espansiva dal ‘68 in poi inizia a mostrare delle crepe. Si era avviato un periodo caratterizzato di forte incertezza economica e occupazionale. Al boom erano seguiti processi di ristrutturazione nelle aziende, la finanza era diventata importante e globale.


 

Con l'ennesima crisi petrolifera ci fu un'ondata di aumenti (IVA, carburante, ecc.) con l’inquietante incremento del lavoro nero, al punto che certi gruppi autonomi della sinistra operaia non esitarono ad assaltare enti e aziende per contestare questo fenomeno e metterlo in piena luce.

Era cambiata la geografia operaia e sociale: un nuovo soggetto sociale, anche se a vita breve, si era affacciato alla storia. Era sempre un operaio massa, ma si seconda generazione, che non subiva e non vuol più subire altri soprusi, non accetta ulteriori restrizioni senza contropartite come propone Berlinguer. E soprattutto perché subisce la crisi e i sacrifici, e al contempo vede sfilare il lusso insieme alla teoria interminabile di scandali e ruberie impunite.

La distanza tra la politica istituzionale, le sue narrazioni televisive, e la realtà sociale divergeva totalmente.

Nelle fabbriche il polo della protesta passa dalle industrie tessili a quelle metalmeccaniche e chimiche e si diffonde a macchia d'olio.

I governi di centrosinistra e i governissimi che si succedono mantengono comunque il volto di “democrazia autoritaria” sia sul piano sociale chee con i sistemi “concertativi” sempre decisi dall'alto, sempre sulla testa degli operai; quella testa degli operai offerta da sindacati e PCI al “palazzo” in cambio della spartizione degli incarichi e della cogestione del potere.

Il proletariato fuori delle “corporazioni”, senza rappresentanza riconosciuta, era un popolo senza diritti! Vessato, e represso, reso invisibile dai potenti mezzi d'informazione del potere.

Tuttavia era un proletariato tutt'altro che domo, era attivo, solidale, che aveva percepito la sua esclusione e si era organizzato sotto mille etichette sia in fabbrica che nella società. E si era organizzato formendo controinformazioni con ciclostili e dazebao1.

Si può senz'altro affermare che esistevano due società: una era la “maggioranza silenziosa”, televisiva e governativa con pensiero unico, e l’altra la galassia del “movimento” arcobaleno. Due mondi separati.

I proletari del movimento amministrano la perequazione e la giustizia proletaria. Le donne assaltano boutiques per il diritto all’abito fatto bene. Nelle metropoli si organizzavano le spese proletarie nei supermercati. Era un vento nuovo che investiva anche la devianza non mafiosa, faceva rapine in banca, sequestrava ricconi per riscatti, organizzava rivolte ed evasioni di massa dal carcere, cose mai successe prima.

Una Nazione dentro una Nazione

La sinistra extraparlamentare per molti anni fu un popolo vero, una società dentro la società, una vera “nazione indiana”: “indiani metropolitani”, come si autodefinivano nel '77.

Con linguaggi propri, giornali, stili di vita, abitudini sessuali, sistemi di convivenza, estetica, canzoni, libri, film, concerti, ristoranti, bar, vestiti, capelli, scarpe, modi di viaggiare, sistemi di mobilità, ecc., “alternativi” al “sistema”.

Sistemi cognitivi nuovi ed eclusivi (cognizione prporia dello spazio e del tempo) e sistemi di riconoscimento ed empatia molto marcata.

Una sinistra diffusa, senza rappresentanza parlamentare o quasi, qualche mediazione avveniva in fabbrica con i sindacati.

Una sinistra cosmopolita identificabile ovunque. Si poteva andare in bici o con l'autostop da Trento a Palermo, o da Milano a Parigi o in Svezia, senza una lira in tasca, si trovava sicuramente in ogni città chi ti ospitava o ti dava un panino per mangiare o chi divideva con te quel poco che aveva.

Le radici del 77

Intorno al '77 si ha un salto antropologico, culturale della tipologia del “ribelle”.

A fianco di quelle storiche e più politiche delle BR prendono via degli strati pre-politici di ribellione sociale, di “Jacquerie ” di rivolte spontanee. Nel “movimento” si affacciavano situazioni che a seconda dei casi si possono definire pre-politiche, trans-politiche o post-politiche.

Questi nuovi “extra” politici non volevano passare al “socialismo reale” con partiti leninisti egemoni. Per esempio Prima Linea, il gruppo di Radio Alice o gli informali o molti altri minori, che si autoorganizzavano alla bisogna su obiettivi precisi.

I post-politici sono più difficili da definire a parole, qualcuno li chiamava “scapocchioni” (coloro che perdono tempo e che non vogliono impegnarsi in niente di serio), coloro che vivevano l’impegno sociale con/attraverso l'uso di droga e la musica; diventato un fenomeno di massa nei raduni e nei concerti. Sul fronte culturale, il fumetto andava alla grande, le riviste come Ranxerox, Cannibale, Frigidaire, Il Male, ecc. narrano, descrivono abbastanza bene l’universo della post politica di quell'area.

La metropoli aveva sfornato un nuovo soggetto sociale

La fine dell’operaio-massa passa per un nuovo soggetto sociale.

Socio-ecomicamente questo non apparteneva più all'esercito di manodopera di riserva, né materialmente né culturalmente; le ristrutturazioni capitalistiche che avevano attirato nelle metropoli parecchia manodopera dalle campagne, ora incominciavano a lasciare “libere” molte braccia ormai inutili allo sviluppo capitalistico (i primi precari). Questa nuova generazione cresce lontana idealmente e realmente dall'operaismo novecentesco, dal produttivismo del movimento operaio-massa classico. (quello dell’etica del lavoro che il partito comunista brandeggiava come arma per subordinare l'operaio al sistema dello “sviluppo” paese anche con l’austerità, l'imposizione dei sacrifici, il farsi carico della crisi, ecc. ecc.: il modello berlingueriano del “patto tra produttori”!).

I Nuovi soggetti sociali erano lontani quindi dal “sindacato”, dai “partiti”, dalla politica inciucista e naturalmente anche dallo “Stato”.

LE BR

E' nel brodo gorgogliante del movimento del '68-'77 (durò fino '82-'84) che nacque la lotta armata. Era espressione prevalente dell'operaio-massa, dell'emigrato, della sinistra del PCI delusa, dei giovani cattolici di sinistra, studenti, fino ai membri della nuova devianza (in rottura con le mafie) aggregatesi in carcere.

La costellazione armata tra resistenti e insorgenti

Dalla strage di Piazza Fontana in poi sorgono diverse sigle di comunisti combattenti2. Si capiva che era in corso un progetto di deriva dittatoriale sospinto dagli USA, sulla falsariga del modello sud-americano e non si poteva essere impreparati o aspettare la repressione..

Come vedremo, si formarono innumerevoli organizzazioni armate, di resistenza o che si affacciarono nella lotta armata pensando che l’offensiva, lo smembramento della reazione fosse meglio che aspettare che essa facesse la prima mossa.

Tra le molte sigle di combattenti è da segnalare una novità originale: i Nuclei Armati Proletari nel meridione composta da ex carcerati e disoccupati, una formazione che sintetizzava bene la realtà del Sud.

Al Nord invece, dalla scissione di Lotta Continua vennero fuori i Comitati Comunisti Rivoluzionari, le Unità Comuniste combattenti e Prima Linea (quest'ultima fu per numero di aderenti la seconda organizzazione rivoluzionaria dopo le BR).

Quella di organizzarsi militarmente fu una reazione diffusa, spontanea, persistente che attraversava tutto il proletariato emergente.

In quel tempo ci fu un lungo periodo con atti di cronaca rivoluzionaria ogni giorno promossi in piena autonomia dalle organizzazioni più strutturate. A questi andrebbero aggiunti i numerosi sabotaggi nei luoghi di lavoro sotto il meta-pensiero: “salari di merda lavoro di merda”. Così come i tanti piccoli nuclei spontanei che si organizzavano alla bisogna all'uscita della fabbrica per il taccheggio alias “spese proletarie”. Da segnalare infine alcuni nuclei numerosi composti da sole donne, studenti, disoccupate, precarie od operaie che la sera o il sabato con vari espedienti rapinavano i negozi di lusso del centro-città rivendicando il diritto al buon vestito, alla borsa vera, alle scarpe decenti.

#STORIA DI DUE COMPAGNI#

L’esercito rosso

Nella lotta armata in Italia le BR erano buona compagnia, molte sigle erano provvisorie o "civetta" e alcune più stabili. La questura le registra in ordine alfabetico: Azione Rivoluzionaria, Barbagia Rossa, Brigate Comuniste, Brigate d'assalto Dante di Nanni, Brigata proletaria Erminio Ferretto, Brigata XXVIII marzo, Cellule di offensiva rivoluzionaria, Collettivi politici Veneti, Comitati Comunisti Rivoluzionari, Prima Linea, Esercito del popolo, Gruppi armati radicali per il comunismo, Esercito popolare di liberazione GAP, Formazione Comuniste Armate, Formazione Comuniste Combattenti, Fronte Armato Rivoluzionario Operaio, Fronte Comunista Combattente, Fronte Popolare di liberazione, Guerriglia Rossa, Guerriglia Comunista, Guerriglia Metropolitana per il Comunismo, Guerriglia Proletaria, Gruppi Armati Proletari, Gruppi d'Azione Partigiana, gruppo XXII Ottobre, Lotta Armate per il Comunismo, Lotta Armata potere Proletario, Movimento Armato Sardo, Movimento Comunista Rivoluzionario, Movimento Proletario Resistenza Offensivo, Nuclei Armati Comunisti, Nuclei Armati Comunisti Rivoluzionari NACORI, Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale, Nuclei Armati Potere Operaio, Nuclei Armati Proletari, Nuclei Contropotere Comunista, Nuclei Comunisti Combattenti, Nuclei Comunisti territoriali, Nuclei Di Comunisti, Nucleo Comunisti Guerriglia Proletaria, Nuclei Proletari Organizzati, Nuovi Partigiani, Nuclei per il Potere del Proletariato Armato, Organizzazione operaia per il comunismo, Pantere Rosse, Prima Linea, Primi Fuochi di Guerriglia, Proletari Armati per il Comunismo, Proletari Armati In Lotta, Proletari Comunisti Organizzati, Reparti Comunisti di Attacco, Ronde Armate Proletarie, Ronde Proletarie per il comunismo, Squadre Armate Comuniste, Squadre Armate proletarie, Squadre Operaie Armate e Unità Comuniste Combattenti.

Parliamo qui solo di quelle note, di sigle registrate in questura per azioni armate che avevano realizzato, ma il corso della loro storia è stato vario, alcune si sono accorpate, altre divise, altre estinte.

Poi a fianco di queste sigle c'erano i “fazzoletti rossi” della Fiat, le ronde operaie durante gli scioperi che stanavano i crumiri, gli impiegati e dirigenti, con le innumerevoli forme di sabotaggio. Operazioni tese a far capire alla dirigenza Fiat che senza operai non si controlla la fabbrica!

E questo non succedeva solo nella più grande fabbrica d'Italia, ma altrove, da Marghera a Taranto a Bagnoli si rispecchiava lo stesso clima.

A livello internazionale in contemporanea c'erano molti movimenti analoghi, ognuno cercava di praticare coraggiosamente una “Terza Via” al comunismo, fuori da sudditanze di USA e URSS che all'epoca occupavano lo spazio-tempo, sia sociale che politico-militare su scala planetaria.

Il vento rivoluzionario soffiava sia in realtà “arretrate” come Cuba, Vietnam, Palestina, Iran e in molti paesi del Sud-America (Sandinisti, M-19, FARC, Sendero Luminoso, Tupamaros, zapatisti e tantissimi altri), in Africa e naturalmente in diverse una realtà occidentali avanzati: Irlanda (IRA), Spagna (GRAPO e ETA), ma si videro anche in Giappone (Sekigun-ha = Frazione dell'Armata Rossa, Esercito Rosso), Usa (WU, Black Panter), Canada (FLQ), Francia (AD), Belgio (CCC), Germania (RAF e RZ), Grecia (17N), Turchia (DEV-Sol- PKK).

In Italia il movimento armato ebbe con una sua connotazione specifica. Nel nostro più che in altri paesi c’è stato un vero e proprio assalto al cielo. E’ stata la lotta armata comunista più lunga e diffusa di ogni altro paese avanzato della storia moderna (escluso Spagna-ETA E Irlanda-IRA, con rivendicazioni nazionaliste e/o avevano problemi di dittature fasciste)

Non solo Moro

In Italia di quel periodo non c'era una città, grande o piccola che fosse, esente dalla lotta di classe, in ogni angolo del nostro paese si era formato, organizzato uno o più gruppi o gruppuscoli extraparlamentari di resistenti o insorgenti.

Sulle BR bisogna sparigliare subito alcuni luoghi comuni e opinioni sballate che girano sulle BR e il sequestro Moro. Va detto che:

  • La lotta armata è stata il portato di un più vasto movimento e con Moro si voleva principalmente processare una classe dirigente anticomunista e antioperaia che aveva governato ininterrottamente dal 1947. L’obiettivo non era una condanna fisica del personaggio ma politica come classe dirigente. Se lo si voleva morto lo si faceva subito, tecnicamente era molto più semplice.

  • Con la sua ferrea e assurda “linea della fermezza” (nota: “fermezza” che non si applicò con il sequestro di Cirillo  - altro notabile DC del meridione -  sequestrato successivamente e poi liberato), il PCI e il vertice della DC preferivano insieme un Moro morto, in quanto per loro era diventato un ingombro. Ci fu una co-gestione DC-PCI sulla questione Moro che portò alla costruzione di un muro “sanitario”, una militarizzazione dell'informazione non solo verso il paese ma anche intorno alla sua famiglia. Eressero una cortina di ferro sulle informazioni in modo da far apparire realtà costruite invece ad arte. Crearono nel paese un clima nazionale di terrore, paura, ansia nella popolazione (sostenuto da stampa e TV); fecero dei posti di blocco con il grilletto facile, con arresti e perquisizioni di massa sia per terrorizzare la massa sia per far passare il fatto che Moro era spacciato. Questo era tale il clima di misconoscimento di Moro prigioniero, sia come persona che come autore di lettere accorate ai suoi colleghi di partito, un clima creato era di darlo come spacciato, morto anzitempo o comunque provato mentalmente, inabile cognitivo. Intorno alla gestione moro si era creata una cortina dei più squallidi personaggi dei servizi internazionali e nazionali che avevano militarizzato tutto il paese, posti di blocco in borghese con agenti dal grilletti facile (dove ammazzarono diversi innocenti passati sotto traccia). I comunicati di DC e PCI e quelli della questura facevano filtrare l’idea che anche in caso di liberazione senza condizioni di Moro non era sicuro che sarebbe arrivato vivo a casa sua. Il messaggio era palese: il clima creato dalle istituzione era quello di un Moro diventato un personaggio scomodo o inutile, esso valeva più da morto che da vivo, tanto avrebbero comunque attribuito tutto alle BR la colpa della sua morte.

  • "Non c'erano agenti infiltrati nelle BR!" è stato ripetuto dai protagonisti (sani di mente) in tutte le salse. Ma il PCI, per pararsi il culo dell'ignominia del suo operato in quel periodo, continuava (e i suoi eredi continuano ancora oggi) a lanciare insinuazioni senza MAI mettere giù delle prove concrete. Si appoggiava (e si appoggia ancora oggi) ai suoi cortigiani intellettuali para-storici come per esempio Gotor, che fa dell'iper-realismo storico sbagliando tutte le connessioni. Rifiutando sempre e comunque un confronto pubblico con i protagonisti su questa storia.

Come si è detto, Lotta Armata è stata il prodotto, il portato di un vastissimo movimento caratterizzato da volontà trasformative, é stata il punto più alto di questa ricerca e impegno, è stato una freccia lanciata verso il cielo.

Le BR erano solo una parte della Lotta Armata: prodotto - e parte integrante - di un ben più vasto movimento che puntava diritto a modificare gli attuali rapporti di produzione. Praticavano la LA con gli strumenti culturali e materiali che la cultura del tempo metteva a disposizione.

Tecnicamente, come guerriglia metropolitana, le BR erano senza meno tra le meglio organizzate e affidabili del più vasto mondo della Lotta Armata. Sono riuscite nel loro intento applicando il metodo scientifico tayloristico (ereditato dalle esperienze di fabbrica) usato sia nella struttura organizzativa che nelle azioni.

Un obiettivo complesso che sembrava difficile veniva in questo modo parcellizzato in tante fasi, in tanti pezzettini che venivano risolti uno alla volta; la montagna la si scala un passo alla volta.

In questo modo un obbiettivo complesso che sembrava difficile, lo si parcellizzava in tante fasi, in tanti pezzettini e uno alla volta lo risolvevano; la montagna la si scala un passo alla volta.

Il metodo scientifico che le BR usavano nel progettare le azioni era abbastanza usuale: cercavano di eliminare tutte le variabili possibili, studiavano i possibili imprevisti e li riducevano al minimo

Ciò richiedeva tempo per le prove e gli addestramenti da fare con i neofiti. E questo ha permesso a massaie, operaie e studentesse che mai lo avrebbero sognato di fare azioni armate, sequestri e rapine per finanziamento!

Con questo metodo si è riusciti a portare persone comuni a fare azioni armate (superando il ruolo classico di vivandiera e staffetta della Resistenza per le figure femminili). La particolarità delle BR era proprio l’assenza di “professionisti” o specialisti; anche le grandi azioni erano configurate affinché comuni proletari e proletarie potessero avere un ruolo importante.

Anche da questo punto di vista le precedenti esperienze partigiane erano inutili, come erano inutili le esperienze guevariste o della resistenza palestinese (e men che meno quelle alla 007). Nelle BR non si sono mai fatti tipi di “addestramento” particolari, militari, e non si sono neppure cercati di fare.

Per questo si può affermare che fare la guerriglia in una città metropolitana moderna con studenti, operai e donne è stata una storia originale, senza pari, senza precedenti. Le BR sono state di una novità unica, si sono dovuti “inventare” tutto, da come si ruba un’auto a come contraffare documenti e targhe, come rapinare una banca o sequestrare una persona, oppure cercare di ferire senza danni, ecc, ecc...

I più “vecchi” insegnavano ai neofiti (sulle orme della scuola di Barbiana ) sia l'arte della guerriglia metropolitana che lo studio e l'analisi sociale, ritenuti altrettanto importanti per un militante.

Per motivi pratici le BR avevano una forma organizzativa che più ad un arcipelago con tante “isole” (le “colonne”cittadine) che non una piramide e prefigurava le nuove forme di organizzazione del lavoro in fabbrica post-fordiste.

Le BR sia nei suoi aderenti che sul piano culturale e orientativo erano indubbiamente figli di loro tempo in tutto e per tutto.

 

IL FINALE DEL DECENNIO ROSSO

Le Brigate Rosse sono state l'ultimo lembo, l'ultima espressione di classe organizzata comunista del '900, il secolo breve che andava a chiudersi negli anni 80. Moro medesimo è stato l'ultimo grande atto rivoluzionario di una realtà sociale in via di trasformazione, e l'ultimo atto del processo di costruzione del comunismo fuori dei grandi blocchi imperiali.

Sopra si è spiegato perché c’è stata la lotta armata in Italia, si tratta ora di capire perché si è protratta a lungo e perché essa è durata più di ogni altro paese occidentale (a parte i movimenti nazionalisti) e come e perché si è conclusa.

Spesso si danno spiegazioni militariste e soggettiviste (tradimenti e defezioni) che non spiegano nulla del portato sociale, il rapporto che ha generato il fenomeno, che definiamo per la sua portata, di vera e propria guerra civile.

Per questo la Lotta Armata in Italia è durata più a lungo di ogni altro paese, e per gli stessi motivi strutturali è finita3.

Tra questi motivi qui se ne propongono alcuni, quelli che si ritiene più significativi che portare alla fine la Lotta Armata e più in generale della conclusione alla fenomeno di opposizione di massa degli anni '70.

  1. Il venir meno delle condizioni di partenza: operaio-massa, e fine dell’industria 2.0.

  2. Il problema degli strumenti culturali delle forme organizzative. Da un lato il marxismo in versione leninista e dall’altro il partito, il sindacato, le masse. Strumenti arcaici, assolutamente inadeguati a comprendere e modificare il nuovo modo di produzione e il corrispettivo proletariato emergente.

  3. La “guerra dell’oppio”4 messa in atto dal potere in Italia negli anni '80 con un patto Stato-Mafia (argomento totalmente sottovalutata dalla sinistra).

  4. Non si era costruita una articolazione di classe dirigente in grado di rimpiazzare quella borghese nelle fabbriche, nella finanza, nello Stato e negli Enti Locali. Sembra una banalità, ma per chi si pone l’obiettivo di costruire un'alternativa al capitalismo questo è un argomento fondamentale. A maggior ragione nel capitalismo avanzato, dentro una società complessa. Avremmo fatto la fine di Lenin, prendi il potere politico, cacci i borghesi, per poi pregarli di tornare perchè non funzionava più niente. Anche questo argomento al tempo non era in agenda. E qui non si approfondisce, in quanto argomento di un altro libro.

Spieghiamo meglio le tesi

Molti compagni in carcere in quel periodo (agli inizi degli anni '80) si sono accorti di essere stati scalzati, sbattuti fuori della storia, perché “l'erba sotto i piedi”, la base sociale proletaria, era nel frattempo repentinamente cambiata.

Il crepuscolo di un movimento storico non riguardava solo “le avanguardie” bensì coinvolse il movimento operaio ma impiegati e lo staff dei capetti da sempre più prossimi al padronato. Un esempio storico è la Fiat in via di ristrutturazione.

Agnelli si dimette dalla Fiat e il nuovo AD Fiat, Romiti, dichiara esuberanti migliaia di operai e chiede la cassa integrazione per 22.000 operai e 2.000 impiegati e quadri. Gli operai per protesta misero in atto 35 giorni di scioperi (ci furono anche 61 licenziamenti Fiat per “terrorismo”).

In risposta allo sciopero duro degli operai ci fu la patetica marcia dei 40.000 “colletti bianchi”, contrari allo sciopero, che  fu un terremoto: colletti bianchi contro tute blu, una spaccatura orizzontale sconcertante.

Ma la storia è quel che è, va per conto suo, al contrario di quanto i quadri intermedi Fiat (colletti bianchi) speravano, il loro corteo si è dimostrato essere anche la loro la marcia funebre, era iniziato il momento del declino di quella che “fu” il Fiat-impero.

Con la marcia, i crumiri non salvarono nessun posto di lavoro, c'erano anche le richieste di esubero anche per impiegati e quadri, quindi erano stati solo degli utili idioti! La chiusura di un’epoca fu brutta per tutti.

E come sempre nei momenti di grande congiuntura, se il movimento in generale (compreso le sue avanguardie) non sono in grado di dare risposte adeguate, di avere delle soluzioni sociali, di avere alternative egemoni (che coinvolgono anche il ceto medio), la storia cambia, ma per il verso peggiore soprattutto per chi è rimasto con il cerino in mano.

Quindi non fu una sconfitta militare – come sostengono i compagni romanticisti –, e non fu una sconfitta politica – come sostengono gli eredi del PCI –, ma semplicemente la società era cambiata, il paesaggio sociale ed economico della III rivoluzione industriale aveva trasformato la “scenografia” e gli “attori” sociali vi operavano!

Il “copione” culturale-filosofico che si aveva, ritagliato su un preciso soggetto sociale come vettore rivoluzionario, non era più in grado di “funzionare”, di spiegare, di far intelligere la società ai dirigenti politici, di dare senso alla tradizionale novecntesca narrazione del passaggio al comunismo!

Un'epoca si era chiusa e, quel che è peggio, non si riusciva neppure a essere testimoni narrativi dell'epoca passata.

Mai come allora si era toccata con mano la speranza di modificare la società, ma la velocità della trasformazione della geografia sociale andava avanti per conto suo. Lo spazio-tempo della società emergente batteva ritmi e percorreva spazi diversi.

Quelli che una vota erano avanguardie si trovarono fuori passo, gli ancestrali strumenti culturali non seguivano più il ritmo giusto e non spiegavano più niente e per questo erano diventati retroguardia.

Quello che per i più ostinati sembrava un riflusso in realtà era la centrifugazione accelerata che provocava capovolgimenti dei soggetti sociali tutti travolti dentro la rivoluzione del capitalismo che andava a stravolgere diverse sue fondamenta: le forme di accumulazione classiche non erano (solo) più quelle, la forma di estrazione del plusvalore era cambiata.

Era in atto la III rivoluzione industriale, e questa ha lasciato tutti i compagni spiazzati, paralizzati di fronte all'implacabile capacità della struttura capitalistica di aggiornarsi – che sembrava morente, “all’ultimo stadio”– di creare nuove metodologie produttive [e superare la scarsità di profitti che il vecchio modo di produzione (fordista) aveva condotto], e soprattutto aveva dimostrato la sua forza di “stare a galla" come sistema.

Lasciando in brache di tela tutta la sinistra rimasta ancorata al pensiero e forme di organizzazione fordiste.

L’erba sotto i piedi delle BR

Intorno agli inizi degli anni '80 - come tutti, anche le BR si sono trovate a rincorrere i cambiamenti. Molti compagni erano nelle carceri speciali,  subivano la velocità delle trasformazioni in corso fuori le mura e via via che il tempo passava restavano sempre più un passo indietro rispetto a un “fuori”. Questo era dovuto soprattutto al fatto che di fronte a quella portata di cambiamenti gli strumenti culturali in possesso erano inadeguati, inutili e spuntati.

Probabilmente quei cambiamenti covavano sotto la cenere già da prima, ma i compagni non furono capaci di coglierli, vedevano solo i limiti del capitalismo e non la sua capacità rigenerante.

Il gioco delle maschere nelle istituzioni

Vennero meno i partiti di massa e la concezione classica “masse-partito-potere”, ossia della presa del potere (realizzata in modo elettorale pacifico o in modo armato), per poi cambiare la società in senso comunista o socialista, era giunto al capolinea. Con la fine dell’operaio-massa vennero meno le ideologie fondate si di esso e le forme organizzative dei partiti (fordisti-tayloristi) erano diventate fuori corso per motivi oggettivi, storici. Crollarono tutti i partiti di massa con tutte le articolazioni intermedie, al loro posto sorse un “populismo dall’alto” (Craxi-Berlusconi-Renzi) e la “fase progressiva dei diritti” vene derubricata per la fase delle controriforme. La politica diventava autoreferenziale.

La fase dei cambiamenti torrenziali investì cultura e politica. Gli scandali di “mani pulite” dimostrarono come meglio non si poteva la estrema velleità estrema del compromesso storico di DC e PCI, della loro doppia faccia: di giorno dagli scranni del parlamento davano lezione di democrazia, di progresso e riforme, di notte discutevano come mettere le mani in pasta nella spartizione delle risorse statali e avviare controriforme.5

Partiti che da rappresentanti delle borghesie industriali sono passati a rappresentare cementificatori, che a loro volta erano in collusione (per motivi finanziari o strutturali) con la mafia diventata una cassaforte piena di soldi generati dallo spaccio della droga.


1 Manifesti murali disegnati, scritti a mano o serigrafati, a grandi caratteri, dal contenuto perlopiù politico, ripresi dalla Cina Maoista.

2 In Italia, la “Banda Cavallero”, i GAP, Gruppi d'Azione Partigiana di Feltrinelli, e il Gruppo XXII Ottobre furono in certo senso dei precursori di molti movimenti armati.

3 La repressione e il pentitismo sono stati solo  di corollario agli aspetti strutturali che erano in corso nella società. Anche se politicamente la repressione fu particolarmente feroce e molto fascistoide, spesso compiuta da personaggi che si definivano di sinistra (PCI).

4 (Cina, dal 1786 al 1860) Nel tentativo di piegare l’impero cinese agli interessi imperiali inglesi, questi iniziarono a vendere l’oppio prodotto in India in modo clandestino, e contro le leggi cinesi; lo smercio di oppio in Cina passò da 120 tonnellate nel 1800 a 2.400 nel 1838. I crescenti interessi attorno allo spaccio dell’oppio, oltre la corruzione, aveva favorito la formazione di una rete di delinquenza organizzata controllata dagli inglesi. L’impero cinese capitolò, con il trattato di Tianjin (1858-1860) e, oltre pagare un'indennità pesantissima, dovette aprire suoi porti e concedere la libera circolazione sul suo territorio e la rete fluviale a mercanti, missionari stranieri e alle flotte delle potenze occidentali.

5 La sinistra italiana abbraccia il “blairismo”.

LO STATO MACCARTISTA

Lo Stato e la democratura dei partiti italiani prima criminalizzarono l'opposizione sui media e nelle sezioni di partito, dove da “facinorosi”, “capelloni”, “anarchici”, “delinquenti”, passarono poi dei “terroristi”.

Passare poi dalle parole ai fatti per le “larghe intese” fu breve; leggi speciali, tribunali speciali, inquirenti speciali, carceri speciali, torture e omicidi furono di ordinaria amministrazione e dettero origine a un governo totalitario - senza opposizione - alla guida di uno Stato unicamente repressivo, narrazioni da pensiero unico.


 

Puntualizziamo che al tempo parlare di pacifismo o di “via democratica” così come se ne parla oggi è del tutto fuorviante, vuol dire operare solamente sui miti, vuol dire fare revisionismo storico, del soggettivismo volontaristico, vuol dire assolutizzare, a-storicizzare tutto il movimento di lotta di classe del tempo, ossia fare una mera interpretazione ideologica. Perché al tempo non c’era di fronte uno Stato o una politica dialogante, ma un apparato fascista totalmente imbiancato.

La caccia alle streghe

Legittimare il potere dello Stato, a prescindere dal tipo di Stato, è un grave errore, in quanto - va ricordato - lo Stato è l'unico “legittimato” a usare la forza nei conflitti sociali -oltre che reprimere le forme di comportamento asociali dei singoli. Se vengono meno i contrappesi politici, soprattutto con uno Stato ereditato dal fascismo, la deriva autoritaria è assicurata. Quindi legittimare alla cieca vuol dire non aver capito la natura dello Stato medesimo.

Quando lo Stato fa uso in modo reiterato e ampio delle forme di terrore di massa, terrore usato come strumento politico, abusato ad arte come forma di repressione/ dominio sulle classi in-subordinate.

Quando lo Stato fa ampio uso del diritto nelle sue forme fasciste (Codice Rocco), o peggio, sospende i fievoli diritti e ci aggiunge sopra ci aggiunge un surplus di le leggi speciali che comportano l’ulteriore riduzione delle libertà individuali e sociali, fino alla tortura e omicidi mirati.

Le leggi liberticide consentivano ricatti, si arrestavano i familiari per costringere i detenuti a confessare.

Hanno accentrato i media e i poteri istituzionali, costruito tribunali speciali e carceri speciali; usato il terrore e l’arresto facile come clava per il controllo sociale; eseguito condanne da parte di tribunali con giurie popolari selezionati tra i fedeli del partito (PCI). Insomma in quel tempo hanno archiviato la costituzione (anche se traballante) per far uso di tutta la versione fascista dello Stato di classe.

Le “sante” inquisizioni

Si misero da parte i già scarsi strumenti democratici previsti dal codice Rocco (sistema giuridico inquisitorio ereditato dal fascismo). Il sistema inquisitorio prevedeva la figura del giudice e quella dell'accusatore come un unico soggetto, non esistevano accusatore e accusato come parti processuali in senso proprio.

Come nel medioevo, è l'inquirente ad avviare d'ufficio il processo, introdurre le questioni di fatto, esso aveva il monopolio per acquisire le prove e controprove e valutarle; e lo faceva in modo del tutto indipendente dalla difesa.

Inoltre, a differenza del sistema accusatorio, il processo inquisitorio è tendenzialmente scritto e non è previsto un pubblico dibattimento sulle singole prove e controprove (in modo visivo) da parte dei difensori al cospetto dei giudici e giurati.

Per chiarire meglio, nel sistema civile, il metodo accusatorio prevede un giudice con un ruolo neutrale: sono le parti - colui che è stato accusato del reato (assistito dal suo difensore) e chi lo accusa - ad avviare il processo e ad introdurre testimoni e prove; solo le prove così allegate possono essere esaminate dal giudice.

Le due parti (accusatore e accusato) hanno un ruolo attivo nell'esame e nella ricerca di prove e controprove concorrono a interrogare i testimoni.

L'attività processuale durante udienze è orale è pubblica.

Un ventennio di buio della Repubblica

Nel primo decennio (anni ‘70) si mise in atto il terrore di Stato, sul modello maccartista dell'America anni '50, con la diffusione della paura e di terrore mediatico come strumento politico nella lotta di classe e generazionale; il potere fa ampio uso dell'arma della pervasiva narrazione mediatica del “nemico alle porte”, del capro espiatorio su cui scaricare i mali e disagi sociali veri o artefatti. L’uso e l’abuso del “pugno di ferro” come strumento necessario per “salvare il popolo”. Grazie all’ampio uso di opacità delle strutture decisionali ed esecutive si sono represse tutte le forme di opposizione sociale.

Una vera vergogna per ogni Stato di diritto durata dieci+dieci anni: la vera pagina della “notte della repubblica”!!

Perchè non pagha del maccartismo, nel decennio successivo negli anni ‘80, la nomenclatura attua la guerra dell’oppio come proseguimento della “guerra di classe con altri mezzi”, come schiacciamento preventivo di possibili insorgenze delle problematiche sociali.

Lotta di classe e generazionale

Le statistiche ufficiali dicono che abbiamo avuto 20.000 mila indagati per banda armata, 6 mila incarcerati per lungo periodo (a parte le carcerazioni preventive anche di due anni per poi essere prosciolti). In pratica tutta una generazione sui vent'anni, politicamente attiva!!! Con le leggi speciali e il codice Rocco in mano, carceri speciali e tribunali speciali, senza una difesa nè l'obbligo di prova si terrorizzò in questo modo tutta la popolazione1.

Lo Stato autoritario e corporativo sotto la guida di Cossiga-Pecchioli (DC-PCI), che avevano sotto controllo il parlamento e i media di Stato, riusciva in questo modo a soffocare ogni informazione non allineata. La borghesia fu libera di colpire impunemente tutte le conquiste operaie raggiunte fino ad allora (e fu solo l'inizio, a quanto pare).

Con questi dati che parlano da soli va ribaltata la domanda: “perché una pluralità di giovani scelse la lotta armata?” in “perché dei giovani proletari non l'hanno fatta o almeno, se non sorretta, vista con simpatia?

 

LA GUERRA DELL’OPPIO

Gli anni ‘80 e '90 vengono ricordati per J. Travolta e più tardi nella “Milano da bere” ma c’è una grande rimozione di quello che successe veramente in quel periodo.

Lo Stato del terrore

Due sono gli elementi centrali, storici, di quel periodo: il terrorismo di Stato (neo-maccartismo) e la seguente la guerra dell'oppio.

Il primo decennio fu segnato dalla repressione diretta, con le carcerazioni preventive, le carcerazioni “trasversali” (s'incarceravano i parenti per ricattare il congiunto militante), il potere praticava il terrore di massa.

Il lavoro “pesante” la costruzione del clima favorevole al terrore è stato svolto dai media diffondendo, in un clima pestifero, la paura del “terrorista”. Un tema condito in tutte le salse sempre a titoli cubitali, quotidianamente e a tamburo battente. Bastava non essere d'accordo con i partiti di governo o i sindacati ufficiali per essere marchiato come terrorista. Il clima maccartista ebbe la sua consistente efficacia!!

(Ricordiamo che in parlamento non esisteva più un'opposizione da tempo, ma c'era un “monocolore” di fatto, il “governissimo”, annullando ogni contrappeso istituzionale, agiva da dittatore sociale e agevolato dalla logica spartitoria)

La parola “terrorista”, che non spiegava niente (e non spiega niente tuttora) dello scontro sociale in atto, era usata sia per oscurare le richieste politiche che come clava nel dibattito politico.

La parola “terrorista” era abusata anche per mettere a tacere le lotte sociali, per creare la “pace sociale” nella paura e nel terrore.

Lo Stato dei narcos

Di seguito al maccartismo, negli anni '80, il potere scatenò “la guerra dell'oppio” (sulla falsariga di quello che fecero gli anglo-francesi contro i cinesi - 1856-60. ) 2 .

Di questo periodo se ne parla sempre poco, eppure fu una seconda catastrofe generazionale. Lo Stato con diaboliche politiche sulla devianza produsse l’annichilimento preventivo di ogni protesta giovanile, dirottandone i disagi verso una droga economica facilmente accessibile e nei suoi effetti particolarmente feroce e distruttiva: l’eroina.

Gli anni '80-'90 furono caratterizzati da una politica sulla devianza particolarmente cinica e raffinata. Lo Stato, equipara droghe leggere e pesanti, opera la repressione di alcuni reati e l'“agevolazione” altri e con l’inasprimento di pene su determinati reati e lasciando correre su altri, reprime la devianza non organizzata lasciando pascoli aperti a quella organizzata, portò alla mutazione totale dell’illegalità in Italia: nacque la prosperosa filiera delle droghe pesanti più potente d'Europa.

Soprattutto dell’eroina a basso prezzo, con la sua diffusione capillare; “presentata” ai giovanissimi come fuga dal disagio sociale e familiare, in realtà nel breve tempo ne uccise più della peste. Fu una vera e propria strage. La cronaca in terza pagina ogni giorno segnalava vittime per overdose, morti quotidiane per eroina fatta passare dai media come una calamità naturale, quasi come una mano purificatrice dei reietti sociali.

Per prefetti poliziotti e amministratori bisognava emarginare i giovani non la droga.

Questo tipo di “politica sulla devianza” oltremodo favoriva, promuoveva, la criminalità organizzata (le mafie) a discapito di quella ribelle, quella proletaria, senza gerarchia che si era fatta largo negli anni '70.

La criminalità organizzata si trasformarono in multinazionali, con un aumento vistoso della loro presa sulla società e sullo Stato, tutto grazie ai proventi della droga. Nacque una grande economia legale costruita sul riciclo dei proventi dall’esercito diffuso di spacciatori-consumatori vessati ed emarginati.

Iniziò alla fine degli anni ‘70 con la diffusione davanti alle scuole secondarie, licei e istituti tecnici, poi nei parchi e quartieri. Ci fu una rapida e diffusa profusione del “buco” presso la maggioranza dei giovani, irretiti in tutti i luoghi che frequentavano, oltre le scuole, i locali giovanili di quartiere nei bar e discoteche.

Negli anni ‘80 si ebbe un drogato se non un morto per droga in ogni famiglia, una vera mattanza! I drogati venivano trattati come feccia umana sia fuori che dentro le carceri. (Violante in quel periodo è responsabile per le politiche della giustizia del PCI 1980 al 1987 )

Fu una vera e propria strategia di annientamento delle nuove generazioni. Quelle che avrebbero dovuto essere il rincalzo delle precedenti furono colate nell’eroina di Stato. Si è creato così un vuoto di memoria generazionale che ha messo fine alla protesta sociale. Così la generazione degli anni '70 sepolta in anni di carcere, non ebbe testimoni a cui passare l’asta della protesta sociale.

Lo Stato che odia i giovani

#LA GUERRA DELL'OPPIO#

Sul piano legislativo e operativo furono presi provvedimenti che agevolavano i trafficanti di droga su ogni altra forma di devianza, soprattutto le droghe che creano dipendenze: morfina, eroina e miscugli vari (queste, creando forti e rapide dipendenze, rendendevano facile per i “grossisti” creare catene di ridistribuzione usando gli stessi drogati).

Rispetto ad altre forme di devianza fatte da singoli soggetti, (rapine, sequestri e grandi truffe), la diffusione delle droghe “pesanti” richiedeva una piramide organizzativa transnazionale, con al vertice i grandi gruppi di malavita organizzata, poiché le droghe bisognava importarle da paesi lontani, trattarle sia alla fonte che alla distribuzione e quindi costruire una rete “commerciale” con alla base le stesse vittime (gli unici praticamente che affollavano le carceri).

La droga pesante per i grandi gruppi organizzati (mafie varie) fu una ghiotta occasione! Queste divennero delle vere e proprio multinazionali monopoliste che nel giro di pochi anni si evolsero a potenze economiche, politiche e sociali e trattavano alla pari o sopra i loro interlocutori, collocandosi a fianco e sopra lo Stato (Andreotti condannato per mafia è stato solo la punta dell’iceberg).

Grazie ai lauti proventi della droga non solo corrompevano grandi fette dell'apparato statale, ma in molte regioni costituivano un vero Stato-ombra, al Nord queste multinazionali della droga furono una fonte di denaro fresco per grandi opere e imprese di speculazione edilizia.

Il patto Stato-Mafia era in realtà una cosa ben più vasta di quello che si certificherà dopo negli anni '90 3.

Le multinazionali del “buco libero” avevano creato al Sud, il loro porto franco per lo smistamento di droga, il luogo dove la doppia forma-Stato, quella apparente e quella sostanziale, viaggiavano a braccetto. Il territorio, era (ed è) realmente governato da “cupole”, con metodi da proto-capitalismo, che coinvolgeva massoneria-mafia-partiti. Nel Sud si è consolidato uno Stato parallelo allo Stato ufficiale; si è istituzionalizzata la duplicità dei poteri: l'apparente facciata delle formalità di Stato liberal-borghese che nasconde il reale dominio feudalizzato del territorio. Feudale come strutture, ma con economie transnazionali.

Più droga, più affari sporchi

Su queste basi, su questo enorme afflusso di liquidità proveniente della droga s'impianta una nuova classe dirigente, quelli dei palazzinari alla Berlusconi, Toti, ecc. L'intreccio mafia-edilizia-affari-banche in Italia hanno corrotto, saccheggiato e cementificato il nostro territorio; le inchieste di “mani pulite” ha solo scalfito, scoperchiato solo in piccolissima parte.

Non ultimo va segnalato, per la dimensione del giro di affari della droga venuto alla luce, il caso Sindona e Marcincus, dove i proventi della droga della banda della Magliana, in combutta con la banca del Vaticano e la complicità della CIA, furono usati per foraggiare movimenti di rivolta sociale in Polonia (“Solidarność “), per sottrarla all’influenza dell’URSS, e in versione antisocialista (“comunista”) in genere.

Di recente si è passati dal traffico di droga a quello dei rifiuti, a quello delle grandi opere, all'energia ecc.

Ora è difficile districarsi in questo ginepraio istituzionale di interessi consolidati legati al malaffare che ha infettato tutta l’economia italiana.

Un reset generale, una riformattazione sembra l'unica cosa possibile, non sembra possibile alcuna “riforma” che possa rimettere in sesto un sistema così inchiavardato con il supra legem.

 

 

BREVI DI ECONOMIA

#ASPETTI GENERALI E I NUOVI VOLTI DEL CAPITALISMO#

# LA VISION, DELLA SINISTRA ATTUALE #

 

Il Capitale di un certo peso si è via via sottratto al legame con il territorio, si è globalizzato; con l'elettronica è terminata l'organizzazione del lavoro tayloristica e con l'abbassamento dei costi del trasporto e la apertura del mercato globale i capitali vanno di “fiore in fiore” dove c'è più profitto.

Il capitale manifatturiero residuo vive in due scarpe: l’aspetto finanziario e il controllo del processo di progettazione e produttivo-distributivo-logistico, entrambi sono sparsi per il pianeta. Sedi industriali, sedi finanziarie, sedi legali, sedi logistiche, sedi commerciali e sedi direttive possono essere allocate in continenti diversi e in paesi diversi seza che venga meno l’efficienza del sistema.

Il capitalista in quanto tale perde qualsiasi interesse nella gestione diretta dell’impresa e della disciplina diretta verso i dipendenti, non avendo più il legame con uno spazio fisico circoscritto. Il controllo della forza-lavoro passa dalla repressione fisica al dumping salariale. Perché oggi le nuove imprese 4.0 sono più “leggere”, e possono delocalizzare alla bisogna, sono più “duttili” di quelle precedenti (fordiste); in questo modo si sono svicolate da tutti i problemi legati alla forza lavoro, sia sul piano dei conflitti che su quello salariale.

La stessa realizzazione del valore (e quindi del plusvalore) nel nuovo contesto assume forme diverse, si spinge al consumo: attraverso ingenti investimenti in pubblicità si crea un dilagante consumismo che coinvolge e avvolge l’operaio anche nel post-orario di lavoro e si drena valore dalla rendita differenziale, ma di questo se ne parla altrove.

#LA RENDITA# 

 

LO STATO

 Lo Stato sottile

Siamo di fronte ad una modificazione sostanziale sia del modello socio-economico, che della forma Stato. Quello che si ha di fronte è un sistema che non riesce più a garantire la medesima qualità della vita delle generazioni precedenti e la sicurezza nel futuro dei cittadini.

La struttura dello Stato si è modificata; non è più lo Stato-nazione che doveva salvaguardare la borghesia monopolista a base nazionale. Le funzioni di mediazione-direzione economica (politiche economiche attraverso il tesoro, la moneta, la banca d'Italia, la finanza a medio termine, ecc), che assicuravano la redistribuzione della ricchezza, la cura degli ultimi e la giustizia sociale sono state depotenziate e delegate a organismi sovranazionali.

Le funzione di difesa, di pace e coesione sociale, di difesa del territorio che dovrebbero essere i primi compiti di uno Stato-Nazione sono state totalmente azzerate, privatizzate o messe a servizio direttamente di organi extra-nazionali.

Si vive l'assurdo di rogare delle super spese per super aerei, per super navi stealth e per super sommergibili invisibili, per droni arci-sofisticati e marchingegni vari, con super tecnologie e intelligenza artificiale per difendersi da un nemico (al confine) inesistente; e poi non ci sono soldi per far fronte al “nemico climatico” e sismico che crea molti danni e morti con alluvioni e frane. O più semplicemente non si riesce a tenere testa agli immigrati che la Francia ci restituisce in malo modo.

Lo Stato anche in questo non difende i cittadini ma solo i vari Stranamore dell'esercito che inseguono i fumosi interessi imperiali “di scacchiera”.

E’ cosi sulla “Difesa” ed è così su tutti i fronti dove lo Stato esercita i suoi servizi, da quello della giustizia a quello della sanità a quello della scuola al welfare fino alla gestione terremoti e emergenze climatiche.

Un lungo deterioramento del “pubblico” che ha fatto dello Stato un avanzo di Stato, perché è per lo più inutile per i cittadini e per la piccola e media impresa manifatturiera, ma è “utile” solo per il capitalismo-finanza, per il capitalismo mammellare che campa sulla rendita e succhia soldi dalle grandi opere a detrimento del debito pubblico.

E’ uno Stato si risolve sempre fuori e contro i cittadini non solo per le norme e leggi, ma in quanto tale, in quanto “struttura” che produce linguaggi di potere (Foucault) accanto e attraverso i balzelli le tasse che invece di andare a finanziare i servizi finiscono a sovvenzionale la rendita.

Lo Stato e la sinistra

La sinistra vintagevuole ignorare questo svuotamento dello Stato Stato liberal-borghese”, fa finta di niente, anzi continua con i vecchi schemi culturali del passato, credendo o facendo credere che con la conquista dello Stato tutto ne ridiscende e si riprende.

Per tutta la sinistra lo Stato è sempre stato un tabù, una scatola nera a cui delegare tutti i problemi le soluzioni della società. L’educazione della sinistra sullo Stato ha origini nel romanticismo dove lo Stato è: “sintesi sociale”, un super partes,garante, cemento dell'unità sociale e della continuità progettuale della politica.

La sinistra è inchiodata nella narrazione di uno Stato neutrale, uno “strumento” come se fosse una semplice automobile da mettere al servizio del potere politico di turno; come se si potesse separare il medium dal messaggio, la continuità del “servizio” che lo Stato dovrebbe garantire rispetto alla contingenza politica.

Per mille motivi a sinistra si è passati dallo “Stato comitato d'affari della borghesia!” (di marxiana memoria) allo “Stato democratico”, ovvero da preservare per la sua funzione sociale, o meglio per la sua dimensione spettacolo (elezioni, parlamento ecc.), composta di false narrazioni, di promesse non mantenute e senza un minimo di riflessione critica.

In questo vuoto, ideologico che affonda nella miseria culturale della politica, lo Stato smagrito nelle sue funzioni è diventato un sistema automa, che va per conto suo senza scopo né leggi se non l’affermazione della propria autoreferenzialità; e come tale parassitario. E' un piovra, tentacolare, senza testa, senza contradditorio: parassitario, dove paghiamo il servizio, siamo “azionisti”, ma senza averne alcuno e neppure il suo controllo.

Perché nella politica i partiti sono acefali, hanno sì dei leader ma senza “corpo” e anima, sono chimere televisive; leader che non hanno una "vision" che vada oltre le prossime elezioni.

I partiti attuali nelle decisioni importanti, a lungo respiro, strategiche fanno solo proprie “le veline”le direttive, prodotte dai grandi centri studi internazionali della economici-finanziari dell'impero di riferimento.

Non a caso ogni partito che va al governo in tutti i settori importanti alla fine, a parte alcune cose marginali, fa sempre le stesse cose senza distinzione di colore.

Lo Stato in filosofia

Un' altra riflessione più filosofica sullo Stato va posta in discussione a proposito dello Stato moderno. La rivoluzione illuminista-borgese ha posto le basi per unacoscienza individuale ipertrofica: il (super) soggetto dotato di proprietà individuale.

Questa società fondata sull’individuo parte della società egoista e conflittuale, dove gli interessi dei singoli soggetti sono in eterno conflitto tra loro, ebbene questa società di lupi secondo i padri illuministi sarebbe in realtà il motore della civiltà. Per bilanciare la ferocia del nuovo soggetto pre-potente e il valore della proprietà privata, l’illuminismo ha pensato bene di creare delle istituzioni ancora più potenti, allo scopo di impedire che il primato delle individualità in eterno conflitto tra loro possa rendere impossibile qualunque convivenza sociale e civile, per questo ha prodotto: LO STATO (liberal-borghese) ovvero UN SUPER STATO! Uno Stato di potenza senza pari nella storia, con il monopolio della forza.

Un effetto collaterale dell'avvento del super soggetto, fulcro antropologico della nuova società e della sua frenetica attività economica, è stata la presenza di un poderoso quanto inevitabile “fatalismo antropologico” che porta con sé il culto cieco dello Stato iper potente.

In altre parole, si è dato come conseguenza che il nuovo soggetto individualizzato può prendere due strade: la prima si contrappone in maniera individuale (anarchica) allo Stato e l’altra parte è quella di chi considera lo Stato come una sorta di demiurgo totale, un Leviatano a cui demandare le soluzioni di ogni problema umano e sociale (il romanticismo degli Stati-nazione che ha contagiato anche di sinistra).

L’illuminismo ha avuto il limite di aver liberato l'uomo sul piano intellettuale-soggettivistico per portarlo a vivere in modo fatalistico di fronte alle istituzioni e al mercato. Fatalismo di fronte alle strutture create dall’uomo, lo Stato liberal-borghese, il potere e il mercato. Non ha importanza che uno sia suddito o anarchico, insofferente o acquiescente, lo stato rimane una entità incomprensibile, un Moloc, un Levitano assetato dove la comune logica e buon senso non funziona.

Questo perché nel passaggio al sistema capitalistico fu necessario rompere con i valori sociali precedenti, un'era arcaica dove però la fiducia sociale risiedeva nel collettivo e il soggetto era “leggero”; e con forte senso di appartenenza, ogni individuo si sentiva parte di una comunità. Una comunità capace di autogovernarsi in modo cooperativo, magari competitivo, ma mai conflittuale e distruttivo.

Questa riflessione “filosofica” intorno allo Stato e all’iper-soggetto moderno come elementi alienanti è molto importante soprattutto per la tradizione marxista-, perché va ad incidere nella capacità del proletariato di organizzarsi in sistemi consiliari, in sistemi comunitari.

Con l'illuminismo, si è passati dalla ricerca delle libertà dalle “esteriorità fisiche” dall’abito che faceva il monaco: nobiltà, clero, potere politico, economico, istituzionale, religioso, alla libertà come interiorità, come internità: il “cogito ergo sum” cartesiano, è il preciso paradigma della modernità. Un paradigma che prescindere dalle condizioni sociali reali, esterne per dare nuovo senso alla “libertà”, quella asociale, psicoanalitico, speculativo.

E’ una libertà fondata su processi individuali, “coscienze” interiori da far valere e ricercare, dove il contorno, la società (e il collettivo) non esiste più.

Bisogna fare i conti con il marxismo ortodosso caduto nella trappola ,quello dello Stato (e partito) Katéchon4 un errore su cui andrebbe fatto una discreta riflessione. Così come una discussione va aperta sull’individuo pre-potente e asociale.

Ma di questo se ne parla meglio in altro tomo.

 

 

LA SINISTRA RESIDUALE

La sinistra senza vision

Oggi la sinistra (auto-definita tale) sembra che operi senza una sua memoria storica e con analisi molto contraddittorie e raffazzonate.

Non ha riferimenti al passato se non in forma mitica. rimpiange il PCI. E pur trovandosi dentro una società complessa da molto tempo, non solo non fa analisi né dibattiti, questa sinistra ma opera per semplificazioni e approssimazioni e viaggia solo per slogan con niente dietro.

Quella che chiamiamo “sinistra” opera dentro un vuoto pneumatico in fatto di analisi, non riesce a distingue un potere capitalistico da quello finanziario, i diversi interessi conflittuali tra blocchi capitalisti, tra multinazionali e tra queste e la piccola industria; non vede l'espandersi di un potere proto-capitalistico che vive sulla rendita neo feudale. La deriva sulla rendita di molti capitali sia grandi che piccoli si estende a macchia d’olio come un cancro, distruggendo e asfissiando ovunque passa il presente tessuto produttivo.

La sinistra parla di capitalismo come un Moloc monocefalo, facendo enormierrori di semplificazione. Il capitalismo internazionale, e il capitalismo italiano in particolare, è tutto tranne che un monoblocco con coscienza di sé.

Succede che al Sud abbiamo - ma con punte importanti anche al nord - sistemi di produzione arcaici, ovvero di potere pre-capitalistico e borderline ma in qualche modo organici e funzionali al sistema delle lavorazioni industriali e della Grande Distribuzione.

Mentre questi arcaismi al Sud sono strutturali, atavici, al Nord sono il sintomo della regressione del capitalismo, la manifattura che si ritira dai territori lasciando attività precapitaliste o non capitaliste.

#FINE DELLA TEORIA DEI DUE TEMPI#

Economia della parabola discendente

Nonostante la forte contrazione, nel Nord permangono le PMI (Piccole e Medie Imprese) che vengono affiancate dalle Micro-imprese. Queste sono in prevalenza a conduzione familiare e occupano l’80% della manodopera. E’ l’“economia del tempo di mezzo”, né operai né borghesi. Qui la sinistra ha perso il suo “aggancio” con la manifattura sorta al posto della Grande fabbrica e dell’operaio-massa.

Piccoli produttori che in certi momenti e in certe zone possono anche entrare in competizione-conflitto con il grande capitalismo tradizionale o con la grande finanza. Nel primo caso in quanto sub-committenti e nel secondo caso nel rapporto con le banche. E sono diventati il bacino elettorale della Lega dopo essere stati a lungo martellati dalla sinistra istituzionale e da quella estrema che confonde questa piccola borgesia con la grande borghesia.

Il capitalismo che arretra dai territori fa a meno della mano d’opera; una parte di esso punta alla rendita monopolista (privatizzazione di servizi e beni comuni).

Con il ritrarsi del grande capitale verso il centro, la delocalizzazione e la deindustrializzazione hanno lasciato le periferie sguarnite senza fonti di reddito se non le forme pre-capitaliste o il pendolarismo per lo più di servizi verso il centro.

Ovunque questo genera in periferia un nuovo pauperismo che genera conflitti dalla Brexit in Inghilterra ai gilet in Francia (e, in Italia, come voto alla Lega e M5S), e si configura come un conflitto centro – periferia, il centro ricco, con buoni salari e la periferia involuta, povera e con bassi salari.

In una realtà in continua modificazione dove le nuove metropoli si configurano come città-Stato e le periferie che regrediscono dal capitalismo classico: tutto questo richiederebbe un’analisi profonda di queste realtà che dovrebbero essere il cuore del dibattito attuale.

Momento indispensabile alla “modificazione dello stato presente di cose”, ma invece trova aule deserte.

Sinistra di governo e sinistra seduta

Tutta la sinistra o non ha compreso il “lessico familiare” d'Italia o si gira dall'altra parte e fa finta di non vedere ed è in qualche modo complice del degrado. Vince la Lega? E’ stata solo più furba..adeguiamoci.

Abbiamo così una doppia “sinistra”, una sinistra conformista che pensa solo al metodo migliore per farsi eleggere. E abbiamo una sinistra genericamente, “alternativa”, che fa politica come se fosse una vertenza sindacale e si allea con altrettanti sindacati “alternativi” che fanno solo corporativismo estremo.

Non volendo farsi carico del problema strategico, una fetta consistente della sinistra sminuisce, semplifica il tutto e si attesta ad attività marginali nei centri sociali; oppure quella più strutturata lascia invece alla magistratura il compito di risolvere si singoli problemi (vertenze sul lavoro, inquinamento ambientale o questioni sociali). Entrambe le sinistre si rifiutano di ammettere che c'è invece un problema culturale-sociale-politico-economico da risolvere; segno che abbiamo una preoccupante “antropologia culturale” malata.

La via giuridica al comunismo

Questa sinistra minimalista a ondate santifica qualche magistrato che si è distinto nell'applicazione della legalità contro alcuni portenti, dipingendo questi magistrati “trasgressivi” come degli eroi capipopolo ed eleggendoli deputati, senatori o sindaci. In questo modo la sinistra svaporata crede di aver assolto il suo compito sociale e di deresponsabilizzarsi, di mettersi la coscienza in pace, poichè una volta l'ha delegato se ne lava le mani.

A quel punto sopraggiunge il duetto tra i media e il magistrato politico e tutto si trasforma tutto in uno spettacolo, in passerelle televisive. E tutto rimane come prima.

La lunga marcia verso lo Stato

Abbiamo anche una sinistra macondiana” (immobile, immutabile, ripetitiva) che, nonostante i costanti esiti elettorali da prefisso telefonico, continua indefessa, elezione dopo elezione, alla “conquista del potere Statale”. É' decisamente una strategia della “lunga marcia” che, a quanto pare, marcia interminabile.

Non è dato sapere se il fine è la conquista dello Stato cosa prelude, Lo si fa per la (co)gestire dello Stato? Credendo che attraverso questo passaggio si avrà la soluzione di tutti i mali che affliggono l'Italia? E non si capisce bene neppure perché insistono, nonostante che l’esito sia sempre quello: lo fanno per la conquista di una poltrona in parlamento?

Non si sa se questa sinistra prende per il culo se stessa o anche le masse? Perchè ad ogni campagna elettorale rispolverano i programmi della precedente.

Una sinistra che non ha assolutamente presente la complessità del capitalismo finanziario e globalizzato di oggi nè come questo è totalmente indipendente dal singolo Stato (a esclusione delle rendite autoctone); perseguita la cultura dell’operaio-massa senza l’operaio-massa, senza uno studio per la comprensione della nuova configurazione di classe nè della nuova complessa antropologia in atto. Non ha una strategia sullo Stato. Non ha la minima comprensione che ora abbiamo uno “Stato sottile” e “il palazzo d'inverno” è finito da un pezzo.

Una sinistra acefala che non sa rispondere alla domanda “che stato vogliamo”. Uno Stato “moderno”? Uno Stato liberal-borghese? Uno Stato keinesiano?  Uno Stato a socialismo reale? Oppure per l’estinzione dello Stato?

Perché agita il bastone solo contro il “liberismo” (capitalista), sottendendo che esista un capitalismo cattivo e uno buono?


1 Per una comprensione dell'aria da regime che si era creata nella società, si rimanda a “il proletariato non si è pentito” di Adriana Chiaia, (GiuseppeMaj editore 1984), che raccoglie documenti e testimonianze del “comitato contro la repressione” di quel periodo.

2 Fu l'inizio della diffusione delle droghe pesanti, soprattutto morfina a tappeto, sul piano legale furono messe sullo stesso piano di quelle leggere.

3 Ci fu anche il patto trucido tra Vaticano e banda della Magliana!

4 Katéchon nel senso cristiano dove San Paolo si riferisce a colui “che trattiene, frena, rallenta, dilaziona, differisce” l’avvento dell’Anticristo e, al contempo, dell’Apocalisse e della salvezza. Il Katéchon era incarnato insieme dall’auctoritas e dal potestas, dall’impero e dalla Chiesa che insieme avrebbero arginato l’avvento dell’anticristo. La legge civile insieme con la legge morale che dall’alto proteggono, conservano e dettano. Un sistema ordinatore che nella modernità fu incarnato nello Stato e nelle élite (politica, intellettuale, economica, finanziaria e burocratica); il Katéchon usato sia come argine al caos (l’Anticristo, l’anticapitalismo e l’anarchia) sia per gestire dall’alto l'intrinseca complessità “caotica” del Sistema.

TRA “SVILUPPO” IMPOSSIBILE E L’USCITA DAL

CAPITALISMO

 

Nell'immaginario collettivo della sinistra massimalista (e di governo) si pensa che l’interesse del “capitale umano” (sia esso l’operaio qualificato o il precario) sia legato alla ripresa della produzione (di plusvalore); e di fronte dello smagrimento del plusvalore (che porta il capitalismo delle medie e piccole aziende a dipendere fortemente dal pubblico), sopperisce con l’erogazione da parte dello Stato di capitali “a fondo perduto” in diverso modo o diretti (agevolazioni) o indiretti (quando lo Stato investe in “grandi opere” quali che siano, indipendentemente dalle reali necessità, che si strutturano come cantieri eterni)

In fondo... siamo nel post moderno, il vero è il reale che si realizza!


 Invece la sinistra massimalista critica a parole o fa generica critica al capitalismo “cattivo” come al capitale finanziario, e i più estremisti aggiungono l'Euro e le banche centrali ma tacendo o facendo finta che non esiste su “capitali e le imprese” che campano sulla rendita.

Di fatto, tutta questa sinistra (con la scusa che bisogna uscire dalla crisi) mantiene viva la narrazione che bisogna rianimare i profitti aziendali (il plusvalore in crisi), ovvero sostenere il “capitale che investe” e, per i massimalisti: solo se in modo “alternativo”.

Non importa se si è di sinistra sinistra, centro sinistra, o sinistra liberale, di volta in volta si punta su “terziario avanzato”, “l'economia verde”, “le opere pubbliche”, “l'alta tecnologia”, “le manutenzioni idrogeologiche”, ma tutto finisce sempre al solito modo: trasferimento di soldi pubblici ai capitale privato per rimpinguare il fatale “saggio medio di profitto in calo”.

Sviluppo verso il baratro

Sindacati e sinistra massimalista sbandierano di continuo la teologia dello “sviluppo”, per cosa e verso dove non si sa; è uno iato generico che va di moda, perché in fondo non ci credono neppure loro e ci prendono per i fondelli.

Uno “sviluppo” - a parte capire in che direzione e come ci si colloca nella divisione internazionale del lavoro - presuppone l'aumento della produttività sociale e questa si ottiene con la sostituzione di impianti e macchine al posto della manodopera, ma questa – la manodopera - è l'unica che può sostenere o frenare la famosa caduta del saggio medio di profitto (Marx).

Questi “capipopolo”, di fatto insieme con i capitalisti sognano industrie senza operai, ad altissima produttività con robot 24 h, ma questo sega il ramo su cui è seduto il capitalismo.

Come si sa, mentre la curva della produttività sociale si incrementa, si avranno di sicuro più merci ma con meno operai per produrli, quindi meno salari complessivi che possono acquistare le merci prodotte.

Questa è la tendenza generale del capitalismo, un capitalismo che si ritira nelle metropoli e abbandona la periferia lasciando capannoni vuoti.

E qui si vede la contraddizione principale dello “sviluppo capitalistico”: una processione verso il baratro che si sta spalancando, la via alla nemesi sociale.

#LA QUESTIONE MERIDIONALE#

Il proto-keynesismo

La “sinistra” del pensiero debole, abbandonato il marxismo ha abbracciato le tesi socialdemocratiche rispolverando Keynes, ne è venuto fuori un proto-keynesismo adornato di pseudo-marxismo, sempre tutto interno alla logica della valorizzazione del capitale.

Dopo la parentesi liberista degli anni ‘80, il comparto massimalista reclama, diffonde l’idea di poter “controllare” il capitalismo attraverso lo Stato, cosa non riuscita nei paesi dell’Est, ma in Europa questa sinistra si crede più furba!

Di fatto il nuovo Keynes è un keynesismo di crisi, dove lo Stato può al massimo soltanto amministrare i cascami della crisi (crisi ormai pluri decennale e che non accenna a passare perché di fatto è una crisi strutturale). E in questo quadro il “neo” keynesismo non può essere altro che la continuazione del “neoliberalismo” o meglio del capitalismo, con altri mezzi.

La stessa questione impellente della pianificazione sociale delle risorse appare solo in una forma perversa che si trasforma regolarmente nella nazionalizzazione della crisi.

Complementare al keynesismo di crisi, si presenta il programma di una “economia solidale” che tende a smussare gli spigoli del capitalismo. Questi autori, non mettendo al centro la democrazia economica, si limitano a proporre: diventare imprenditore, costruire piccole cooperative, comunità di auto-sfruttamento, orti di sussistenza, centri di acquisto (GAS), monete alternative, ecc.; queste cosiddette “economie dal basso” diffondono l’illusione in un modo di vita e di produzione differente, fondata sulla terra bruciata lascia dietro il capitale che si ritira nelle metropoli (sulla scia dei capannoni vuoti e disoccupati lasciati a terra dal capitalismo nella sua fase calante). Oltre a fare da colmatore della disoccupazione crescente, e su questo non ci sarebbe nulla di male, ma il problema nasce dal fatto che queste economie mantengono intatti tutti i capisaldi delle regole capitaliste, operano nei suoi vuoti come sistema ancillare, senza un progetto di sostituzione progressivo del capitalismo ormai alla frutta perché non riesce a garantire a tutti la medesima qualità della vita precedente.

La democrazia va al mercato

Rivendicare come si fa “più democrazia”: è sempre intesa come uguaglianza sulle libertà formali, ma questa è già realizzata, e coincide con la società degli uomini senza qualità. Così come le merci, tutti i cittadini in “democrazia” sono misurati con lo stesso metro, sono porzioni quantitative della stessa astrazione; che poi nella realtà tutte le porzioni siano uguali è impossibile perché le merci - e dunque anche la democrazia - sono intese in senso astratto capitalista.

Senza democrazia economica non c’è vita

Mettere in cantiere la realizzazione della reale democrazia vuol dire fare i conti con la democrazia economica, cosa che porta diritto diritto a fare i conti con il capitalismo; il compito di oggi è il superamento di questi prodotti dell’illuminismo liberal borghese.

Inutile insistere sulla cattiva realizzazione degli ideali dell’illuminismo (borghese) quali uguaglianza e libertà (e proprietà privata), ma riconosca che già in nuce in questi ideali c’è la struttura creata dal valore: il valore è sempre al contempo forma di coscienza, di produzione e di riproduzione capitalista.1

Questo semplice discorso ci porta lontano e ci aiuta a capire la natura del capitalismo che con le sue regole informa tutte le forme etico-sociali.

Le alternative sono: o lottare per riprodursi come forza lavoro, come merce particolare, oppure si può lottare per negarsi come forza che valorizza il capitale e avviare da questa sottrazione una progressiva uscita dall'economia del capitale!

Marx ha dimostrato che lo sfruttamento del plusvalore da parte della classe capitalista non è il livello più profondo della società capitalista di mercato. Se vogliamo abolire questa società, si deve colpire ancora più a monte, nella radice sociale di tale società, il suo cuore ovvero la sintesi sociale del sistema capitalistico. Il capitalismo non è solo un “modo di produzione” o “sistema” di dominazione diretta, è una forma di vita sociale dove per la prima volta nella storia, individui si relazionano gli uni agli altri (fanno “Società”) attraverso il lavoro, il denaro e i movimenti feticistici del valore che si valorizza (il Capitale); questi sono enti che individualmente riproduciamo con le nostre innumerevoli azioni quotidiane di lavoro e consumo.

Nella forma di vita sociale capitalistica, la dipendenza da un tempo di lavoro qualunque è diventata un modo per ottenere i prodotti realizzati da altri.

La rappresentazione di questo rapporto sociale nel lavoro è nella sua realizzazione concreta: il denaro, è quello che orchestra tutta la società.

Abbiamo bisogno di quindi pensare l'impensabile e realizzare quello che sembra improbabile, l'uscita dall'economia (nella sua forma di vita del capitalismo di mercato).

E questo va fatto attraverso la creazione di un'altra forma di sintesi sociale, dove non ci si rapporta più a vicenda attraverso il lavoro, il denaro e il movimento automatico del capitale (dove la stessa forza-lavoro che si vende è parte integrante).

La società feticistica

Affinché si possa superare la società del capitalismo di mercato c'è bisogno di cercare di capire qual'è il fondamento della società invisibile che sta sotto e non conosciamo.

Si ha una rottura epocale quando non cambiano solo le cose che vediamo, ma anche le categorie che adoperiamo per vederle”. (Vittorio Foa)

Il capitalismo, come gli dei nelle società pre-capitaliste, ha il ruolo di sintesi sociale e in questo li ha sostituiti in tutto. Il capitalismo è un puro rapporto sociale!

Come gli dei, il capitale non esiste in natura, ma è il frutto di una relazione storica sociale: la società dei Feticci!2 .

Feticci che sono stati prodotti della società per qualche motivo, ma di cui si sono perse, dimenticate, le ragioni originari della loro edificazione, si è scordato a cosa servivano e se ne è perso il loro controllo sociale.

E per questo i feticci si sono via via “istituzionalizzati”, hanno creato strutture burocratiche con linguaggi e codici propri, criptici, incomprensibili ai sottoposti e agli esterni.

I feticci -come per le religioni in precedenza- si sono strutturati con sacerdoti, codici e riti; solo quando sono diventati abbastanza potenti, e soltanto a quel punto quelli che erano meri strumenti si sono erti contro chi li aveva creati (non necessariamente con l'intenzione o con un progetto, ma spesso come esito naturale del loro sviluppo che dato loro potere e autosufficienza (e logica di sopravvivenza autoreferenziale). Questi feticci “naturalizzati” come “terza natura” sono diventati enti materiali: Stato, denaro, economia, banche, finanza, capitalismo, mercato, ma anche immateriali; proprietà, individualismo, competizione e aggiungiamo anche patria, patriottismo, Nazione, onore, fede, ecc.

Scrivendo sui feticci, Marx ebbe una grande intuizione e, studiando la loro estensione oltre le merci, ci ha aiutato molto a capire la società, soprattutto quella capitalistica nella sua natura più profonda.

I feticci sono strutture di credenze sociali complesse e intrecciate che, studiandole bene, ci si rende contro che hanno svolto un ruolo basilare in tutte le formazioni sociali anche in quelle che hanno preceduto il capitalismo.

Di questo parleremo nel prossimo testo perché ci sembra fondamentale conoscerli per una teoria comunista del nuovo secolo.

L’unico modo per sfuggire alla condizione di prigioniero è capire com’è fatta la prigione”. (Italo Calvino)

 

 

IL POS-TMODERNO

Qui entriamo in un aspetto della società più generale, delle mutazioni economiche, antropologiche, sociali in corso. Si riprendono alcuni autori che descrivono bene questa fase che chiamano post moderno.

Cos’è il post moderno

Dal punto di vista sociologico, culturale e filosofico ìl postmoderno, ha varie sfaccettature. Sembra che il concetto nasca nel 1979, dove Lyotard pubblica: La condition postmoderne (trad. it. La condizione post-moderna). L’età contemporanea è descritta da Lyotard come quella in cui la modernità ha raggiunto il suo termine con la delegittimazione dei “grandi racconti” (grands récits), ossia la fine delle prospettive filosofiche e ideologiche che, a partire dall’Illuminismo, Marxismo ecc. hanno ispirato e condizionato le credenze e i valori della cultura occidentale: il “racconto” del processo di emancipazione degli individui dallo sfruttamento, quello del progresso come indefinito e progressivo miglioramento delle condizioni di vita, quello della dialettica come legittimazione del sapere in una prospettiva assoluta.

La società dello spettacolo

Segna inoltre il passaggio dalla società dei lavoratori alla società dei consumatori, dai grandi partiti operai delle sezioni di partito e dai suoi giornali ai partiti televisivi.

E' il consumo di merci e non più il lavoro che dà “cittadinanza” e auto-riconoscimento sociale delle persone. Si è riconosciuti, integrati nella società, perché si consuma. Nel “post” si vive come se fossimo in una realtà dell'abbondanza post-industriale. Del terziario, qualche volta “avanzato”.

E il compimento della società dello spettacolo di Guy Debord 3 :“La produzione delle merci, che implica lo scambio di prodotti diversi fra produttori indipendenti, ha potuto rimanere a lungo artigianale, contenuta in una funzione economica marginale in cui la sua verità quantitativa è ancora mascherata. Tuttavia, là dove essa ha incontrato le condizioni sociali del grande commercio e dell'accumulazione di capitali ha conquistato il dominio totale dell'economia”.

L'economia tutta intera è diventata ciò che la merce aveva mostrato d'essere nel corso di tale conquista: un processo di sviluppo quantitativo.

Questo incessante sviluppo della potenza economica sotto forma di merce, che ha trasfigurato il lavoro umano in lavoro-merce, in salariato, questa via che porta cumulativamente all’abbondanza, ha risolto in qualche modo la questione primaria della sopravvivenza del primo 900, ma in malo modo: ha impostato il meccanismo come se “la ricerca dell’abbondanza” non avesse mai fine e quindi deve essere sempre riproposta, ma ogni volta a un livello superiore (G. Debord). La dannazione di avere impostato l’economia intorno alla “crescita” perpetua o cresce o muore.

La società post-moderna quindi presenta da un lato la catastrofe implosiva di tutti gli universi del discorso nelle strategie comunicative e, al lato opposto, l'adattamento narcisistico alla proliferazione dei consumi.

Un altro studioso del postmoderno è il sociologo polacco Zygmunt Bauman: Modernità liquida. O, come preferisce chiamarla, società post Panopticon4 E affronta la società sotto diversi punti di vista: il lavoro, la comunità, l’individuo, il rapporto tra lo spazio e il tempo ed infine, ma non ultima in ordine di importanza, l’idea di libertà e quella ad essa collegata: l’emancipazione.

L’idea di Bauman in merito al valore e all’attualità della teoria critica è così esposta: la modernità liquida assomiglia alla metafora del “modello camping”. Nei camping, infatti, qualora qualcosa non funzioni, il visitatore può lamentarsi con la direzione e al limite estremo può andar via dal camping. Ma assolutamente non avverrà mai che il visitatore sostituisca la direzione stessa nella gestione del campeggio.

Sugli individui. Gli uomini e le donne che popolano le società avanzate sono sempre più convinti che il loro successo/insuccesso dipenda esclusivamente dalle proprie capacità, senza nessun soccorso da parte della società (intesa in modo ampio). Ci troviamo, insomma, nella situazione in cui, tramontato il sogno di un'autorità centrale, sia essa lo Stato o il capitale, che garantisca la strada per il progresso, il mondo si trasforma in una distesa di opportunità pronte a esser colte dai soggetti, per guadagnare il maggior numero di soddisfazioni possibili: “Il mondo pieno di possibilità è come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca”.

La società. Quella di oggi è ben diversa dal fenomeno del consumismo solido dell’epoca moderna; in questo, infatti, il consumo era inserito nella dialettica del bisogno/mancanza, mentre nella modernità liquida il consumo è rivolto unicamente verso l’appagamento dei desideri spesso artefatti.

Tempo-spazio. I luoghi pubblici sono classificati dall’autore in due categorie distinte: la piazza descritta nel libro è come un luogo che, per caratteristiche architettoniche, possiede una funzione che non è quella di spazio pubblico, inteso come luogo d'incontro tra persone, ma il suo compito è quello di ospitare solamente il passaggio degli individui. L’analisi del tempo è compiuta partendo dall’importanza che questo ha rivestito a partire dagli albori della modernità pesante: “La modernità è il tempo nell’epoca in cui il tempo ha una storia.”.

Nella sua storia moderna, il tempo è stato inizialmente identificato con il tempo che occorre per attraversare uno spazio; al contrario, nella modernità fluida il tempo, come approssimazione all’istantaneità, garantisce l’equivalenza di qualsiasi luogo in rapporto al tempo per raggiungerlo, e dunque ciò sancisce la predominanza del tempo come fattore di dominio sullo spazio.

Lavoro: Il capitale ha rotto definitivamente il suo magico rapporto con il lavoro, non volendo più essere incatenato con esso al suolo; chiara indicazione di ciò è la crescente flessibilità (precarietà) che investe il mondo del lavoro, concetto questo che sta trasformando milioni di lavoratori in liberi professionisti della flessibilità e che ripropone, a distanza di quasi un secolo, la polemica marxiana nei confronti degli economisti classici in merito al libero individuo (lavoratore).

La comunità. La novità che il neocomunitarismo, l’appartenenza a una comunità (e l'identità), ad una classe, attualmente, non rappresenta più un fattore di appartenenza solido, ma è un processo di auto-produzione individuale che può sempre essere messo in discussione e rinegoziato.

Un ultimo aspetto che infine viene analizzato dall’autore è il rapporto tra lo Stato e Nazione; nella modernità l’idea di Nazione era strettamente legata all’idea di Stato, o più precisamente ne rappresentava il senso e la solida unità. Nella nostra epoca post-moderna si assiste invece al crescente divario di queste due entità una volta parallele, l’idea di Nazione si sta sempre più frammentando nelle diverse comunità locali e lo Stato, come potere costituzionale, sta lentamente e inesorabilmente abdicando le sue funzioni primarie verso l’alto degli organismi sovranazionali, verso il basso con la devoluzione, e le funzioni rimanenti, come dimostrano i fatti recenti, optano per i processi di privatizzazione dei servizi al capitalismo di rendita.

Dal punto di vista filosofico, in Italia, al concetto di post-moderno è legato il famoso Vattimo che ha elaborato la nozione di “pensiero debole” per definire l’atteggiamento filosofico che ha preso atto della dissoluzione delle certezze e dei valori assoluti, “forti” del passato (in ottica nietzschiana e heideggeriana, cosa che qui interessa poco).

Il pensiero debole mette in discussione un concetto di verità universali (religiose e laiche) che hanno avuto molto a che fare con i giochi di potere.

L'uomo, così come lo intende il pensiero debole, non si riduce alla conoscenza, al sapere, alla gnoseologia, ma ha a che fare con la pratica, con l’eterno quotidiano dei bisogni immediati.

In politica l'uomo che ha a che fare con il pensiero debole si orienta sul piano dell'etica dei principi, sui temi etici (che diventano a loro volta assoluti?) e abbandona le fasi storiche e la soluzione del divario di classe.

 


1 Analisi in parte riprese delle tesi di Robert Kurz

2 Marx aveva mutuato dalla religione per spiegare la produzione del valore di scambio delle merci.

3 La Société du Spectacle di Guy Debord.E' il principio del feticismo della merce, il dominio della società attraverso "cose sovrasensibili in quanto sensibili" che si realizza in modo assoluto nello spettacolo, dove il mondo sensibile si trova sostituito da una selezione di immagini che esiste al di sopra di esso, e che nello stesso tempo si fa riconoscere come il sensibile per eccellenza” http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/filosofiacritica/debord_spettacolo.pdf

4 Il Panopticon, questo luogo inventato da Jeremy Bentham e ripreso da Michel Foucault, nel quale le persone vivono costantemente controllate e sorvegliate dal potere, potere che poteva contare sulla sua velocità e facilità di spostamento per tenere sotto controllo i propri sudditi: “Il dominio del tempo era l’arma segreta del potere dei leader”. Un’altra immagine può chiarire, tra le tante, cosa abbia significato il potere di controllo sul tempo: la fabbrica fordista con la sua standardizzazione del tempo di lavoro nella catena di montaggio.